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Dracula – Recensione della miniserie firmata da Moffat e Gatiss

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Dracula – Recensione della miniserie firmata da Moffat e Gatiss

Siamo entrati nel 2020 solo da pochi giorni e la tv britannica (e Netflix) già ci deliziano con nuovi prodotti di ottima qualità, portando sui nostri schermi l’attesa versione di Dracula scritta da Mark Gatiss e Steven Moffat. Dopo aver atteso per mesi l’annuncio della data di messa in onda, la miniserie arriva quasi come un regalo di Natale… un po’ in ritardo, ma decisamente gradito!
Io e Sam, ovviamente, non potevamo esimerci dal commentarlo con voi, ecco quindi qui di seguito le nostre impressioni su questo Dracula…

 

Ale: Potrebbe sembrare un controsenso parlare di “nuovo” in questo frangente, visto che in quasi un secolo e mezzo di versioni di questo classico della letteratura gotica se ne sono viste in tutte le salse e in vari medium diversi, ma il Dracula che ci regalano le menti già dietro a Sherlock non poteva che essere qualcosa di ben allineato ad alte aspettative.
Questa miniserie in tre episodi “cinematografici” (gli autori riprendono da Sherlock anche il format) si presenta infatti fin da subito originale a suo modo, pur mantenendo alcuni dei pilastri della mitologia creata da Bram Stoker nel suo romanzo e alcune delle citazioni più iconiche (“Listen to them,the children of the night. What music they make!“).

La serie sembra in parte snellire alcuni aspetti della trama originale concentrandosi invece su altri, andando anche a sfoltire il già non eccessivo numero di personaggi coinvolti nella vicenda del Conte Dracula e del suo viaggio dalla Transilvania all’Inghilterra. Mina e Jonathan, ad esempio, non vanno oltre il primo episodio: un disappunto nel caso dei lei, che perde la centralità del romanzo in un minutaggio relativamente breve e quasi inutile, riacquistando appena un po’ di spessore grazie alla caparbia decisione di istituire la Fondazione Jonathan Harkness una volta tornata in patria che ci viene rivelata nel terzo episodio; la morte di Jonathan al castello e il fatto che quando lo vediamo per la prima volta non è soltanto un uomo avvizzito dal ripetuto contatto con il Conte, che si è nutrito della sua linfa per acquisire vigore, ma una creatura già tramutata in un adepto del vampiro è invece a mio avviso uno dei primi buoni twist di questa versione. Nel passato personaggi come Sir Holmwood e Quincey Morris vengono appena nominati en passant, mentre scompaiono del tutto altri come il dottor Seward, Renfield e Lucy, ripresentati in veste moderna solo nell’ultimo episodio.

Personalmente ho apprezzato la scelta narrativa di dare maggior spazio a quello che è il confronto principale all’interno della storia: quello tra Dracula e Van Helsing, “la bestia” contro l’uomo di scienza incuriosito dall’occulto… solo che qui si tratta di una donna di scienza. La figura ambigua di questa suora pragmatica, risoluta e apparentemente priva di fede incuriosisce fin da subito, tanto che a ogni intervallo del racconto di Jonathan non si può non continuare a chiedersi chi sia. La rivelazione del suo cognome è la brillante (e a quel punto quasi ovvia) conclusione di un percorso mentale che gli autori ci invitano a fare con i personaggi: se non Van Helsing in persona doveva trattarsi per forza di qualcuno di strettamente collegato alla tradizionale nemesi di Dracula.
I tre episodi sono fondamentalmente la rappresentazione di tre campi di battaglia su cui i due personaggi, in un certo qual modo anche attratti l’uno dall’altra, si sfidano a colpi di astuzia: il convento, il viaggio in mare e l’arrivo ai giorni nostri.

Quello che nel romanzo era un passaggio di “cronaca” relativamente contenuto, ovvero l’arrivo della nave Demeter a Whitby (raccontato nell’estratto di un quotidiano all’interno del diario di Mina), occupa qui lo spazio di un intero episodio che ce ne racconta i retroscena… e perché no, d’altronde? Quanto accaduto sulla “nave fantasma” proveniente da Varna prima di approdare in Inghilterra non può che suscitare la curiosità di menti come quelle di Moffat e Gatiss, che danno il via a una “mistery story” quasi sulla falsariga di un racconto della Christie e la infarciscono di personaggi che sembrano uscire dallo schermo già a pochi minuti dalla loro introduzione. Ho apprezzato anche l’omaggio a Polidori, grazie all’inserimento del personaggio di Lord Ruthven (che tuttavia, a fine visione, con il protagonista di Vampyre sembra condividere davvero solo il nome e lo status pseudo-altolocato).

La trasposizione della storia nel ventunesimo secolo nel terzo episodio, infine, arriva a scuotere quella sorta di familiarità che ci aveva avvolti nei primi due, e per quanto non possa dire di non averla apprezzata affatto (ho adorato il finale, pur percependo una certa nota di “frettolosità” nel resto), trovo comunque “The Rules of the Beast” e “Blood Vessel” di un livello decisamente superiore e senz’altro meglio riusciti di “The Dark Compass”.
Quest’ultimo episodio permette di reinserire personaggi classici fino ad allora omessi, che ricalcano però perlopiù schemi introdotti da altri medium successivi al romanzo: Renfield ad esempio (cominciavo già a preoccuparmi per l’assenza di Gatiss dal cast) appare non come uno dei pazienti di Seward che inizia a mostrare segni di maggiore squilibrio con l’approdo del Demeter, ma come l’avvocato del Conte che quest’ultimo trasforma nel suo “servo” (rilettura vista già in altri film), cosa che però potrebbe in questo contesto provocare qualche fronte aggrottata in quanto a realismo. Ritroviamo poi il poligono amoroso (qui semplicemente triangolo) tra Jack Seward (giovane medico, non proprietario di un manicomio… per ovvie ragioni), il texano Quincey (quasi non pervenuto quanto a personalità) e Lucy Westenra. Quest’ultima ricalca la versione più “spregiudicata”, evidentemente più appealing per autori e pubblico, che ne è stata fatta in diverse rappresentazioni cinematografiche anziché quella della ragazza dall’indole fondamentalmente buona e quasi naif raccontata da Stoker. Devo confessare che la centralità che si è col tempo attribuita alla figura di Lucy e la tendenza a renderla una “mangiauomini” tra una trasposizione e l’altra è forse l’unica cosa che non incontra pienamente il mio gusto, soprattutto quando apparentemente fine a se stessa (per quanto qui ci venga spiegato a chiare lettere quale sia la caratteristica della ragazza che attira Dracula, che anziché la sua purezza diventa qui la sua superficialità e quasi sfrontatezza, perfino davanti alla morte, purtroppo non ho trovato il delineamento del personaggio abbastanza convincente. È questo il principale motivo del mio scarso gradimento, non la mancanza di attinenza al personaggio letterario, d’altronde abbastanza piatto e che così com’era non avrebbe funzionato bene in questo contesto contemporaneo).
Mentre l’esperimento analogo fatto con Sherlock è senza ombra di dubbio un capolavoro del genere, nel caso di Dracula la scelta di spostarsi ai giorni nostri può lasciare perplessi se non intrapresa in un certo modo. Le idiosincrasie del personaggio di Conan Doyle e ciò che lo circonda nel canone funzionano piuttosto bene anche nella nostra quotidianità, mentre la classicità del Conte Dracula ha un che di difficilmente sradicabile dal proprio contesto di origine. Trattandosi di un esperimento narrativo è ovviamente interessante da seguire per gli appassionati e ben venga il tentativo, ma nel mio caso il dubbio principale è stato, come detto, dovuto al fatto che, nonostante il cliffhanger sul finale del secondo episodio facesse pensare al colpo di genio, l’effettivo sviluppo dell’episodio finale ha un che di raffazzonato. Avrei preferito maggior tempo per abituarmi al cambio di ambientazione (magari anche solo un episodio in più) oppure, se proprio si voleva trasferire il personaggio del Conte nella contemporaneità per la sola durata dell’ultima parte, probabilmente avrei gradito si mantenesse il focus unicamente sul confronto tra lui e la discendente di Agatha (e indirettamente con lei) com’era stato fatto fino ad allora, rinunciando ai personaggi di contorno e alle loro vicende (di cui comunque non avevo eccessivamente sentito la mancanza fino a quel punto).

A conclusione di questi tre episodi, quindi, ciò che ha senz’altro colpito di più è a mio parere lo studio che viene fatto della personalità del vampiro e il suo legame atipico con Van Helsing, che qui culmina in un interesse quasi morboso. Il finale poi, in cui vengono sfatati miti e messe a nudo le paure radicate della “bestia”, è a dir poco meraviglioso e intriso di triste poesia.

In un cast di volti più o meno noti spiccano a mani basse i due protagonisti: l’arguta Van Helsing (Agatha/Zoe) interpretata da Dolly Wells e, ovviamente, Claes Bang, il cui Conte Dracula mescola abilmente eleganza e nefandezza, più una certa dose di sensualità (che sebbene quasi totalmente assente nel romanzo è ormai entrata a pieno titolo nell’immaginario collettivo, anche grazie a rappresentazioni come quella di Coppola). Questo Conte è un personaggio mefistofelico e dalla spiccata (e da me personalmente apprezzata) ilarità dark, con quel tocco estetico “classico” che richiama a tratti i Dracula di Bela Lugosi e Christopher Lee. Mi è piaciuto inoltre il dettaglio del sangue che è vite ed è in grado di trasmettere al vampiro conoscenze e ricordi della vittima.

Le ambientazioni e l’atmosfera in generale, soprattutto quelle più classiche dei primi due episodi, ricreano perfettamente quel velo di inquietudine che non ci si può non aspettare da un prodotto ispirato a questo romanzo. Mi è inoltre piaciuto il ritmo della narrazione e il dispiegamento della trama basato inizialmente perlopiù su dialoghi e flashback (in particolare il lungo sogno di Agatha con la partita a scacchi in “Blood Vessel”) che, vagamente, sembrano rimandare al formato del libro di Stoker, in cui le vicende ci vengono raccontate in maniera indiretta attraverso estratti di diari dei personaggi e scambi epistolari tra di essi.
Gatiss e Moffat riescono dunque ancora una volta a reinventare un classico immortale (no pun intended) della letteratura in chiave moderna, non senza sbavature ma con adattamenti e quella giusta dose di modifiche che lo rendono appetibile anche a chi conosce la storia originale a menadito e pensava di non poterne più essere sorpreso, senza mai snaturarne del tutto personaggi e situazioni.
Direi che la loro promessa di lanciare il 2020 con un Capodanno all’insegna dell’horror è stata pienamente mantenuta!

Sam: Satana and Statana’s best friend, anche conosciuti come Steven Moffat e Mark Gatiss, sono tornati dopo tre anni dall’ultima stagione di Sherlock con un altro classico della letteratura, ovvero il capolavoro di Bram Stoker, Dracula. E lo hanno fatto in grande stile.

Premessa: dimenticate il Dracula romantico di Francis Ford Coppola, che per creare il suo meraviglioso film aveva sì adattato il romanzo dell’autore irlandese, ma vi aveva aggiunto la dose della leggenda, alleggerendo così la malvagità del Conte. In questo senso, Moffat e Gatiss si sono attenuti di più al romanzo. Certo, sono comunque stati apportati cambiamenti per permettere il passaggio dalla carta allo schermo e creare così una loro versione della storia di Stoker, molti personaggi sono stati sfoltiti, ma d’altro canto qualunque storia nata sulla carta che viene portata sullo schermo necessita di cambiamenti. Inoltre, il Dracula di Stoker è un romanzo epistolare, il cui adattamento è dunque ancora più complicato.
Nonostante qualche difetto (presente soprattutto nella terza e ultima parte della miniserie), tuttavia, siamo di fronte a un’altra bellissima versione del vampiro per eccellenza.

La prima puntata è sontuosa, in perfetto equilibrio tra l’horror (questa è una storia horror, dopotutto) e l’avventura avvincente nonché il mistero da svelare, con un meraviglioso tocco di umorismo totalmente nero. Alla fine del primo episodio si è entusiasti: il personaggio di Jonathan Harker è arricchito e reso in qualche modo eroico, sebbene alla fine non si possa fare a meno di esclamare “E ti pareva se non combinava il disastro!”; la trovata di sorella Agatha che diventa Van Helsing è geniale (è evidente che Steven Moffat abbia un debole per le donne forti, sagaci e indomite… forse perché ne ha sposata una? Sue Vertue sembra rientrare perfettamente nella descrizione); l’umorismo, come si diceva, è strepitoso e Claes Bang è a dir poco perfetto come Vlad Tepes, Conte Dracula, risultando non solo elegante, magnetico e carismatico, ma “deliciously evil”.

La seconda, espandendo quella che nel romanzo è una piccola parte e aggiungendo personaggi che sono anche un omaggio alla letteratura di genere, permette di costruire una vivida rappresentazione dell’orrore che persone normali vivrebbero se poste in una situazione di forzata convivenza non solo con qualcuno come Dracula, ma tra di loro, in un contesto così drammatico. Molto emerge, infatti, di questi personaggi, c’è un implicito approfondimento della natura e psicologia umana che si manifesta nelle varie situazioni della vita quali il pericolo, l’incertezza, la tensione. A questo si affianca la rappresentazione e l’analisi dello stesso Dracula: è in pratica su questo che verte l’episodio, è uno studio sul personaggio attraverso il suo “duello” con Agatha iniziato nella prima puntata e che continuerà sino alla fine, le sue interazioni con i personaggi a bordo della Demeter, la loro stessa scelta.
L’apertura della puntata, poi, con il discorso su cosa renda un libro una degna lettura e sull’essere lettore è meravigliosa, nonché una strizzata d’occhio al fatto che questa storia (per come è) è nata proprio come romanzo e che lui, in tale versione, è un personaggio letterario.

Con la terza e ultima puntata il duo autoriale britannico per eccellenza si discosta maggiormente dal romanzo.
La scelta, introdotta dal cliffhanger finale del secondo episodio, è certamente spiazzante e può suscitare una sorta di “estraniazione”, essendosi immersi ormai totalmente nell’ambientazione classica. C’è da dire che non è niente di diverso rispetto a quanto fatto con Sherlock e il Canone di Arthur Conan Doyle e, sebbene nel romanzo ovviamente non si arrivi all’era contemporanea e non vi sia dunque alcuna Fondazione Jonathan Harker che studia i vampiri e vuole mettere le mani sul Conte Dracula, vi sono in ogni caso le linee generali del libro: l’entrata in scena di Renfield, Van Helsing che, con l’aiuto di altri, dà la caccia al vampiro, il triangolo che coinvolge Lucy Westenra con lei che va incontro al tragico destino e la caduta di Dracula.
Bisogna ammettere, in verità, che dei tre questo è sicuramente l’episodio meno riuscito: forse a causa dell’improvviso cambio di ambientazione che coglie alla sprovvista, ma è inevitabile avvertire una sensazione di accelerazione e di chiusura improvvisa. Ci sarebbe stato bisogno di un quarto episodio per permettere di abituarsi al cambio di ambientazione e apprezzarlo davvero come di certo sarebbe stato possibile visto che, per l’appunto, non è niente di diverso da quanto già visto con Sherlock, oppure si sarebbe dovuta realizzare tutta la miniserie ai giorni nostri.
L’episodio, pertanto, può piacere o meno, la scelta stilistica può essere condivisa o meno, ma ci sono aspetti positivi anche in questo: la versione di Lucy Westenra è piuttosto azzeccata, con un finale che almeno la fa evolvere. Infatti, la ragazza superficiale e indifferente a tutto finalmente sente e mostra una qualche profondità proprio nel momento peggiore; il finale è splendido e risolleva da solo tutto l’episodio, nel senso che ne colma i difetti. Il monologo di Agatha è uno dei momenti migliori di tutta la miniserie e le ultimissime scene, con la scelta del Conte Dracula, sono persino poetiche, nonché piuttosto in linea con quanto traspare dal romanzo, dove anche per Dracula la morte sembra portare un qualche sollievo.

In conclusione, lo show è promosso nonostante un episodio finale non all’altezza dei due che lo hanno preceduto, proprio grazie alla mise en scène generale, alla complessiva scrittura che da parte di Steven Moffat e Mark Gatiss non delude praticamente mai e a un interprete davvero perfetto per l’iconico ruolo del Conte Dracula. Anche se potevate darci di più per la parte finale, well done again, Moftiss.

Per chiudere: avete notato i due easter egg? Il primo da Doctor Who: Mina cita la barista del Rose & Crown nella sua lettera iniziale a Jonathan. Il secondo da Sherlock: Agatha dice a Jonathan di essere riuscita a risalire ala sua identità anche grazie a una conoscenza che ha a Londra, un detective.

Bene, questo è tutto per Dracula. E ora non ci resta che aspettare l’annuncio del prossimo progetto del malefico ma geniale duo.
(Magari uno speciale di Sherlock? Il cuoricino dell’addicted non si arrende mai.)

Non dimenticate di passare dalle nostre favolose pagine amiche per avere tanti aggiornamenti sulle serie made in UK e non solo!

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Ale
Tour leader/traduttrice di giorno e telefila di notte, il suo percorso seriale parte in gioventù dai teen drama "storici" e si evolve nel tempo verso il sci-fi/fantasy/mistery, ora i suoi generi preferiti...ma la verità è che se la serie merita non si butta via niente! Sceglie in terza media la via inizialmente forse poco remunerativa, ma per lei infinitamente appagante, dello studio delle lingue e culture straniere, con una passione per quelle anglosassoni e una curiosità infinita più in generale per tutto quello che non è "casa". Adora viaggiare, se vincesse un milione di euro sarebbe già sulla porta con lo zaino in spalla (ma intanto, anche per aggirare l'ostacolo denaro, aspetta fiduciosa che passi il Dottore a offrirle un giretto sul Tardis). Il sogno nel cassetto è il coast-to-coast degli Stati Uniti [check, in versione ridotta] e mangiare tacchino il giorno del Ringraziamento [working on it...]. Tendente al logorroico, va forte con le opinioni non richieste, per questo si butta nell'allegro mondo delle recensioni. Fa parte dello schieramento dei fan di Lost che non hanno completamente smadonnato dopo il finale, si dispera ancora all'idea che serie come Pushing Daisies e Veronica Mars siano state cancellate ma si consola pensando che nell'universo rosso di Fringe sono arrivate entrambe alla decima stagione.

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