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Doctor Who | Recensione 9×06 – The woman who lived

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Doctor Who | Recensione 9×06 – The woman who lived

Sebbene siano trascorse già molte ore da quando ho guardato l’episodio, non riesco a scrollarmi di dosso l’inquietudine che Doctor Who è riuscito a trasmettermi questa volta, quella strana sensazione di turbamento così sottile eppure così oscura che mi pervade, che è stata presente per tutta la durata dell’episodio, ma che forse soltanto nelle sue battute finali si è rivelata in tutta la sua forza, diventando quasi il presagio di quel momento che si avvicina inesorabilmente e che adesso è più concreto di quanto già non lo fosse fin dall’inizio di questa stagione.

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THE GIRL WHO DIED AND THE WOMAN WHO LIVED

Ogni parola, ogni frase pronunciata in questo episodio è stata più schietta e onesta di quanto potessimo mai immaginare. Non so voi, ma io tante volte mi rapporto a questa serie cercando di aprire completamente la mia mente e i miei occhi, per riuscire a captare fin dall’inizio tutto ciò che vuole trasmettermi, tutti quei significati nascosti che potremmo non vedere o cogliere la prima volta. Ma con quest’ultimo episodio invece qualcosa di importante è cambiato perché è stato tutto terribilmente evidente, tutto fatalmente chiaro, una schiettezza nei significati e nelle emozioni però che non ti rasserena come ti aspetteresti, non ti concede quelle risposte che speravi, ma ti mette di fronte a una realtà concreta che ti turba, che ti entra dentro più di quanto vorresti e che infine ti mostra quel futuro che non puoi cambiare o allontanare perché si avvicina sempre di più come uno stormo di corvi, presagio di sventura. (semi cit.)

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Abbiamo vissuto e osservato il mondo attraverso gli occhi di Ashildr, tramite le sue parole e i suoi ricordi che troppo spesso si confondevano, e tutto ciò che abbiamo scoperto e capito purtroppo è che Ashildr non esiste più. Credo che i titoli di questi due episodi, certamente collegati tra loro ma profondamente diversi e distanti al tempo stesso, possano essere adesso una fondamentale chiave di lettura per le loro storie e mai come questa volta si è avvertito violentemente il tempo che è trascorso e che ha modellato una giovane sognatrice coraggiosa rendendola una donna nuova che sceglie cosa ricordare e cosa invece lasciare fuori dalla sua memoria, aspettando che un’onda porti via e cancelli quei momenti che non vuole rivivere. The Girl Who Died: quel giorno, nel suo piccolo villaggio vichingo, Ashildr fu davvero la ragazza che perse la sua vita per la sua prima avventura, per combattere al fianco della sua gente, per restare e salvare le persone che amava, e se anche in quel momento lei non ancora non lo sapeva, la ragazza che si risvegliò quello stesso giorno non sarebbe più stata la stessa che aveva chiuso gli occhi poco prima. The woman who lived: la donna che adesso incontriamo porta il suo volto, la sua voce, la sua brama di avventura, ancora la sua unica ragione di vita, ma non è Ashildr, non lo è più da troppo tempo ormai, ma soprattutto ha scelto di non essere nessuno se non se stessa, qualcuno che vive giorno per giorno restando fedele all’unica persona che non sarebbe mai andata via, l’unica per cui valeva la pena scegliere un nome da ricordare perché non sarebbe mai svanito, “Me”. La riflessione che si cela dietro i nomi e questa identità si mostra senza riserve in realtà proprio davanti ai nostri occhi, nella luce spenta di una giovane donna intrappolata nella sua vita, costretta ad andare avanti giorno dopo giorno, sola, e qualsiasi nome lei scelga, diventerebbe col tempo soltanto l’ennesimo ricordo di chi è stata al fianco di qualcuno che ha perso. All’inizio era Ashildr, figlia di Einarr, parte di una famiglia più grande di cui lei era il cuore pulsante ma quello è stato il primo nome a cui ha dovuto rinunciare perché quelle persone, quell’amore che la definiva le era sfuggito dalle mani come fumo evanescente; in seguito è diventata una giovane donna che si è innamorata, che ha creduto di poter ignorare le regole del suo tempo, che si è illusa di poter soltanto amare senza bisogno di rispondere a quelle domande che sperava di evitare ma anche quella volta la sua realtà si è affermata dinanzi ai suoi occhi, obbligandola a cambiare ancora e diventare qualcun altro; ed è allora che è diventata una madre, abbracciando in questo modo il suo dolore più grande, quello da cui adesso non vuole fuggire perché diventa la sua lezione più importante, il suo promemoria più vivo, il suo ultimo nome da cancellare per arrivare finalmente ad essere soltanto “Me”, la donna che semplicemente vive, il cui nome non è legato a nessuno se non a sé stessa, a chiunque lei sia e a chiunque voglia essere.

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Un bandito ricercato di notte e una signora aristocratica di giorno, “Me” viene guidata esclusivamente dall’unico aspetto della sua esistenza che sembra non cambiare mai, dall’unica costante presente nella sua vita in ogni sua epoca, in ogni suo nome, vale a dire l’avventura, il desiderio di lasciare quei luoghi terreni che ormai ha visto e vissuto fino in fondo e librarsi verso nuovi universi, nuove sfide, nuovi pericoli da affrontare per scrivere nuove storie. Tutto ciò che la rende viva adesso è la scintilla della novità, è la possibilità di farsi travolgere da quell’energia che accompagna l’ignoto, è il bisogno di avere di più di ciò che ha vissuto e per chi ha già attraversato tutto ciò che si potesse vivere sulla Terra, i confini dei desideri si spingono adesso sempre più in là, oltre quei limiti che continua a superare per dare un senso alla prigione invisibile che la circonda, una prigione in cui nessuno è ormai più degno di condividere il suo stesso destino.

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Il Dottore assiste inerme alle conseguenze delle sue azioni che si spiegano ora di fronte a lui in tutta la loro prorompente realtà, ponendo domande di cui teme la risposta perché la persona davanti a sé diventa sempre di più la realizzazione di tutte le sue paure. Il Dottore continua a guardarla, continua a cercare in lei Ashildr, convinto di poterla ritrovare, di poterla salvare ancora una volta, di poter rimediare a ciò che ora sembra il suo errore più grande, compiuto forse con leggerezza, senza pensare al futuro, guidato esclusivamente dal desiderio di salvarla, di concederle quella vita che tanto sognava e che invece si è trasformata lentamente in un incubo, NIGHTMARE, lo stesso nome da bandito che definisce “Me”.

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Più l’affianca, più ascolta le sue parole e legge quei ricordi che continua a perdere, più il Dottore sembra quasi spaventato da ciò che Ashildr è diventata, provando in ogni modo a far rinascere in lei la ragazza che conosceva quando invece non può concederle l’unica cosa che davvero desidera adesso: viaggiare con lui, vivere con l’unica persona in grado di comprenderla, l’unico degno di restare al suo fianco perché marchiato dalla sua stessa maledizione, l’unico che non avrebbe perso. Ma il Dottore continua a respingerla, a studiarla, a cercare in lei quell’umanità che lo aveva colpito così tanto da spingerlo a non voler rinunciare a lei, salvandola nell’unico modo che conosceva e per un momento crede anche di esserci riuscito, per un momento gli sembra di rivedere Ashildr, quella ragazza che combatte per il prossimo, che sacrifica la seconda dose della sua immortalità per salvare quella vita che aveva quasi preso insieme a tante altre che sarebbero state spezzate solo per permetterle di inseguire i suoi sogni, di fuggire in cerca di qualcosa di più.

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E allora tutto sembra tornare in ordine, il Dottore crede di averla salvata di nuovo, crede di poter guardare negli occhi di quella giovane donna e rivederci l’eroe che aveva lasciato, una sua pari con cui non potrebbe mai viaggiare perché nessuno dei due ricorderebbe cosa significa vivere, nel suo valore più autentico e fragile. Invece, quando meno se lo aspetta, “Me” si riafferma proprio di fronte a lui, nella sua individualità, nella sua forza, nel suo rancore di chi è stato lasciato indietro, nella rabbia di chi non ha chiesto la vita che è costretta a vivere senza di lui, senza del Dottore che lotta e poi fugge via, mentre lei è ancora una volta condannata a restare. “Me” gli promette di essere sua “amica” e di restare al fianco di tutti coloro che il Dottore ha lasciato, una promessa oscura come una minaccia ma che ha tutte le intenzioni di mantenere, qualsiasi sia il tempo che dovrà attendere per compiere il suo desiderio, per raggiungere finalmente quella debolezza del Dottore che ricorda perfettamente.

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“DON’T WORRY DAFT OLD MAN, I’M NOT GOING ANYWHERE”

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Proprio in un episodio come questo, in cui la sua compagna compare solo per pochi minuti, diventa travolgente l’importanza di questo ruolo, di qualcuno che non è più solo un semplice partner per le sue avventure, ma qualcuno che rappresenta adesso una parte di sé, la sua parte migliore perché gli ricorda costantemente cosa significhi vivere per davvero come lui forse non ha mai fatto perché solo chi ha una singola vita a disposizione può coglierne la sua essenza più intima ed effimera, la sua consistenza così labile, impossibile da afferrare e trattenere, ma estrema da vivere giorno dopo giorno, momento dopo momento. Clara Oswald entra in quel Tardis e lo travolge con la sua energia, con la gioia di viaggiare senza mai fermarsi, di abbracciare anche la sua quotidianità, con la sua fama di conoscenza, di magia e di meraviglia, e con il suo desiderio di vivere tutto questo al suo fianco.

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E quando il Dottore la guarda vede tutto ciò che lo separa da Ashildr e da ciò che l’immortalità l’ha resa, vede la sua eterna speranza di umanità, vede il suo obiettivo e la sua possibilità di amare e di non essere mai davvero solo. Nonostante continui a sopravvivere a tutti coloro che entrano nella sua vita, il Dottore sceglie ogni volta di ricominciare, pur conoscendo già il destino di chi lo affianca ma ciò che più diventa evidente in un episodio come questo è il motivo per cui non ha mai concesso a nessuno di loro il dono di vivere per sempre al suo fianco, perché la persona che gli è vicina adesso è troppo importante per lui per privarla del suo bene più prezioso, per condannarla alla sua stessa sorte, per costringerla a non legarsi mai davvero a nessuno e con Clara significherebbe affliggerla con la peggiore delle maledizioni, lei che ama incondizionatamente e senza riserve.

Dal canto suo Clara Oswald non è mai cambiata, non ha mai smesso di sorridere, non ha mai abbandonato quell’entusiasmo che trae dalle piccole cose e da quel suono che il Tardis diffonde portando speranza a chiunque lo ascolti. Il suo modo di abbracciare il Dottore e la loro vita insieme è inconsapevole di quel futuro che l’attenda ma la verità è che non le importa perché il suo sguardo riconferma ogni volta tutte le sue scelte mentre il suo Dottore adesso vive ogni loro momento insieme come se fosse l’ultimo perché presto o tardi lo sarà.

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Nell’episodio più oscuro e inquietante di questa stagione, Maisie Williams prende le redini dello show anche solo per una volta e lo fa brillantemente, diventando una delle chiavi più importanti della storia con un ruolo che deve ancora portare in scena il suo ultimo atto. E mentre il Dottore affronta una minaccia che teme di non poter fermare, Clara Oswald gli promette ancora una volta di restare al suo fianco qualsiasi cosa accada.

 

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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