
Carissimi addicted, lo abbiamo aspettato per mesi e finalmente il Dottore è tornato! Comincio la mia avventura al timone di “Doctor Who” con due considerazioni:
- Per la prima volta nel mio lungo rapporto con questa serie mi sono addormentata a metà episodio. Quando il mio fidanzato mi ha svegliato dopo la fine gli ho chiesto: “Ma sul finale migliora?”. Mi ha guardato per due secondi riflettendo sulla domanda e poi mi ha risposto con la massima sincerità: “Mah. Dipende da cosa intendi con migliora.”. Bene, ma non benissimo.
- La Whittaker e Graham, che pensavo sarebbero state le cose che mi avrebbero fatto storcere il naso, sono stati in realtà gli elementi che mi hanno maggiormente convinto.
Partiamo proprio da Jodie Whittaker. Non ho mai fatto mistero del fatto che non sentivo particolarmente l’esigenza di avere un Dottore donna, soprattutto perché l’universo di “Doctor Who” è sempre stato ricco di figure femminili forti (su tutte spiccano ovviamente le companion).
Ciononostante la performance della Whittaker mi ha convinto del fatto che sceglierla per questo ruolo sia stata una decisione quanto mai azzeccata, non per il suo genere, ma per l’impronta lieve e l’aura di credibilità con cui ha saputo vestire i panni del suo personaggio.
La sua interpretazione ha saputo strapparmi un sorriso in più di un’occasione e ho trovato la sua mimica facciale particolarmente divertente, soprattutto nei momenti in cui doveva esprimere incredulità e perplessità per la sua nuova rigenerazione.
La Whittaker è riuscita in un’ora di episodio a rendere chiara la cifra stilistica che ha intenzione di adottare e a me il risultato è sembrato riuscitissimo.
Anche il personaggio di Graham mi ha piacevolmente sorpreso, forse per il suo essere così spiccatamente british. Ho apprezzato la delicatezza delle sue interazioni con Grace e il suo elogio funebre mi ha regalato un attimo di commozione.
Diversa invece la storia per gli altri due companion.
Yasmin, semplicemente, non è pervenuta: dal mio punto di vista, la sua presenza nell’episodio è stata sostanzialmente superflua.
Spero comunque che la cosa possa essere dovuta a una semplice mancanza di tempo. È innegabile che i temi e i personaggi da introdurre fossero tanti e credo fosse quasi impossibile trovare un equilibrio soddisfacente.
Ryan, invece, mi ha creato proprio un senso di fastidio sin dai primi momenti in cui ha fatto la sua comparsa. L’ho trovato a tratti estremamente petulante e il tentativo di mostrare un’evoluzione nel suo personaggio è stato precoce e un tantino stereotipato.
Avrei di sicuro preferito che fosse Grace a sopravvivere e ad unirsi all’allegra comitiva del TARDIS al posto suo. Una donna coraggiosa, amante della vita e capace di affrontare le sfide con eccitazione ed entusiasmo.
La cosa però che mi ha lasciata maggiormente delusa di questo episodio è stata la trama in sé per sé. Personalmente non l’ho trovata per nulla avvincente, al punto da dover riprendere la visione il giorno dopo perché mi ero addormentata.
Non è questo che mi aspetto da “Doctor Who”, non è questo quello a cui la serie ci ha abituati. Mi è mancata l’emozione, l’eccitazione del viaggio, la meraviglia della scoperta.
Spero onestamente di ricredermi nel corso dei prossimi episodi, ma il fatto che Chibnall abbia già confermato che non ci sarà una vera e propria trama orizzontale non mi lascia ben sperare.
Concludiamo con una bella flop 3 per questa premiere (non sono riuscita onestamente a trovare tre aspetti sufficientemente positivi da mettere insieme una top 3):
- Il cacciavite sonico dello zio Fester, che sinceramente non si può guardare.
- Il nuovo outfit del Dottore, che avrebbe fatto ululare in coro a Enzo e Carla “Ma come ti vesti?”.
- La trama dell’episodio, vivace e coinvolgente come un procione sotto anestesia.
In attesa del prossimo episodio, non mancate di visitare queste fantastiche pagine, sempre ricche di aggiornamenti e news: