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Dal Signore delle Mosche a The 100: Sull’istintività e la ragione

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Dal Signore delle Mosche a The 100: Sull’istintività e la ragione

Qualche mese fa, poco dopo essermi unita allo staff, ci hanno chiesto se avevamo delle proposte per alcune rubriche. Normalmente non eccello per fantasia, anzi, decisamente non ho mai nemmeno mezza idea, però, in quel momento, una lampadina si è accesa nel mio cervello (incredibile!). Avevo da poco finito di vedere The 100, piccola serie senza troppe pretese del network The CW, e le prime puntate della serie, mi avevano riportato alla mente uno dei libri che più ho apprezzato durante gli anni del liceo: The Lord of the Flies (di W. Golding). Ed eccola lì, la mia proposta per una nuova rubrica era proprio sotto al mio naso: perché non parlare di tutte quelle volte che, guardando una serie TV, ci accorgiamo che quella ci stanno raccontando, più o meno, è proprio la storia che tanto abbiamo amato in questo o in quell’altro libro?!?

 

E allora eccomi qua a dare vita a questa rubrica, grazie soprattutto alla collaborazione con due autentiche mentori, Mary e Simona: a turno (o con articoli in tandem!) vi terremo compagnia nelle prossime domeniche, sperando che i nostri romanzi preferiti siano un po’ anche i vostri!

 

Let’s go!  

 

The Lord of the flies è un libro scritto dal premio nobel William Golding agli inizi degli anni 50 del secolo scorso, subito dopo la grande guerra. Il libro racconta la storia di un gruppo di ragazzini (di età variabile tra i 4 e i 16 anni circa) che si ritrova, dopo un incidente aereo, da solo, senza figure adulte, su di un’isola deserta. Il tema predominante del romanzo riguarda il dualismo della natura umana: civile e rispettoso se messo in un contesto sociale strutturato e regolamentato versus la sua brutalità e la sua istintività animalesca quando la situazione non è controllata. Questo dualismo si riflette anche nei due leader del gruppo, Ralph il razionale e Jack l’impulsivo e, attorno a loro, ruotano diversi personaggi che stanno a significare chi le regole, chi la morale o la violenza. Tutti fattori che in qualche modo vanno a plasmare, a seconda dell’influenza che hanno, il carattere dei due leader.

Certo, il punto di partenza di Golding è assolutamente pessimista, lui stesso scriverà che: “l’uomo produce il male come le api producono il miele” ma è pur sempre vero che l’uomo è un animale e, come tale, è naturale che abbia degli istinti. Tuttavia, l’uomo, a differenza della maggior parte degli animali (almeno fino a quanto ci è dato di sapere) è dotato di intelletto, e proprio questo ci permette di discriminare da ciò che è giusto e sbagliato, non solo in modo individuale ma anche sociale: la società è (o dovrebbe essere) l’ago di una bilancia il più possibile ponderata. Nel libro gli esiti della mancanza di una società hanno effetti letali: la convivenza forzata e l’ambiente ostile generano brutalità e insensatezza dei comportamenti.

A place called HOME

Innanzitutto, cerchiamo di dare un contesto alla storia di The 100.

In un’epoca post nucleare gli ultimi sopravvissuti della razza umana sono stipati in una stazione spaziale dove vivono da tre generazioni. Mai nome fu più azzeccato per questa stazione: l’Arca, rappresentazione della speranza di una possibile salvezza, di una nuova vita. Tuttavia, lassù, la vita è tutt’altro che spensierata, le risorse sono limitate e, di conseguenza, i protocolli sono molto rigidi: le famiglie non possono mettere al mondo più di un figlio, in caso di complicazioni operatorie non si possono fare cure extra e via discorrendo. Ebbene, la vita è regolata dalla necessità, e quale bene è più prezioso dell’aria? (mi chiedo: l’acqua riescono a produrla in modo chimico?!?…mah…). Ogni spreco, o possibilità di spreco, viene punito, chi non rispetta le regole è bandito, o meglio, letteralmente lanciato nello spazio, ovvero ucciso.

In questa allegoria di vita normale tutto cambia quando si scopre che l’Arca sta morendo: un danno al sistema porterà la stazione a collassare nel giro di pochi mesi, la fine della razza umana. Ed è così che 100 ragazzi, 100 “delinquenti” di diverse età vengono ingaggiati (a loro insaputa ovviamente) per una missione (apparentemente) suicida: scoprire se la Terra è vivibile, scoprire se la Terra può tornare ad essere di nuovo CASA.

Allegoricamente, la Terra dove arrivano i 100 rappresenta l’isola dove è ambientato The Lord of the Flies: un ambiente nuovo, senza adulti, inesplorato e sconosciuto.

About Freedom and human nature

La posto in gioco è alta: se la Terra non è abitabile la razza umana si estinguerà, o almeno quella parte di esseri umani confinata a vivere nello spazio. Peccato, però, che sia stato messo tutto nelle mani di ragazzi che hanno trascorso i loro ultimi giorni/mesi/anni rinchiusi (perché, nel già esiguo spazio della loro stazione, erano anche confinati in misere celle) e, così, già nelle battute iniziali i leader emergono in modo naturale: Clarke, figlia dell’ingegnere che aveva scoperto il problema all’Arca, logica e dal senso sociale, e Bellamy, forte ed individualista.

Clarke può essere associata a Ralph, attento alle esigenze di tutti e pronto a mettersi in gioco per il bene comune. Bellamy, per come ci viene presentato in questa prima fase, assomiglia molto a Jack: vuole prendere il controllo della comunità ed organizza un clan di ribelli nei confronti delle disposizioni  di Clarke. Apparentemente può sembrare lo stereotipo dell’ arrogante, egoista, che pensa sempre a dare gloria di sé, a farsi conoscere.

 

La contrapposizione tra i due leader è netta perché se da un lato Clarke sprona il gruppo a trovare le risorse per sopravvivere, dall’altro Bellamy incita i compagni a sbarazzarsi dei vincoli che li legano alla passata “società”, ponendo la ritrovata libertà come unica priorità inderogabile.

E’ interessante vedere come Bellamy utilizzi a proprio vantaggio le necessità dei compagni: lui non ha interesse a che la gente sull’Arca sappia che la terra è abitabile, il suo obiettivo è la propria libertà e si rende conto che, alla fine, è esattamente anche quello che vogliono tutti (o quasi) gli altri. Come biasimarli quando l’Arca stessa, la loro casa, in fondo non era altro che una prigione?

Peccato che la ricerca della libertà per Bellamy implichi il nascondere le azioni deplorevoli compiute, per una nobile ragione forse, ma pur sempre deplorevoli. Un uomo disperato è pronto a compiere qualsiasi gesto, ma che tipo di uomo è quello disposto anche ad uccidere pur di raggiungere i propri scopi? Il fine giustifica sempre i mezzi?

Per la maggior parte dei 100 la libertà è la possibilità di vivere una vita piena, a 360°, senza costrizioni, senza limiti. Essere. Ma tutti gli uomini sono diversi e questa diversità porta inevitabilmente a degli scontri: la libertà individuale deve essere riconosciuta e soppesata al buon senso che, come tale, deriva da una coscienza sociale, perché tutti sono ugualmente importanti.

In questo contesto Bellamy rappresenta proprio l’istigazione a quegli istinti irrazionali, più primitivi della natura umana mentre Clarke è la voce della ragione, della società che pensa al bene personale e sociale. Per questo all’inizio i due sono agli antipodi, le necessità sono diverse, le ambizioni sono diverse, la forza e la presa sul gruppo sono diverse.

In questo contesto, ad influenzare i due leader giocano un ruolo cruciale anche gli altri ragazzi.

Finn ci è stato presentato inizialmente come il superficiale del gruppo, quello finito in prigione per aver consumato l’ossigeno per la voglia di farsi un giretto nello spazio. Non ha lo stesso carisma di Bellamy (e nemmeno gli interessa in effetti) o il suo stesso temperamento ma, nel mezzo di un grande casino, di fronte a grandi paure (personali e comuni) è l’unico a mantenersi “composto”, ad essere presente (con la mente e con il corpo), è l’unico a riflettere su cosa l’uomo è stato, cosa è ora e cosa deve essere (attenzione, non vuole ma deve). Lui è stato con Clarke ed io l’ho vista come la logica che abbraccia la lucidità. Non è di certo l’eroe della situazione ma non vuole nemmeno esserlo, non gli interessa farsi vedere, ma alla fine quando si tratta di farsi avanti per coloro che gli stanno a cuore lui c’è. Quello che mi sembra è che Finn rappresenti un po’ Piggy in The Lord of the Flies: una mente pensante, la memoria più nitida di quell’umanità così improvvisamente abbandonata a se stessa, la ragione dell’uomo civilizzato (per quel poco che ne rimane). Speriamo non faccia (o abbia già fatto!) la fine di Piggy!

E poi c’è Murphy, bulletto che cerca di prevaricare gli altri con il terrore e la violenza, che può essere associato, nel libro, a Roger rappresentando la parte realmente violenta dell’essere umano, l’istinto malefico e selvaggio insito in ognuno di noi.

A social awareness

Nelle prime puntate il gruppo perde la sua coesione sociale, ognuno è spinto dai propri bisogni e non c’è una vera e propria comunione di intenti. L’istintività e gli impulsi la fanno da padroni… tutto sembra andare alla deriva. Tutta sta prendendo la stessa strada del libro. Eppure, qualcosa accade.

I ragazzi si rendono conto che la Terra non è un posto poi così sicuro. Non solo l’effetto delle radiazioni si fa ancora sentire (tempeste radioattive che devastano quello che incontrano) ma qualcuno popola le foreste: i Terrestri sono là fuori e non sembrano proprio intenzionati a far amicizia. Ecco che qualcosa cambia perché la felicità per la libertà acquisita lascia il posto alla paura: paura di un nemico non manifesto, di non essere preparati, di essere indifesi, di perdersi.

In parallelo, l’allontanamento di Murphy dal gruppo può essere una metafora dell’allontanamento della cattiveria, della violenza e dell’aggressività. Eppure mi chiedo: seppur un carattere possa essere più o meno incline alla violenza, non è sempre la sua storia vissuta a far esprimere più o meno una parte di sé? Io credo di si. In fondo, forse, Murphy non sarebbe quel cattivo che è se non fosse stato spronato ad agire in certi modi e se non avesse subito delle gravi ingiurie (morali e fisiche).

Realizzare di avere un nemico comune porta i 100 (o quel che ne resta) ad organizzarsi come società: costruiscono una barricata di difesa, ognuno ha la sua tenda, procacciano provviste ed organizzano turni di guardia. Piano piano ognuno si guadagna un ruolo ed ecco che i due leader cominciano a plasmarsi l’un l’altro: la pura razionalità di Clarke si lascia condizionare dall’istintività di Bellamy, la paura e l’inadeguatezza si insinuano nei pensieri della ragazza che perde di vista le regole basilari della civilizzazione lasciandosi andare a modi crudeli e privi di raziocinio. Al contrario, Bellamy inizia a pensare per il gruppo, non solo a se stesso, lasciate da parte le questioni personali, nonostante l’attitudine all’aggressività, il ragazzo dimostra di avere davvero un grande potenziale.

 

Vorrei sottolineare anche che lo show ci mostra, in parallelo, come l’Arca abbia vissuto per un certo periodo un processo opposto a quello fatto dai nostri 100 sulla Terra: la società rigida e strutturata stava perdendo il controllo di sé e le fazioni prendevano il sopravvento lasciando, temporaneamente, un gran caos. Ma questa è un’altra storia…

Spero vi piaccia l’idea di questa rubrica…vi aspetto, sempre qua, la prossima settimana!!

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Nata negli anni 80, grazie al suo papà clone di Magnum P.I., cresce a pane e “Genitori in blue jeans” (dove si innamora di Leonardo di Caprio che troverà poi in quei film tanto amati come "What's Eating Gilbert Grape" o “Total eclipse”), l’uomo da 6 milioni di dollari, l’A-Team, Supercar e SuperVicky. L’adolescenza l’ha trascorsa tra Beverly Hills 90210, Santa Monica e Melrose Place..il suo cuore era sul pianeta di Mork e alle Hawaii..anche se fisicamente (ahimè) era sempre e solo nella provincia bergamasca. Lettrice compulsiva fin dal giorno in cui in prima elementare le hanno regalato Labirinth è appassionata di fantasy (Tolkien è il suo re, Ann Rice e Zimmer Bradley le sue regine) e di manga (Video Girl AI in primis per arrivare a Paradise Kiss e Nana), anche se ultimamente è più orientata a letture propedeutiche pediatriche! Ama studiare (tra laurea, dottorato e master ha cominciato a lavorare a 28 anni!!) ed imparare, ma non fatela arrabbiare altrimenti non ce ne è per nessuno!

2 COMMENTS

  1. Grazie!!!!secondo me guardando la serie nn si poteva non collegare il tutto a Lord of The flies..sembra fatto apposta..insomma, han fatto tutti gli autori!☺️

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