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Dal Signore degli Anelli a Buffy: Fare Gruppo per Sconfiggere il Male Assoluto

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Dal Signore degli Anelli a Buffy: Fare Gruppo per Sconfiggere il Male Assoluto

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Salve a tutti!

Eccoci qui per il secondo appuntamento della nostra rubrica, questa volta vi presentiamo un’analisi a quattro mani fatta da Mary e me (Simona) del tema “formazione di un gruppo per sconfiggere il Male Assoluto”.

A tal fine abbiamo deciso di esplorare, seppur brevemente, due opere ormai culto: “Il Signore degli Anelli”, per quanto riguarda la letteratura, e “Buffy”, per ciò che concerne i telefilm.

Io mi occuperò de “Il Signore degli Anelli” e Mary vi parlerà di “Buffy”.

Tra il 1937 e il 1949 J.R.R. Tolkien riprese la narrazione della storia che aveva raccontato in “Lo Hobbit” e le diede un più ampio respiro, ampliando il contesto e cambiando il tono dato alla stessa (“Lo Hobbit” era concepito come romanzo per ragazzi). Nacque in questo modo “Il Signore degli Anelli”, riduttivamente definito “romanzo fantasy” ma, in realtà, opera più simile ai più celebri poemi epici.

Tutti, credo, ne conosciamo la storia: dopo aver scoperto che l’anello trovato da Bilbo Baggins decenni prima è, in effetti, il temutissimo Anello del Potere (forgiato millenni or sono dall’Oscuro Signore, il Maiar Sauron, nelle fauci del Monte Fato, nella tenebrosa terra di Mordor), Gandalf Il Grigio, uno dei cinque Stregoni Istari (anch’essi Maiar, inviati dai Valar nella Terra di Mezzo), incarica Frodo Baggins (nipote di Bilbo) di portarlo fuori dalla Contea, al fine di evitare che l’oggetto cada nelle mani di uno dei Cavalieri Neri inviati da Sauron stesso, noti anche come Nazgul e I Nove.

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A Frodo si affiancano, prima, Samvise Gamgee, Peregrino Tuc e Meriadoc Brandibuck, legati a Frodo da profondo affetto per amicizia e parentela, e, successivamente, l’umano Grampasso, uno dei famigerati e temuti Raminghi del Nord, il quale si rivela essere, in verità, Aragorn figlio di Arathorn, erede di Isildur e del trono di Gondor, ultimo baluardo dell’antica stirpe degli esseri umani di Numenor, discendenti, per così dire, di una casata elfica.

Affiancato da questi quattro compagni, Frodo riesce a giungere, attraverso pericoli mortali che lo riducono in fin di vita, a Imladris, ovvero Gran Burrone, regno di Sire Elrond, uno dei più alti Elfi ancora residenti nella Terra di Mezzo, nonché fratello di colui che fondò la stirpe di Numenor.

Proprio a Gran Burrone vengono decise le sorti dell’Unico Anello: per evitare che l’oggetto (dotato di volontà propria) torni nelle mani di Sauron e che questo scateni una perenne Oscurità su tutta la libera Terra di Mezzo, nonché proprio per abbattere Sauron, esso sarà distrutto; affinché ciò possa avvenire, tuttavia, sarà necessario condurlo sino a Mordor e gettarlo nello stesso fuoco in cui fu forgiato.

Al Consiglio presieduto da Elrond, che vede la partecipazione di Gandalf e Frodo, sono presenti gli esponenti delle più antiche razze di Arda: i Nani; gli Elfi Silvani inviati dal Grande Re Thranduil, tra cui il suo stesso figlio; il figlio del Sovrintendente di Gondor.

Al momento cruciale del confronto sul destino dell’Anello del Potere, però, tra queste antiche razze regna l’indecisione e così è proprio il “piccolo” esponente degli Hobbit, che già si è assunto enormi responsabilità per portare l’Unico a Gran Burrone, ad offrirsi come Portatore sino a Mordor.

Egli è ignaro, invero, del grande sacrificio per il quale si sta offrendo, così come Sam, Merry e Pipino, che si rifiutano di abbandonarlo, ma tali non sono Gandalf, Legolas figlio di Thranduil, Gimli e Boromir, i quali, conquistati dal coraggio di Frodo, si offrono di accompagnarlo e difenderlo.

Nasce così quello che è forse il più famoso “gruppo” della letteratura: la Compagnia dell’Anello, i cui membri appartenenti alle diverse razze, seppur divisi per un certo periodo, non cesseranno mai di lottare, in qualche modo comunque uniti, per sconfiggere il Male Assoluto, rappresentato da Sauron.

Un gruppo la cui esistenza assicurerà la riuscita dell’impresa e la libertà della Terra di Mezzo, forse proprio grazie alla divisione cui sarà costretto dagli eventi, che permetterà ai suoi membri di contribuire alla vitale causa in modi diversi dagli iniziali loro propositi ma fondamentali. Un gruppo, ancora, in cui il legame tra i suoi esponenti avrà durata lunghissima: la Compagnia dell’Anello, infatti, si scioglierà solo quando gli ultimi suoi membri lasceranno per sempre la Terra di Mezzo.

Il capolavoro di Tolkien è moltissime cose: per alcuni, un’allegoria della Seconda Guerra Mondiale (sebbene il Professor Tolkien lo abbia smentito), per altri, un’allegoria dell’avanzata del mondo industriale (rappresentato, in particolare, dall’unione di Saruman e Sauron – le Due Torri, secondo il significato attribuito da Peter Jackson, regista della splendida trilogia cinematografica –) a scapito di quello bucolico in cui Tolkien era cresciuto.

Nelle intenzioni del Professore (il quale, ricordiamolo, era docente di lettere all’Università di Leeds e, in seguito, di filologia anglosassone all’Università di Oxford), il pezzo, possiamo dire più importante, di un universo che doveva essere una vera e propria mitologia per la Gran Bretagna, i cui miti sono per lo più importati (in particolare dalla Francia). Tali sue intenzioni sono evidenti dal tono aulico così diverso da quello de “Lo Hobbit”, dall’ispirazione tratta da poemi mitologici quali il finnico “Kalevala” e il “Beowulf” (che magari alcuni, come me, ricordano dagli studi liceali) e dalla creazione, anche grazie a tali poemi, di un universo completo in ogni sua più piccola parte, lingue comprese.

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Tolkien, infatti, creò svariate lingue per la sua Arda, tra le quali maggior risalto (anche per la loro bellezza) hanno le lingue elfiche: il Quenya, una sorta di “latino elfico”, la forma più alta e antica dell’idioma parlato dagli Elfi, e il Sindarin, la versione più “moderna”.

Una cosa, tuttavia, è indiscutibile: tra le molte cose, “Il Signore degli Anelli” è un inno all’unità, nonostante le differenze di origine, contro le avversità, anche le più oscure.

Nessuno dei membri della Compagnia è perfetto, nemmeno Legolas, Principe elfico di alto lignaggio: egli è, infatti, pieno di pregiudizi nei confronti dei Nani (come quasi tutti gli Elfi). Gimli, a sua volta, è impetuoso e affetto dagli stessi pregiudizi nei confronti degli Elfi; Aragorn, nonostante il suo grande coraggio, è timoroso di subire lo stesso fato del proprio antenato e, per questo, restio ad assumersi le proprie responsabilità di Re; Boromir ha scarsa fiducia nell’impresa e nutre la segreta speranza/intenzione di portare l’Anello a Gondor, per usarlo come arma contro il Nemico; Gandalf è, a tratti, burbero e poco paziente; Merry e Pipino a volte dimostrano superficialità verso la situazione in cui si trovano e in cui versa tutta la Terra di Mezzo; Sam è anch’egli affetto da qualche pregiudizio e non riesce a comprendere appieno Frodo e i suoi timori (forse anche per la totale fiducia che ha in quest’ultimo); Frodo, come sappiamo, sempre più logorato, alla fine perderà la forza di volontà e cederà all’Anello.

Tutto ciò, prendendo in prestito una citazione da un’altra storia, che personalmente amo tantissimo e che ha contribuito alla mia formazione sin da bambina, è definibile con una sola parola: “Uomo”.

E nessuno di tali difetti, normali, sminuisce l’importanza dell’unione di questi formidabili personaggi, i quali, peraltro, sconfiggono i propri limiti proprio grazie alla forza del gruppo.

Dunque, un inno al sostegno reciproco, al sacrificio fatto per il bene di altri o per l’amore che per questi si prova e, in questo modo, per quello superiore, di tutti. Unità, sostegno e sacrificio anche nella lontananza, poiché è in questo modo che il Male viene efficacemente combattuto e sconfitto.

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Tale tema è stato ripreso da numerosissime storie, cinematografiche e televisive, e una delle più emblematiche è “Buffy The Vampire Slayer”, del quale vi parlerà Mary.

Cosa insegna “Il Signore degli Anelli”?

Che la forza vera, quella che ti serve per affrontare le peggiori avversità della vita (rappresentate simbolicamente da Sauron), ti viene data da una condizione fondamentale della tua interiorità: il credere in TE.

Da dove viene questo tipo di convinzione?

Principalmente dalle persone che ti amano e che ti reputano in grado di affrontare qualunque avversità.
Possiamo certamente dire che il leit motiv di “Buffy” (lo show che, come anticipato, andremo a paragonare col “Signore degli Anelli”, su questo tema) sia questo, rappresentato in maniera unica dalla Scooby Gang (simbolica metafora fantasy di unione, rispetto e coraggio).

E’ la Scooby Gang che porta la Cacciatrice ad essere la persona che conosciamo alla fine della serie.

All’inizio dello show, infatti, Buffy, oltre ad essere la Cacciatrice, è anche una ragazza come tante (coi suoi sogni, le sue aspettative e gli ideali romantici), ma ha il peso del mondo sulle spalle e tutto quello che può fare, alla fine, è solo combattere con tutte le sue forze.
Incessantemente: fin quando il nemico non verrà decimato. Senza schemi o momenti di riflessione, né persone vicino su cui poter confidare nei momenti di sconforto.

Questa situazione cambia con la Scooby Gang: lo so che è forse imprudente volerla porre sullo stesso piano (anche solo come ideologia) della Compagnia dell’Anello, ma a conti fatti… siamo di nuovo di fronte ad un gruppo di persone che poco hanno in comune l’una con l’altra se non un grande obiettivo da perseguire e un affetto reciproco che si sublimerà con il proseguire delle loro avventure.

Buffy, ma anche tutti gli altri (Gilles, Willow e Xander, soprattutto) non sono gli stessi che arrivano alla fine dell’avventura.

Così come non lo sono i membri della Compagnia.

La lotta li cambia. Le perdite li cambiano.

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E soprattutto i personaggi di cui andiamo a parlare si rendono conto che la vittoria è possibile ma non sicura e che dovranno mettere a rischio tutto per arrivarci.

La loro vita in primis: ecco perché Buffy non esita a donare (mi permetto un francesismo con il titolo dell’episodio, “The Gift”) la sua vita alla fine della stagione 5 e Frodo si reca al monte Fato, da cui difficilmente tornerà.

La simbologia che lega le due storie è molto potente: pensiamo al Male Assoluto che dimora a Mordor, dove l’Ombra cupa scende, e a Sunnydale che sorge sulla Bocca dell’Inferno; sia la Compagnia dell’Anello che la Scooby Gang si vengono a formare unicamente con lo scopo di salvare l’umanità.

La minaccia del Male contro l’umanità, la salvezza di quest’ultima nelle mani di semplici COMPARSE.

E in questo caso la metafora riguarda il fatto che TUTTI NOI (comuni esseri umani) abbiamo il destino del mondo nelle nostre mani.

Un concetto del genere, rispetto alle due epoche in cui sono usciti sia il libro che lo show televisivo, rimane assolutamente pertinente con quella ricerca di umanesimo che spesso descrive tutte le storie fantasy: sia nelle aspirazioni di pace e libertà delle generazioni che videro la nascita del libro, che in quelle della ricerca di un ideale per cui vivere (la così detta “Generazione X”) che videro la nascita dello show.

QUESTE “Comparse”, però, vincono per la sola ragione per cui il Male (nella letteratura fantasy e in generale) non lo farà mai: la vittoria viene dall’unione.

L’obiettivo comune li sprona a diventare quello che non sono e, soprattutto, non avevano mai creduto di poter diventare.

Potremmo in questo caso paragonare (sempre alla lontana) il percorso di Sam con quello di Xander.
All’inizio della storia questi due personaggi non sono sicuri di loro stessi, anzi. Si reputano degli inetti. Adatti solamente ad un ruolo di comprimari. Quello che li rende eccezionali riguarda soprattutto il modo e la ragione che li fa cambiare.

Nessuno dei due si vuole ergere a “grande condottiero” dell’umanità, ma semplicemente vogliono AIUTARE le persone che amano (Frodo e Willow, in questo caso).

Il loro cambiamento da personaggi incolore ad eroi avviene per questo motivo: l’essere parte del gruppo li porta a sviscerare quel coraggio e quella voglia di non arrendersi che veniva frenato da una vita senza pericoli.

Né Xander né Sam sono persone che amano i conflitti. Ma questo non diventa più vero quando le persone che amano si trovano in difficoltà. A quel punto si trasformano e trovano quella luce meravigliosa che solo i personaggi “buoni” posseggono.

La luce della vittoria.

Il Bene illuminato in questo modo vince in questo tipo di storie (in quasi tutte le storie, in realtà).

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Torniamo dunque a “Il Signore degli Anelli” e ricordiamo, a tal proposito, le parole di Sam, particolarmente emblematiche: “E’ come nelle grandi storie, padron Frodo. Quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericoli e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, è solo una cosa passeggera quest’ombra. Anche l’Oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, anche se eri troppo piccolo per capire il perché; ma credo, padron Frodo, di capire, ora. Adesso so. Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto. Andavano avanti, perché loro erano aggrappati a qualcosa. … C’è del buono, in questo mondo, padron Frodo. E’ giusto combattere per questo”.

 

Bene, anche per questa domenica la nostra rubrica si chiude qui.
Speriamo che anche quest’analisi vi sia piaciuta come a noi scriverla. Alla prossima domenica!

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Mariangela Pagliani nasce a Modena, nel 1973. Le sue più grandi passioni fin da bambina sono legate al mondo del fantastico e della fantascienza (tra i suoi primi film al cinema con il papà ci sono Guerre Stellari e Lo Squalo). Dopo la fase cartoni animati, da adolescente diventa un'avida lettrice: fantasy (su tutti Il Signore degli Anelli), qualche spruzzata di horror, ma soprattutto classici (Jane Austen e le sorelle Bronte, in particolare, ma anche Shakespeare). E' anche un'appassionata di cinema, ma soprattutto di serie tv americane, con una predilezione particolare per quelle dedicate ai vampiri, figura che sin da bambina la affascina. L'amore recente per la scrittura nasce dalla collaborazione nella gestione del sito The Vampire Diaries Italia, ma soprattutto dalla voglia di esprimere le emozioni che immagini e libri le trasmettono. Un libro suo? Forse un giorno quando riuscirà a concentrarsi abbastanza a lungo sullo stesso argomento!

4 COMMENTS

  1. Mia madre ha fatto la sua tesi di laurea sul Signore degli Anelli, e casa c’é un intero scaffale della libreria pieno di ogni singola opera uscita dalla penna di Tolkien. ‘And who cares’, direte voi. Ma é per farvi capire che io sono cresciuta pensando alla Compagnia dell’Anello come ad amici che vivevano giusto una porta più in là della mia – mi sono addormentata per anni con le loro avventure, lette prima ad alta voce, e poi da sola, e per me hanno un posto infinitamente speciale nella mia formazione di persona, prima ancora che di lettrice e appassionata di fantasy.
    Quindi complimenti infiniti per quest’analisi, che é perfetta in ogni punto ed é stata davvero emozionante da leggere. Bravissime <3

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