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Castle | Recensione 6×20 – That ’70s Show

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Castle | Recensione 6×20 – That ’70s Show

Volete la verità? La prima volta che ho letto di questo episodio, il mio giudizio professionale e articolato è stato: “Eh???
Sì, perché nonostante il mio amore irrazionale e ossessivo – compulsivo per “Castle”, avevo forti dubbi su come avrebbero reso una storia in costume senza rischiare di cadere nella banalità o peggio nell’inutilità. Ma che lo zio Andrew mi perdoni, sono stata una ragazza di poca fede e se già al “Written by David Amann” mi ero ricreduta, guardare l’episodio è stato una vera delizia, ritrovandomi di fronte a una puntata estremamente divertente, perfettamente scritta e con la capacità di sorprendermi e commuovermi anche un po’! That ‘70s Show folks, that’s Castle!

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Un Amore proibito

Tutto credevo possibile tranne che la storia si sarebbe evoluta in questo modo. Certamente tutta l’indagine non si è svolta nelle modalità più convenzionali ma il finale è stato sorprendentemente senza tempo. Ma partiamo dal principio: la vittima è una di quelle che piacciono tanto a Castle e per il calcolo delle probabilità, qualche volta va accontentato, ecco perché il caro Richard riconosce lo sfortunato vincitore di un bagno termale di cemento in un mucchietto d’ossa e lo identifica come Vince Bianchi, uno dei più ricercati mafiosi degli anni ’70, ebbene si, il talento del team Beckett (sembra The Voice detto così) non ha limiti di spazio o tempo.

Riportando indietro dalla naftalina i dossier del caso, si scopre che la vittima era scomparsa nel 1978 e che di lui non si era saputo più niente nonostante la sua realtà pullulasse così tanto di sospettati che al posto di una lavagna, Beckett avrebbe bisogno di un’intera parete per scriverli tutti. In cima alla lista però c’erano ovviamente i maggiori rivali in affari ma dato che il mondo in questione non era quello delle favole, a fare compagnia al nemico c’è anche l’amico, ossia il vice di Bianchi, il braccio destro Frank Russo. Passati in rassegna tutti i papabili benefattori, è proprio da Frank Russo che viene fuori un altro nome, quello del consigliere e amico fidato di Bianchi, Harold. E qui arriva il proverbiale bello perché il soggetto in questione è probabilmente uno dei più strani dai tempi del viaggiatore del tempo in quanto lui nel tempo si è bloccato, rifiutandosi di andare avanti e accettare la morte del suo migliore amico. Harold continua a vivere negli anni ’70 e per avvicinarsi a lui bisogna adeguarsi. Come immaginerete Castle non si crea particolari problemi a partecipare a questo gioco di ruolo; come immaginerete le occhiatacce che Beckett gli lancia sono particolarmente letali.

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Ma lo sappiamo, una volta partito, Castle non si ferma neanche sotto tortura, promettendo a Harold sicurezze che non può garantire, prima tra queste la concessione di vedere il corpo di Bianchi, corpo che per l’esattezza non esiste.

Così parte la Fase 1 di un piano che diventa via via più grande come una valanga in caduta libera dalle pendici di un monte. Prima fermata: l’obitorio. L’idea era quella di mostrare a Harold un finto corpo per convincerlo a condividere i dettagli di quella sera. Ciò che effettivamente ne deriva è un primo assaggio di cosplay, un tentativo di mettere a tacere Harold per sempre e … Pam Grier!!!!!

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 Sorvolando sulle reazioni di Espo e Ryan alla vista di Lanie …

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… parte la Fase 2 in quanto Harold non ha ancora aperto bocca e adesso pretende di essere portato al distretto per essere protetto in cambio di informazioni. La momentanea assenza di Gates porta Castle ai suoi massimi livelli e con un oratore del genere come partner nel lavoro e nella vita, Beckett non può fare altro che acconsentire al piano più strambo del mondo. Questi sono i risultati:

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Martha viene nominata regista, sceneggiatrice, acting coach, costumista e arredatrice per permettere all’intero distretto di tornare indietro nel tempo (tutto pur di tenerla lontana dalla programmazione del matrimonio), con un risultato meta-televisivo davvero irresistibile.

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Beckett diventa una figlia dei fiori un po’ troppo arrabbiata e spazientita ma nonostante tutto accetta addirittura il copione!

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Castle diventa Capitano, profanando il ruolo di Gates mentre Alexis viene richiamata per fare da comparsa (in tutti i sensi), sfoggiando però un look più audace del solito.

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Ma i veri campioni in carica sono loro, senza ombra di dubbio: Kevin “Hulk Hogan Ray Price” Ryan e Javier “Lenny Kravitz Snookie WattsEsposito. Prima impressione: sono inguardabili a livelli esagerati, quasi da parental control. Poco dopo però ci si fa l’abitudine e diventano quasi sopportabili alla vista e gli occhi smettono di bruciare forse perché la serotonina sale alle stelle per le risate.

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Espo, che all’inizio sembrava il più convinto tra i due, non riesce ad entrare completamente nel personaggio ed è inutile raccontarvi com’è andata a finire la riproduzione della mossa tipica di scivolare sull’auto d’epoca (se ve lo chiedono, non ero piegata in due dal ridere quando l’ho vista);

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Ryan invece è sempre una grande sorpresa in certi casi, ha un talento naturale e se non corresse il rischio di essere cacciato sia da Gates che da Jenny, ci sono buone probabilità che manterrebbe quel look.

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Nonostante la festa in maschera però, Harold continua a tenere per sé quelle informazioni che risulterebbero vitali per risolvere il caso e l’unico indizio che concede è il nome di un locale piuttosto “in” dell’epoca, il Glitterati, l’ultimo posto in cui la vittima era stata avvistata. Così mentre Ray Price e Snookie si rituffano nelle profondità degli anni ’70 e della disco-music, Gates ritorna al suo distretto o a quello che una volta era un distretto rispettabile. Ma la ramanzina piuttosto furibonda e razionale del Capitano viene inevitabilmente interrotta dalla prima vera svolta nelle indagini.

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Al Glitterati infatti Harold mostra di essere tornato a vivere nel 2014 e minaccia di morte il proprietario del locale, nonché il vice Frank Russo, accusandolo di aver ucciso Bianchi. Niente più figli dei fiori, niente più febbre del sabato sera, le cose ricominciano a farsi serie e cupcake Beckett non ha più voglia di scherzare. Harold, ritornato alla realtà dopo lo shock della sparatoria in obitorio, comincia a parlare e a raccontare di come quell’amicizia profonda con Vince si era trasformata in qualcosa di più, qualcosa di vero ma inaccettabile all’epoca e a volte ancora oggi. Così la sera della morte di Bianchi, la vittima aveva prenotato il Glitterati per chiedere la mano di una donna ma alla fine non era riuscito a portare a compimento il suo piano se questo significava smettere di ascoltare il suo cuore.

Il resto è ormai comprensibile, mai sottovalutare la rabbia di una donna rifiutata, soprattutto se dal matrimonio fosse scaturita l’unione tra due potenti famiglie mafiose. Archiviato il rifiuto con due colpi di pistola e un bagno di cemento, la donna aveva poi cercato una scorciatoia sposando il neo-promosso capo-famiglia Frank Russo.

Non ancora pronto a dire addio al suo look anni ’70, Castle propone (e ottiene) un’ultima serata al Glitterati per permettere a Harold di salutare per sempre il suo innamorato, accompagnato alla fine da un dolce ballo con Victoria Gates.

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E questo è tutto gente, questo è Castle, che ci fa sorridere e ci sorprende quando non ce lo aspettiamo e che ci prepara, cullandoci, a gioire della quiete prima della tempesta.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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