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Buffy | 20 anni di caccia ai vampiri

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Buffy | 20 anni di caccia ai vampiri

Ha salvato il mondo, lo ha salvato un sacco di volte!

Venti anni fa sulla ormai defunta WB, Buffy Summers (Sarah Michelle Gellar) ha segnato il suo arrivo nelle nostre vite trasformandole definitivamente.
“Buffy The Vampire Slayer” è uno di quei show ben più profondi di quanto vogliano far apparire.
Joss Whedon, il suo creatore, è riuscito nell’intento di creare una storia a livelli in grado di toccare le corde del nostro animo in tanti modi possibili.
Buffy rappresenta forse la più grande metafora della storia della tv e come è giusto che sia ha influenzato tantissimi altri show, film e libri, così come la vita di molti dei suoi fan, noi compresi.
Per festeggiare il ventennale dalla prima apparizione sui nostri schermi di “Buffy The Vampire Slayer” abbiamo deciso di creare questo articolo che ripercorre le nostre emozioni e i nostri momenti preferiti.
-Lestblue

Vent’anni dalla prima messa in onda di “Buffy The Vampire Slayer”.
Incredibile che sia già passato così tanto tempo!
Per noi nati nel decennio degli ’80 o nei primissimi anni ’90 questo show è stato una vera rivoluzione, che ci ha fatto divenire immediatamente addicted.
Ogni settimana i discorsi in famiglia erano i soliti: “Stasera non ci sono per nessuno, eh! Rispondete voi al telefono perché io non lo farò, non venite a disturbarmi! C’è Buffy!”
Ovviamente era in onda sulla televisione italiana, su Italia 1, canale su cui iniziò la trasmissione in Italia nell’estate del Duemila. Tempi in cui lo streaming non si immaginava nemmeno cosa potesse essere, cose di cui i giovincelli non conoscono neanche lontanamente il significato (come direbbe qualcuno, beati figli dell’estate).

E pensare che questo telefilm è nato dal un flop: “Buffy The Vampire Slayer”, infatti, nacque come film nei primi anni ’90, nel cui cast figurava anche Luke Perry, l’adoratissimo Dylan di “Beverly Hills 90210” (l’originale, non quella pallida imitazione più recente).
Un film che, dicevo, fu un flop totale. Evidentemente, però, si intuì il potenziale intrinseco della storia ed ecco perché a Joss Whedon, già autore della sceneggiatura del film venne riproposta l’idea di questa storia, da realizzare come telefilm. E così, apportate alcune modifiche alla storyline e alla mitologia da lui stesso creata, ecco che venne realizzata nuovamente questa storia, ampliandola fino a a farla divenire quel cult che tutti conosciamo.
“Buffy The Vampire Slayer”, infatti, già alla sua conclusione era divenuto un telefilm cult, status raggiunto da pochi, capace di tenere testa alle grandi emittenti televisive americane (quali abc, NBC, Fox…) e riconosciuto come serie tra le più memorabili (nonostante alcuni episodi davvero dimenticabili). Un telefilm che è ancora uno degli show immancabili nella bibliografia di un telefilm addicted. I motivi sono i più vari: personaggi ben tratteggiati, divertenti e complessi al tempo stesso, tematiche profonde rappresentate attraverso la metafora del soprannaturale, interpreti decisamente azzeccati. E, ovviamente, immancabile in ogni storia che si rispetti, l’amore, complicato e combattuto.
Al centro di tutto, però, c’era LEI, Buffy Summers, giovane liceale con sulle spalle il peso del mondo (letteralmente), costretta a crescere troppo in fretta, donna e ragazzina al tempo stesso, incredibilmente forte ma anche fragile. Attraverso di lei, ogni ragazza ha potuto vivere il passaggio dall’infanzia (in senso lato) al divenire giovane donna, con tutte le difficoltà che ciò implica, immedesimandosi proprio in Buffy e nei suoi sentimenti, nelle sue emozioni. In Buffy, a noi ragazze venne data un’eroina a tutto tondo, persino, in un certo senso, un modello, soprattutto per quelle decisioni così tremende che Buffy ha dovuto prendere, delle terribili sofferenze patite, e di cui ha sopportato il peso in silenzio.

Accanto a Buffy c’era tutta una serie di personaggi ognuno a suo modo unici, sempre per la profonda umanità che li contraddistingueva. Umanità nel senso più ampio del termine, volendo indicare tutto l’insieme di difetti e pregi, debolezze e insicurezze, che caratterizzano ogni persona. Personaggi che, però, apportavano anche una grande dose di umorismo, a tratti nero, che era uno dei tanti punti di forza dello show. Prendiamo l’introversa e timida Willow, che compie un percorso notevole quanto quello di Buffy stessa, nonché amica saggia, leale e premurosa. Pensiamo ad Anya, che aveva la capacità di dire la cosa sbagliata e di esprimere un’insensibilità incredibile, ma che era così perché ex demone, e cercava di trovare la sua dimensione come umana, un equilibrio con quella gamma di emozioni che per lei era del tutto nuova. Eppure, anche le sue frasi più sgradevoli erano in fondo fonte di meraviglioso umorismo. Pensiamo a Giles, il mentore che tutti vorrebbero avere, dal passato più complicato di quanto si potesse immaginare.
Dicevo, temi importanti: basti pensare a Willow e Tara, alle stragi nelle scuole superiori… e ai bellissimi monologhi, di Angel e Spike, sulla passione e sull’amore, colmi di poesia.

Angel e Spike, i due vampiri della vita di Buffy, l’amore impossibile e quello controverso e inaccettabile, in un certo senso, due figure maschili notevoli, bellissime e tragiche.
Personalmente, il mio preferito tra i due era Angel, di cui amavo l’aura romantica e tormentata; inoltre, adoravo Spike come avversario e avrei preferito che rimanesse un nemico-alleato a forza. Forse anche per scelte narrative sbagliate verificatesi a tratti, mi è sembrato che rendendolo innamorato di Buffy sia stato in qualche modo sminuito, perché diciamolo: Spike era il temibile assassino di Cacciatrici ed era favoloso.
Come dimenticare una delle sue frasi più memorabili, in merito a Buffy?

“E’ la carie nei miei denti, la pulce nel mio orecchio, la maledetta spina nel mio dannato fianco!”

Come dimenticare la fierezza e ferocia reciproca, quando lui e Buffy si scontravano e combattevano?

“Preferisco combattere contro di te.” – “Reciproco!”

Inoltre, fu proprio l’avere Spike come nemico e come alleato di forza, a causa degli eventi, che portò ad alcuni degli episodi più memorabili, quali quelli inerenti all’Ordine di Taraka, fino al decimo episodio della seconda stagione (nono e decimo in particolare); il tredicesimo e il quattordicesimo della stessa stagione (in cui Drusilla e Spike ricomposero Il Giudice, eventi che portarono alla perdita dell’anima per Angel e alla ricomparsa di Angelus), nonché il finale di quella stagione, con Buffy costretta a uccidere un Angel appena rientrato in possesso dell’anima, per evitare la distruzione del mondo.
Fu l’avere Spike come nemico che portò ad alcune delle frasi più emblematiche della stessa Buffy:

“La senti? E’ rabbia, questa. Ti dà forza, vero? La rabbia serve a una Cacciatrice.”

La seconda e la terza stagione… in assoluto le mie preferite, “Halloween”, “What’s My Line” pt.1&2, “Innocence”, “Surprise”, “Becoming” pt.1&2 gli episodi che amo in modo particolare.
Ciò non toglie, comunque, che Spike sia rimasto un personaggio memorabile in ogni caso, la cui fine è stata degna della sua grandezza intrinseca.

“Buffy The Vampire Slayer” è sicuramente uno degli show che mi definisce quale telefilm addicted e mi ha formata come tale e l’amore per questo show in me non cesserà mai.
– Sam

 

Parlare di “Buffy” mi riporta, nel bene e nel male, alla mia adolescenza e a una delle mie prime passioni in campo telefilmico.

All’epoca non c’era lo streaming e se ti dimenticavi di registrare l’episodio pomeridiano eri completamente fregata. Le cose non migliorarono quando Italia 1, a causa dei contenuti “forti” delle ultime stagioni, spostò la trasmissione dello show nel cuore della notte, rendendone la fruizione a dir poco improbabile.

Nonostante questo, ho tenuto duro e sono rimasta fedele fino alla fine, ignara che ci sarebbero state una seconda e una terza volta, ignara che avrebbero inventato quella dolce cosa chiamata rewatch.

A rivederli ora, forse, alcuni episodi, soprattutto se tratti dalle prime stagioni, potrebbero sembrare parecchio ingenui, ma paradossalmente questo è uno dei punti di forza di quest’opera: è partita con leggerezza (anche se a voler guardar bene, fin dall’inizio erano presenti molte delle tematiche importanti e scottanti che l’hanno caratterizzata, come la volontà di sacrificio e il peso dell’espiazione) per poi crescere insieme ai suoi spettatori, buttando sul fuoco riflessioni e spunti sempre più profondi.


 
 
 
Whedon è stato inoltre il primo a punirci e a portarci all’esasperazione con quel mix atroce di  gioia e sofferenza che poi sarebbe stato affinato e perfezionato da showrunner come Moffat: ci ha fatto innamorare alla follia di personaggi e relazioni per poi strapparceli brutalmente (sto pensando ovviamente a Tara e Anya, prime vittime inconsapevoli di una cultura del sadismo ai danni dei fan che sarebbe diventata preponderante nel corso dei venti anni successivi).

Scegliere il mio episodio preferito in un telefilm tanto amato non dovrebbe essere facile, ma io non ho mai avuto dubbi al riguardo: “Once more with feeling” si classifica senza sforzo al primo posto, sia per la sua peculiarità (inserire un episodio musicale in un’ambientazione dai toni dichiaratamente horror fu senza dubbio una scelta coraggiosa) che per il fatto che rappresenta una chiave di volta fondamentale per l’intera stagione e per l’intera serie.

Questa puntata risulta infatti stranamente densa di avvenimenti e di rivelazioni che cambieranno in maniera definitiva e inappellabile l’equilibrio e le dinamiche esistenti fra i personaggi.

Giles, per esempio, comincia a sentirsi inadeguato nel suo ruolo di mentore e guida, soprattutto perché la sua protetta sembra essere andata ormai tanto oltre da risultare irraggiungibile.

Tara scopre che Willow ha manipolato la sua memoria per indurla a dimenticare un litigio importante avvenuto fra di loro e la cosa, anche in virtù della violenza subita da Glory nel corso della quinta stagione, porta a una frattura quasi insanabile fra le due, una frattura che si ricomporrà giusto un attimo prima del tragico e inaspettato epilogo riservato a questa coppia.

I’m under your spell
God, how can this be?
Playing with my memory
You know I’ve been through hell
Willow, don’t you see?
There’ll be nothing left of me
You made me believe

Anya e Xander si trovano ad affrontare per la prima volta ad alta voce le loro insicurezze e si innesca il processo che porterà il giovane ad abbandonarla sull’altare.

Soprattutto, però, in questo episodio vediamo finalmente Buffy rivelare ai suoi amici che, resuscitandola, essi non l’hanno salvata da una terrificante dimensione infernale, ma l’hanno invece strappata dalla pace a lungo agognata e finalmente raggiunta in Paradiso.

Gli strascichi di questa confessione porteranno Buffy ad estraniarsi sempre di più dal gruppo e ad avvicinarsi a Spyke, l’unico essere che sembra in grado di capirla.

Una puntata particolarmente densa, come dicevo, che lascia tutti i protagonisti, nessuno escluso, in uno stato di confusione e smarrimento, espresso alla perfezione dal numero musicale che chiude l’episodio, “Where do we go from here”.

Una menzione speciale va ovviamente alle canzoni, così orecchiabili e convincenti che, a distanza di anni, trovano ancora posto in quasi tutte le mie playlist (una su tutte, la splendida “Rest” in peace cantata da James Marsters).

– MooNRiSinG

 

Quando si intraprende un percorso come quello che stiamo affrontando noi oggi bisogna, per quanto mi riguarda, procedere con cautela, perché ci addentriamo in una realtà talmente iconica, determinante e innovativa, sia per il tempo in cui è sorta sia per la nostra contemporaneità, che trattarla senza il dovuto rispetto e soprattutto senza la dovuta consapevolezza dell’impatto che ha avuto sul mondo sarebbe quasi un sacrilegio. “Buffy The Vampire Slayer” è quella serie tv che racchiude in sé tanti di quei livelli narrativi e interminabili significati letterali e metaforici che analizzarli ora ci condurrebbe per direttissima al suo quarantesimo anniversario, ma dal mio punto di vista un aspetto dal quale è impossibile fuggire ogni volta che questo show viene nominato è rappresentato dai Ricordi. “Buffy The Vampire Slayer” ha compiuto ieri vent’anni dalla sua prima comparsa televisiva, vent’anni durante i quali è stato capace di segnare in modi e tempi diversi la vita di chiunque si sia rapportato a questa serie in quel momento particolare. Per quanto riguarda me, “Buffy TVS” è stata, quasi parallelamente a “Streghe”, la serie tv che mi ha davvero iniziato a questo mondo dal quale non sono più uscita e non dico che sia stata la prima serie tv che ho visto o la mia preferita, intendo dire che ricordo perfettamente il momento esatto in cui tutto è cambiato, il momento in cui quella serie ha avuto una presa sempre maggiore su di me, diventando giorno dopo giorno un pensiero fisso, un costante argomento di discussione, una realtà che mi affascinava più di quanto riuscissi a controllare e che mi trasportava lentamente dall’altra parte dello schermo, diventando, a seconda della necessità, un’insegnante, una sfida, un rifugio, uno spazio solo mio al di là di una ordinarietà dalla quale tante volte è difficile se non impossibile fuggire. Ma “Buffy” me lo permetteva, oltre la scuola, oltre i dilemmi adolescenziali, oltre il grigiore di una vita che appariva troppo normale, “Buffy” era la cosa in più, era il traguardo a fine giornata, era la possibilità di cominciare a definirsi, sì, anche tramite una serie tv, anche tramite una storia o un personaggio, e lo so con certezza perché a oggi, in parte, sono ancora la persona che si è fomata guardando l’ammazzavampiri. Quindi il primo risultato irraggiungibile che questo show ha conseguito secondo me sta proprio nella svolta che ha apportato nelle vite di tanti come nella mia perché, soprattutto per una ragazza, credo che Buffy abbia rappresentato un nuovo modello da seguire, una nuova speranza, una possibilità di ritrovare nella sua forza e nel suo coraggio, la nostra forza. Ma quando dico che questa serie mi ha “iniziato” al mondo dei telefilm, intendo dire che, crescendo, è stata anche una delle primissime serie tv che mi hanno fatto innamorare al punto tale da spingermi ad andare oltre la scena e a cercare qualunque cosa o chiunque fosse responsabile di ciò che stessi guardando, in poche parole “Buffy TVS” è stato uno dei principali artefici della mia passione per il lavoro che esiste alle spalle di un serial televisivo. Ed è così che ho incontrato per la prima volta il nome di Joss Whedon. Quando si parla di ciò che quest’uomo ha creato a livello televisivo soprattutto, si usa spesso il termine “whedonverse”, una dicitura che mi ha sempre fatto “perdere la testa”, perché si tratta dell’unione tra “whedon” & “universe”: in definitiva ci troviamo di fronte a un macro cosmo creato e sviluppato da una singola persona, una singola mente, dall’immaginazione di un uomo visionario che ha saputo imporre uno standard a oggi ancora irraggiungibile e che ha impostato le basi di un genere in perenne evoluzione, rendendo le sue storie e tutti i personaggi che hanno gravitato nell’orbita del suo universo letteralmente immortali. Ecco, questo è un aspetto che ancora oggi mi toglie il respiro e mi riempie di ammirazione quando penso a “Buffy The Vampire Slayer” perché è una serie tv che ha aperto la strada a un genere che oggi cavalca ancora la cresta dell’onda e l’ha fatto quando nessuno ci credeva, quando nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo su questa idea. Memore del terribile e imbarazzante flop subito dalla pellicola cinematografica da cui la serie prende l’idea, quando Joss Whedon ha riproposto la storia in chiave televisiva e revisionata completamente in ogni suo aspetto, il timore di un nuovo fallimento era tangibile per tutti e in particolar modo per la storica WB che pur avendo acquistato il pilot, non aveva concesso né fiducia né un grande budget per la produzione dello show. Ci troviamo così di fronte a una prima stagione in cui le uniche luci a disposizione erano quelle naturali, gli effetti speciali erano fondamentalmente un optional e quell’affascinante effetto ombra che la costante oscurità donava alle scene non era esattamente voluto [nonostante si sia rivelato per me parte della riuscita geniale della stagione]. “Buffy TVS” era in fondo un esperimento, a basso rischio proprio per quanto riguarda l’aspetto tecnico dello show, sviluppato praticamente con gli spiccioli della merenda, ma estremamente coraggioso dal punto di vista della caratterizzazione, perché tra le tante “prime volte” che si possono annoverare tra i traguardi di questo show, la più importante è rappresentata dalla sua protagonista. Buffy Summers, adolescente, minuta, alla moda e… bionda, è stata la prima figura femminile a ribaltare gli stereotipi del genere horror. La ragazza un po’ svampita che solitamente nei film horror è una delle prime ad essere uccisa dal mostro di turno, adesso prende il controllo della situazione e dà la caccia ai suoi demoni, stringendo con decisione tra le mani le redini della sua vita, e provando, anche contro il destino e le profezie, a decidere del suo futuro, a cambiare le carte in tavola e a segnare una svolta in una tradizione secolare di cui non conosce ancora tutta la storia ma che comunque è determinata a cambiare. Con Buffy vengono distrutti i primi tabù legati al genere, all’età, all’apparenza, con Buffy si costruiscono in televisioni le basi del femminismo inteso in senso moderno, in cui la donna comincia la sua scalata all’uguaglianza. E particolarmente legata a questo aspetto del personaggio è una delle storyline che più ho amato della serie.

Innanzitutto c’è da dire che personalmente ho sempre avuto un debole per le prime stagioni della serie, quelle stagioni in cui la mitologia della cacciatrice era in fondo solo agli inizi ma in cui mi affascinava terribilmente quanto lo scenario scolastico facesse da sfondo e da metafora alla lotta contro le creature infernali e soprattutto alle battaglie quotidiane che Buffy affrontava in quanto adolescente di già troppo adulta. E in questo contesto ho onestamente amato la profondità e la storicità del personaggio del Maestro e soprattutto degli effetti che la sua presenza ha su Buffy.

Il finale della prima stagione resta ancora oggi uno dei miei episodi preferiti per la serietà con cui gli orrori perpetrati dal Maestro e dai suoi seguaci vengono trattati e soprattutto mi emoziona ancora quanto le antiche profezie legate alla figura della Cacciatrice incombano oscure su una ragazza adolescente che non vuole sopportarne il peso. Buffy doveva morire. Non era una storia di eroi e di coraggio, non era un rischio calcolato, non era accettabile per il bene del mondo, era semplicemente triste, era impensabile, era pura follia per una ragazza che nonostante avesse accettato il suo destino, aveva ancora diritto a vivere la sua vita, per quanto assurda e difficile essa si rivelasse. Respingere un fato disumano che era destinato a realizzarsi e che le appariva senza vie di fuga e senza soluzioni era per Buffy la guerra più atroce che avesse mai dovuto combattere fino a quel momento e le sfumature del suo primo confronto con il Maestro sono talmente adulte e inquietanti da far dimenticare in un istante la natura teen con la quale la serie apparentemente nasce.

Ma ancor più profonda secondo me è la rappresentazione della conseguente PTSD (sindrome da stress post-traumatico) mostrata nella premiere della seconda stagione. Le parole del Maestro, l’esperienza di pre-morte vissuta per alcuni secodi, la consapevolezza di trovarsi “intrappolata” in una missione in cui da un momento all’altro una profezia potrebbe obbligarti a sacrificarti per il bene comune, sono tutti traumi che Buffy finge di riuscire a canalizzare tornando alla normalità della sua vita ma che alla prima occasione riemergono in superficie con la stessa violenza con cui Buffy aveva cercato di metterli a tacere. Le ferite cicatrizzate ma mai davvero guarite di Buffy mi appaiono ora come straordinarie metafore di sofferenze ed esperienze traumatiche reali, quotidiane, ordinarie, momenti in grado di segnarci, di cambiarci e di indebolirci ma che non ci spezzano, rendendoci eroici sopravvissuti nella nostra normalità.

Questo è l’insegnamento che Buffy mi ha lasciato nel mio percorso di crescita, mi ha mostrato quanto facciano male tutti i colpi bassi che la vita ci riserva, mi ha mostrato quanto legittime siano la rabbia e la frustrazione e infine mi ha mostrato come rialzarsi e riprendere il controllo del nostro destino. Per questo motivo, dopo vent’anni, siamo ancora qui a parlare di lei, perchè un personaggio del genere non sarà mai solo il passato, ma resterà sempre una costante senza tempo.

WalkeRita

Lestblue è una persona fondamentalmente pigra e quindi ha deciso di optare per una digressione in video riguardo al suo amore per la Cacciatrice e per tutto ciò che la circonda!

https://www.youtube.com/watch?v=_fHkOgEtJOg
– Lestblue

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