
Lo speciale di questa settimana della nostra rubrica dedicata al mondo british, è tutto per l’ultima trasposizione de “I Miserabili” di Victor Hugo da parte di BBC One.
Ho atteso con entusiasmo di guardare questa trasposizione televisiva del classico della letteratura francese, fin da quando vennero rese pubbliche le prime notizie sulla sua realizzazione. Speravo, infatti, che avendo a disposizione sei puntate, l’opera di Hugo potesse prendere vita davanti ai miei occhi. Non avrei potuto sbagliarmi di più.
Nel complesso, la miniserie risulta didascalica. Nonostante le sei ore a disposizione, lo spazio dedicato ad un approfondimento dei personaggi è poco e risultano in molti casi a malapena abbozzati. In più occasioni, gli episodi del libro sono rimaneggiati in maniera tale da creare una suspence ma, sfortunatamente, non sortiscono alcun effetto. L’ altro grande difetto è il ritmo: in più punti ho fatto fatica a restare sveglia e non perché fossi particolarmente stanca. In generale, ho avuto l’impressione che la volontà di presentare il più pedissequamente possibile gli eventi (con l’aggiunta di qualche invenzione) abbia finito per rendere il tutto poco fluido e privo di pathos. Come direbbe un insegnante: “Il tema ha rispettato la consegna ma manca di brio: voto 6”.
I personaggi
Questo timore reverenziale della BBC nei confronti de “I Miserabili” si riflette anche nella regia e nelle interpretazioni degli attori. Pur avendo beneficiato di un cast di pregio, i personaggi – fatta qualche eccezione – risultano freddi, poco coinvolgenti, perfetti automi ma privi di un’anima.
Questo è riscontrabile innanzitutto in Dominic West e David Oyelowo, interpreti rispettivamente di Jean Valjean e dell’ispettore Javért. In entrambi i casi, ho trovato mancasse il tratto che contraddistingue i personaggi: la potenza dirompente (non solo fisica) di Valjean e il suo tormento interiore che permeano ogni sua azione – buona o cattiva – diventano semplice prestanza fisica e il personaggio è riuscito realmente a raggiungermi emotivamente solo nella riconciliazione finale con Cosette. D’altro canto, il dissidio interiore, l’intransigenza alle regole di Javért, è parsa semplice e banale rigidità, tanto che nella scena finale – che dovrebbe essere l’apoteosi della crisi del personaggio – non riesce a coinvolgere lo spettatore che affronta il gesto estremo come un banale evento della lista e non come un reale momento di rottura del personaggio.
Ottima, invece, Lily Collins. La scelta di mostrarci il passato di Fantine, la sua progressiva perdita della genuinità e la povertà – miserabile – in cui cade in seguito alla nascita di Cosette, sono ben scritte e ben recitate. Il volto pulito e dolce della Collins che decade con gli eventi, risulta perfetto per il ruolo.
Promossa a pieni voti anche l’interprete di Éponime (Erin Kellyman): il personaggio della giovane Thérnadier, gode di un meritato approfondimento che riesce a renderla umana e a farci sinceramente commuovere per la sua morte. La sua forza derivata dall’essere stata sfruttata dal padre per tutta la vita, l’amore per Marius che la porta all’estremo sacrificio, rendono il suo personaggio interessante e sicuramente tra i migliori.
Nella fascia mediana degli interpreti di questa versione della BBC de “I Miserabili“, troviamo tutti gli altri. Cosette (interpretata da Ellie Bamber) è convincente nei panni della fanciulla amata e incantevole, Marius de Pontmercy (un Josh O’Connor che abbiamo visto di recente in “The Crown“) veste bene i panni del personaggio e – complice un aspetto piacente ma non troppo – lo rende credibile. I Thérnadier sono macchiette utili allo scopo, mi dispiace solo che Olivia Colman venga sfruttata così poco. Monsieur Thérnadier risulta odioso e non redimibile come nel libro, tuttavia molte delle sue macchinazioni rallentano la trama e la rendono farraginosa. Madame Thérnadier, pur avendo la Colman a disposizione, ha poco spazio ed è una figura tragicomica più che meschina.
Sfortunatamente, personaggi minori come Gavroche e il circolo rivoluzionario, sono semplici elementi della sceneggiatura: dimentichiamoci il carisma del piccolo Gavroche (David Huttlestone) del musical o l’immensa interpretazione che – sempre nel musical ma anche a teatro – da Aaron Tveit di Enjolras.
Molti episodi di questa versione de “I Miserabili” della BBC, avrebbero potuto essere presentati in maniera più veloce (es. Thérnadier che salva la vita al padre di Marius) e più spazio si sarebbe potuto dedicare a rendere i personaggi a tutto tondo. Se è vero che gran parte del pubblico conosce Valjean e compagnia, è anche vero che i personaggi dovrebbero prendere vita sullo schermo e non solo nei ricordi di chi guarda la miniserie.
Ma il difetto più grande resta l’epopea del “miserabile” raccontata con freddezza, e non serve l’inquadratura finale dei due orfanelli che chiedono le elemosina per strada al freddo a riabilitare la miniserie. Ognuno dei personaggi di Hugo è miserabile a modo suo e la povertà, intesa come mancanza di ricchezza, non è l’unica forma di miseria della quale il grande scrittore francese, ci ha dato testimonianza.
La mia recensione finisce qui, voi l’avete vista? Se sì, vi è piaciuta? Se no, vi ho fatto passare la voglia di recuperarla?
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E ricordate… stay tuned, stay British Addicted!