Home Netflix 4 motivi per cui Hill House mi ha profondamente deluso

4 motivi per cui Hill House mi ha profondamente deluso

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4 motivi per cui Hill House mi ha profondamente deluso

Prima di partire a elencare ciò che il titolo promette – ovvero le ragioni per cui l’hype che circonda la serie The Haunting of Hill House secondo me è completamente immotivato – mi sembra giusto premettere due cose: la prima, è che la serie in sé – presa per ciò che è realmente e non per il capolavoro horror dell’anno – è molto carina e godibile, diciamo che non sconsiglierei a nessuno di guardarla. La seconda, è che secondo me Mike Flanagan ha fatto un ottimo lavoro per quel che riguarda il rimaneggiamento della storia. Ha preso un romanzo che a me personalmente è sembrato estremamente noioso e l’ha cambiato da cima a fondo rendendolo interessante, sensato, e riuscendo allo stesso tempo a inserire qua e là le citazioni e i rimandi giusti che chiunque abbia letto il testo non può fare a meno di notare e apprezzare.

Stephen King ha dichiarato che secondo lui la stessa Shirley Jackson avrebbe amato i cambiamenti, io dico che si sarebbe un pochino mangiata le mani chiedendosi come avesse fatto a non pensarci lei a certi sviluppi.

Ma veniamo ai motivi per cui mi sento delusa!

  • Una casa infestata, qualche morte procurata da detta casa e un piccolo esercito di fantasmi, non fanno un horror – e infatti Hill House di horror non ha proprio nulla. Avevo aspettative alle stelle da questo punto di vista, ho visto commenti terrorizzati in ogni dove, ho perfino letto un articolo in cui si diceva che persone non troppo forti di cuore avessero abbandonato la serie perché era davvero troppo paurosa. Dopo aver guardato tutti e dieci gli episodi, sono giunta alla conclusione che evidentemente le persone di cui sopra non hanno mai, ma proprio mai nella loro esistenza, visto un horror. Perché io da un horror come minimo mi aspetto un senso di inquietudine perenne, quello stare seduta sul bordo del divano psicologicamente pronta a saltare per aria a ogni inquadratura, quella vocina nella testa che ti dice che forse è meglio non guardare un episodio prima di andare a dormire. Da un horror mi aspetto anche un bisogno di binge watch psicosomatico, perché se parte di te non vuole andare avanti per paura di sapere, l’altra parte di te deve andare avanti proprio perché deve sapere. Be’, Hill House a me non ha dato nulla di tutto ciò: niente brividi lungo la schiena una scena sì e l’altra pure, niente bordo del divano, niente paura mista a bisogno di sapere, sapere, sapere, mentre tenevo le dita incrociate e recitavo il rosario immaginario del speriamo che qualcuno si salvi. Nulla. Ho finito il primo, il secondo, il terzo, il quarto, perfino il quinto episodio illudendomi che l’horror magari stesse per arrivare, e invece ho finito il decimo sicura di poter catalogare questa serie come un family drama dalle tinte sovrannaturali.
  • Viene tirato tutto troppo per le lunghe con episodi che arrivano fino all’ora e dieci minuti – lunghezza che personalmente ritengo illegale per una singola puntata di una serie tv. I primi cinque, in cui ci viene fornito un po’ di background sui personaggi, passano anche abbastanza lisci ma poi arrivano gli altri e dopo averli guardati tutti e cinque di fila, ti ritrovi a pensare che il contenuto delle ultime cinque ore della tua esistenza poteva venir racchiuso in un singolo episodio da quaranta minuti senza togliere niente alla storia. Insomma, non un punto a favore.
  • Se da un lato la narrazione che procede per continui flashback e salti temporali è stato uno dei pochi aspetti che ho veramente apprezzato, dall’altro i continui cambi di punto di vista hanno avuto su di me l’effetto opposto di ciò per cui invece probabilmente erano stati congeniati. So che la serie è composta da soli dieci episodi e che è stata studiata nell’ottica del binge watch, ma io che invece di guardarla in dieci ore consecutive l’ho fatto in tre giorni, mi sono ritrovata a perdere completamente interesse per tutti i piccoli cliffhanger con cui gli episodi dedicati ai personaggi singoli ci avevano lasciato. Al terzo giorno – che sarebbe poi oggi – mi sono ritrovata in uno stato di totale apatia e completo menefreghismo nei confronti delle sorti dei protagonisti o dei segreti racchiusi dall’insana Stanza Rossa.

    Tralasciando il fatto che il mistero della Stanza è stato svelato molto chiaramente nel momento in cui papà Crain ha detto “la casa sull’albero non esiste”, rendendo del tutto inutile la spiegazione for dummies arrivata due episodi dopo tramite il fantasma di Nellie, diciamo che nessuna delle varie storyline mi ha coinvolta al punto da sentire il bisogno fisico di sapere. Tranne quella di Nell, la storyline di Nell è meravigliosa, peccato che si concluda entro il quinto episodio..

  • La recitazione è stato forse il tallone d’achille più grosso della serie – se togliamo Carla Gugino, Victoria Pedretti e i bambini, per il resto ci troviamo di fronte ad interpretazioni abbastanza monoespressive che culminano nella scena in cui il fantasma di Nell compare nella macchina con Shirley e Theo e quest’ultima si catapulta fuori nell’erba dando vita a una sequenza che ti fa quasi pensare di aver sbagliato programma e aver messo su uno Scary Movie qualunque.

Insomma, se dovessi dare un voto a questa produzione di Netflix, le darei comunque la sufficienza – perché, come ho detto all’inizio, si tratta di un prodotto godibile e ben realizzato. Promette però troppo classificandosi all’interno di un genere difficile da soddisfare, senza per l’appunto, riuscire a farlo, e questo va molto a influire su una valutazione che, con addosso l’etichetta appropriata – family drama – probabilmente sarebbe stata molto più alta.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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