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Wicked City | Recensione 1×01 – Pilot

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Wicked City | Recensione 1×01 – Pilot

È sempre difficile parlare di un pilot, perché quaranta minuti non bastano a comprendere una nuova serie, a conoscerne i personaggi e farsi un’idea precisa di loro, a capire dove gli autori vogliano andare a parare e via dicendo. A volte un pilot ti fa innamorare visceralmente di un personaggio per nessuna ragione particolare, a volte ti fa dire addio a una serie senza possibilità di appello – di nuovo, senza nessuna ragione particolare – altre volte invece ti lascia un po’ così, a chiederti se ti sia piaciuto o meno, se gli daresti una seconda chance o meno, se tutto l’amore che senti di provare già per un personaggio sia dovuto alla scrittura del personaggio stesso o al semplice fatto che adori l’attore che lo interpreta. Questo è quello che è successo a me con il pilot di Wicked City, non posso dire di averlo amato, però non posso nemmeno affermare che non mi sia piaciuto – ma non vi so nemmeno dire se tolti Ed Westwick e il fatto che la devo recensire, avrei dato alla serie una seconda chance o se mi sarei detta “no, segui già settordicimila serie, questa puoi depennarla, ciao.”

Ma andiamo con ordine.
La serie segue le vicende del Sunset Strip Killer, che adesca le proprie vittime nei locali della Sunset Strip a Los Angeles e dopo averle uccise prima le violenta e poi le decapita. Sì, stiamo parlando di necrofilia e urgh, gross. Per chi non lo sapesse, la figura di Kent Grainger è stata ispirata a quella di un serial killer realmente esistito e che operava proprio sulla Sunset Strip negli anni ’80, Doug Clark, insieme alla sua partner in crime, Carol M. Bundy. I due adescavano principalmente prostitute e ragazze scappate di casa, e il loro modus operandi era quasi identico a quello di Grainger, al punto che l’omicidio a cui assistiamo nei primi cinque minuti del pilot ricalca alla perfezione uno di quelli che Bundy confessò dopo l’arresto. Al momento non ci è dato sapere se l’intera vicenda del nostro serial killer seguirà scrupolosamente le orme di Clark o se prenderà una strada a sé stante, nel primo caso SPOILER ALERT, finirà male per tutti quanti.

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Kill me, I like giving back!

Parliamo del cuore dello show, di Kent Grainger e della sua partner in crime – e non solo – Betty Beaumontaine, interpretati rispettivamente da Ed Westwick ed Erika Christensen, entrambi volti noti, notissimi, a un telefilm addicted. Mentirei se dicessi che non mi sono piaciuti, perché mi sono piaciuti tantissimo entrambi. Kent di notte è “chiunque tu vuoi che io sia” per fare un crossover telefilmico – “The kind of guy who tells a girl what she wants to hear”, come lo analizza il detective Roth – è un camaleonte, è freddo, calcolatore, preciso, imperturbabile, mentre di giorno si trasforma nell’amabile ragazzo della porta accanto a cui lasciare in custodia i propri figli nel momento del bisogno.

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Kent adesca le sue prede tramite l’analisi psicologica, facendo loro credere tutto ciò in cui vogliono così disperatamente credere e uccidendole poi senza fare una piega, con calma, assaporando il momento e lasciandosi cullare da esso. Ha un suo rituale, che consiste nel dedicare loro una canzone alla radio per poi ucciderle subito dopo il passaggio di essa, rituale che ha un qualcosa di perverso e poetico allo stesso tempo, non saprei esattamente come spiegarlo ma è come se lui volesse donare un ultimo sorriso alla propria vittima prima di accoltellarla e raggiungere la propria pace dei sensi. In generale la musica ricopre un ruolo molto importante in questo show, secondo me nessuna canzone è scelta a caso e ognuna è proprio parte integrante della narrazione.

Betty inizialmente è solo un’altra delle sue vittime designate, ma nell’esatto istante in cui la dedica passa alla radio e lui sta per tirare fuori il coltello, scopre che in realtà lei ha due figli ed è stata abbandonata dal padre di essi anni addietro, e improvvisamente tutto cambia. Nell’abbandono Kent sente di avere qualcosa in comune con Betty, nel fatto che entrambi abbiano dovuto farsi strada da soli nella vita avverte un’affinità e decide non solo di risparmiarla, ma di renderla anche partecipe della propria vita. In più, il fatto di volerla inizialmente risparmiare solo per il fatto che avesse due figli, ci dice che Kent ha un codice e una particolare sensibilità nei confronti di certi argomenti.

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Betty è indubbiamente disturbata – quale madre mollerebbe i figli dalla baby sitter per andare a fare pompini in allegria a uno sconosciuto? – e ne abbiamo immediatamente la conferma quando la vediamo uccidere un ragno con deliberata lentezza e assaporare il momento – un po’ come Kent assapora le sue uccisioni, e proprio quello sarà lo step successivo per la donna – e quando la vediamo togliere dei punti a un paziente provocandogli altrettanto deliberatamente del dolore. A questo punto riusciamo a capire perché Kent si sia sentito attratto da lei e abbia deciso di includerla nel proprio gioco, e capiamo che gli strati della personalità di Betty vanno ben oltre l’immagine 10103di infermiera debole e timida che vuole solo portare a casa la pagnotta ai propri figli.

Menzione speciale alla scena in cui lei accetta di fingersi praticamente morta solo per renderlo sessualmente felice – sia ringraziato il cielo che ci hanno risparmiato i dettagli grafici, cioè… urgh – che è poi il momento in cui lui decide definitivamente di farla diventare parte del suo gioco.

Another day, another corpse.

È quello che dice lo speaker alla radio mentre noi veniamo catapultati dall’anno 2015 all’agosto del 1982 e la polizia di LA si ritrova di fronte alla prima vittima (a noi nota) di Kent Grainger. Scopriamo subito che questo omicidio si ispira a quelli perpetrati da un killer denominato Hillside Strangler, un caso sul quale aveva lavorato il detective Jack Roth e che anche in virtù di questo viene assegnato immediatamente a quest’altro caso. Vediamo quindi subito che Kent sta cercando di attirare l’attenzione di Jack e sorge altrettanto istantaneamente la domanda, “perché?”. Perché Kent vuole a tutti i costi che sia propri Jack a occuparsi del caso? Perché brama la sua attenzione, perché brama il contatto con lui? Questo sicuramente è uno dei grandi interrogativi con cui il pilot ci ha lasciato, a caldo avevo elaborato la teoria che magari Jack potesse essere il padre di Kent, colui che l’ha abbandonato quando aveva sette anni, ma questa ipotesi si regge praticamente sul nulla visto che Jack ha la sua allegra famigliola felice del Mulino Bianco e Kent mi sembra troppo cresciuto per poter essere suo figlio. E anche se fosse – in fondo 16 And Pregnant esiste per un motivo e il caro detective ci ha dato modo di vedere che custodisce più di un segreto – ho idea che sotto ci sia qualcosa di molto più complesso che una semplice questione di daddy issues. Resta il fatto che Kent vuole, brama e cerca il contatto con Jack, al punto da recapitargli la testa della sua vittima quando si sente sminuito da lui e da andare deliberatamente a sbattergli contro quando lo vede al locale – quando qualunque persona sana di mente (sì, okay, “serial killer” e “sano di mente” non vanno esattamente a braccetto, I know) sarebbe scappata a gambe levate una volta capito che il detective… aveva capito. Quindi vuole il contatto e a un certo livello anche la sua stima, per quanto un detective possa “stimare” l’uomo a cui da la caccia. Diciamo che vuole essere una sfida per lui, vuole avere la sua attenzione addosso, vuole essere il protagonista indiscusso dei suoi pensieri.

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Devo ammettere che mi è piaciuto il modo in cui hanno introdotto il personaggio di Jack Roth, fornendoci dettagli sulla sua vita come se stessimo seguendo le briciole di pane lasciate da Hansel e Gretel e avendo sulle nostre spalle il compito di ricomporre il quadro della sua vita. Interessante anche la scelta di mostrarcelo prima con l’amante e di farci credere che essa fosse una spogliarellista senza arte né parte e con un debole per le droghe pesanti, per poi farci scoprire che in realtà lui ha moglie e figlia devote che lo aspettano a casa ogni sera e che la spogliarellista è addirittura un tenente ed è sotto copertura. Poi c’è il nuovo partner, un giovane detective che a quanto pare in un cadavere vede un’opportunità e non una vittima – parole di Jack – e che si scontra immediatamente con lui creando i presupposti per delle dinamiche interessanti in futuro.

I don’t wanna party with the band, I wanna write a story.

10102C’è poi la giovane reporter in erba, Karen McLaren, interpretata da Taissa Farmiga. Premettiamo che io adoro la Farmiga, ma per ora non so, non la definirei convincente nel suo ruolo. Mi sembra l’abbiano resa un po’ troppo ingenua  e acqua e sapone per un personaggio intenzionato a tutti i costi a scrivere una storia, vedremo come andrà nei prossimi episodi. Mi è sembrato anche un po’ forzato il fatto che entro la fine del pilot lei sapesse esattamente chi fosse l’assassino, ho come la sensazione che si siano giocati un sacco di opportunità con questa scelta. Avrebbero potuto usare la ragazza un po’ come centro di un inseguimento gatto/topo in cui il nostro detective sa che Kent è il suo uomo ma lei no, e allo stesso tempo Kent sa che lui sa ma lei no, poteva essere l’esca usata da entrambi, il loro punto di contatto, chiamatelo come volete. E lei avrebbe potuto mettersi sulle tracce di questo serial killer con l’aiuto di Kent, senza sapere di starsi appoggiando proprio ad esso e… insomma, possibilità infinite. A meno che ora non sia lei a usare entrambi: potrebbe far finta di farsi usare da Jack come esca per l’appunto, e può far credere a Kent di sapere che c’è un assassino ma di non sapere che è lui, il tutto per scrivere il pezzo della vita. Del resto non sarebbe la prima volta che il personaggio all’apparenza più ingenuo si rivela in realtà il più senza scrupoli di tutti. Staremo a vedere.

In generale vi dico che la caratterizzazione dei personaggi mi è sembrata parecchio cliché, un po’ come quelli della commedia dell’arte che dovevano per forza avere determinati requisiti e delle storyline che andassero in una precisa direzione. Ma quella era la commedia dell’arte e s’aveva da fare così, questo è un crime e un crime in cui puoi anticipare ogni mossa dei personaggi dieci minuti prima che la compiano è… non va bene, diciamo così. C’è anche da sottolineare quello che dicevo in apertura, ovvero che un pilot è troppo poco per giudicare una serie, magari questo episodio aveva il solo scopo di farci conoscere i personaggi e già dal prossimo avremo colpi di scena ogni cinque minuti, mai dire mai nella vita!

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Resta il fatto che al momento l’unico personaggio che promuoverei senza riserve è quello di Kent, ma stiamo parlando di Ed Westwick e vorrei ricordarvi che lui è talmente bravo che il suo Tebaldo ha salvato la versione di Romeo & Giulietta più imbarazzante che abbia mai visto la luce, talmente imbarazzante che sono abbastanza sicura che l’amico William abbia subito una seconda morte – atroce e dolorosa – dopo aver visto quel film (io l’ho subita, fidatevi). Mi sento di dare un giudizio positivo anche a Betty, ma anche qui non riesco a capire dove arrivi la scrittura del personaggio e dove la recitazione della Christensen, un po’ come dicevo prima insomma.

Gli altri personaggi, meh.
C’è il detective con una morale devoto al proprio lavoro e alla propria famiglia da Mulino Bianco, ma che per motivi che immagino ci verranno svelati in seguito, non riesce a tenerselo nei pantaloni – fatemi indovinare, probabilmente perché la moglie non capisce quello che lui deve vedere ogni giorno per le strade di L.A. (Nota a margine: a me in certi punti la recitazione di Jeremy Sisto ha ricordato quella di Mark Pellegrino, ditemi che non sono pazza.)
C’è il suo partner, giovane, senza scrupoli e interessato solo alla carriera e che il cielo ci salvi.
C’è la reporter il cui unico scopo nella vita è riuscire a scrivere il pezzo.
C’è l’amico della reporter, che casualmente fa il fotografo/paparazzo, il cui unico scopo nella vita è riuscire a scattare la foto. Lui è il peggiore di tutti, più che personaggio cliché, se proprio devo dirla tutta mi è sembrato un personaggio parodico.

Detto ciò, prima di chiudere vorrei prendermi due minuti per elaborare il pensiero di prima sulla musica. La colonna sonora di questa serie si preannuncia fantastica, fatta di hit dei primi anni ottanta, canzoni scritte ancor prima che io fossi un embrione nella pancia della mamma ma che è impossibile non conoscere. Sono quasi tutte canzoni iconiche di quell’epoca – Billy Idol l’ha fatta da padrone in questo pilot – e per di più sono state scelte con criterio, sono state scelte in modo che le loro note e i loro testi ci raccontassero la storia non detta nei dialoghi – e per inciso, ho trovato che anche questi fossero abbastanza cliché e prevedibili – e che inoltre ci facessero dimenticare completamente di trovarci in un altro secolo e quasi in un’altra linea temporale, costringendoci a buttarci a capofitto nell’atmosfera che impregnava la Hollywood del 1982. La musica, assolutamente la musica, è ciò che si merita il voto più alto di tutti, un dieci pieno, un dieci con lode. E tanto per gradire, vi riporto tutti i brani che abbiamo sentito in questo pilot, sentitevi liberi di correre su spotify a crearvi una playlist denominata Wicked City perché penso proprio che questa – quella di riportarvi i brani – diventerà una consuetudine settimanale.

  • Dancing With Myself – Billy Idol
  • Dr. Rock – Mickey Ratt
  • Top Secret – Mickey Ratt
  • Tainted Love – Soft Cell
  • Feels Like The First Time – Foreigner
  • Lust For Life – Iggy Pop
  • Eyes Without a Face – Billy Idol
  • Crimson and Clover – Joan Jett & The Blackhearts
  • Heartbreaker – Pat Benatar
  • In The Flesh – Blondie
  • Never Say Never – Romeo Void
  • Hot In The City – Billy Idol
  • Rebel Yell – Billy Idol
  • White Wedding – Billy Idol

Per ora vi lascio con il promo del secondo episodio e vi do appuntamento a settimana prossima, sperando di riuscire a farci un’idea più precisa su questa nuova serie!

Elsa

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

2 COMMENTS

  1. Ehilà!
    Ho finito di leggerla adesso, mi sono presa tutto il tempo.
    Alla fine… non so decidermi se iniziarlo o meno. L’idea sulla carta mi sembrava molto interessante, lui non stiamo neanche qui a parlarne (lovelove) e il discorso “psiche del serial killer” era al top delle mie richieste telefilmiche del momento.
    Solo che dopo aver visto che i rating di apertura sono pari alla puntata peggiore del compianto Forever, mi sono frenata, perché va bene che Forever l’ho visto e mi è piaciuto, ma anche affezionarsi ai telefilm che poi vengono cancellati a rasoiate è una pratica che devo limitare.
    Se poi anche tu mi rimani un po’ a mezza via, non so cosa fare. Magari aspetto la prossima puntata per leggerti ancora una volta e decidere il da farsi.
    La recensione mi è piaciuta tantissimo, anche l’idea di inserire la colonna sonora, prenderò sicuramente spunto (nel senso che mi segnerò comunque i titoli delle canzoni che ci segnalerai!). A presto!

    • Secondo me ha molto potenziale come serie, spero che gli autori siano riusciti a sfruttarlo a dovere… ma come ho scritto, personalmente da questo pilot non sono ben riuscita a capire le loro intenzioni… staremo a vedere!
      Mi dispiace molto per i rating, anche perché se il potenziale di cui sopra venisse esplorato e sfruttato potrebbe uscirne una serie bomba, e in quel caso mi dispiacerebbe molto vederla cancellare così, ancor prima che abbia avuto una chance 🙁 Sinceramente mi ero illusa che la sola presenza di Westwick sarebbe bastata ad attirare attenzione, e forse anche chi sta dietro al marketing lo pensava, visto che non è che abbiano investito chissà quanto in promozione…
      Io ho una strana fissa per le colonne sonore e vado letteralmente in brodo di giuggiole quando usano la musica come parte integrante della narrazione invece che come semplice sottofondo, che è parte del motivo per il quale ho deciso di segnalare le canzoni 🙂

      Grazie per il commento 😀

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