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Victoria | Recensione 1×07 – The Engine of Change

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Victoria | Recensione 1×07 – The Engine of Change

Don’t blink. Blink and “Victoria” it’s over. Concedetemi la citazione modificata per l’occasione (sono in fondo due mondi strettamente collegati, almeno ai miei occhi che osservano quella giovane regina e a tratti ci rivedono ancora una ragazza impossibile)  perché è proprio così che mi sento al momento. Credo di poter affermare con certezza che ieri fosse soltanto il 28 Agosto mentre salivo, emozionata e anche un po’ spaventata, a bordo di una nuova avventura seriale, fondamentalmente per un’unica, assoluta ragione e ormai avrete capito tutti quale sia senza aver bisogno di leggere il suo nome. Sta di fatto però che se quella ragione mi ha spinto a cominciare questo viaggio, altre mille poi mi hanno convinto a restare a bordo fino al termine della corsa che, proprio in un battito di ciglia, è ormai alle porte. Anche ieri sera quindi “Victoria” ha permesso “al suo patrono” ITV di regnare sulle scene televisive domenicali, trasmettendo quello che purtroppo è già il suo penultimo episodio, sorprendentemente non scritto, per la prima volta, dalla creatrice Daisy Goodwin che ha momentaneamente lasciato il testimone a Guy Andrews (e devo ammettere che un po’ mi è mancata la passione che si respira attraverso le parole della Goodwin, senza nulla togliere a Andrews, semplicemente credo che quando a scrivere sia il creatore della serie, le storie prendano davvero vita tramite le interpretazioni degli attori in un connubio dalle tinte quasi magiche). E in “poche parole”, questo è quanto è successo …

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Progresso vs Conservatorismo

Ultimamente mi appare incredibilmente semplice riconoscere nell’episodio delle storyline binarie che accostano o oppongono a seconda dei casi, due elementi o due personaggi che occupano con fermezza le loro rispettive posizioni ma che, all’occorrenza, nel finale, riescono sempre a trovare il loro perfetto punto d’incontro, confondendosi un po’ l’uno nell’altro e rivelandosi in fondo come facce di una stessa medaglia, nonostante le differenze e le distanze. Emblemi di questa dicotomia sono come sempre Victoria e Albert che in questo episodio però esulano a mio parere (e almeno in parte) dalla loro individualità, diventando in questo modo portatori di conoscenze, sistemi di valori e visioni del mondo e della loro realtà contemporanea inevitabilmente differenti. A scontrarsi infatti non sono tanto la caparbietà autorevole di Victoria e la ribellione congenita di Albert, quanto il più classico conservatorismo inglese su cui si infrange inizialmente la spinta progressista del giovane principe tedesco che lotta costantemente per trovare la sua strada in una nuova casa che ancora lo vede come uno straniero e per provare a lasciare coraggiosamente la sua impronta in una realtà che sta cambiando e di cui lui vuole fare parte. Un’improvvisa gita fuoriporta conduce infatti Victoria e Albert nello Staffordshire per obiettivi non troppo celatamente differenti ma che esplodono relativamente presto nelle loro reali intenzioni. Se da una parte infatti Victoria spera, guidata costantemente dall’amore per Albert, di convincere sir Piers Gifford ad appoggiare (e magari coinvolgere i parlamentari nella sua stessa decisione) la scelta di nominare suo marito come monarca provvisorio in caso di una sua prematura dipartita a causa della gravidanza, dall’altra parte Albert, ancora sottovalutato dall’opinione comune e in cerca di una sua reale posizione all’interno del regno, punta senza mezzi termini a conoscere una delle regioni più industriali della nazione per scoprirne soprattutto l’ultima, rivoluzionaria innovazione: la ferrovia. Quello che si crea in un contesto ancora distante da Buckingham Palace e dalla sua conservatrice maestosità non è altro a mio parere che una serie incatenata di rivelazioni che portano le diverse parti coinvolte non solo ad aprire gli occhi su una realtà che sta cambiando inesorabilmente ma permettono a tutti loro (o quasi) di affacciarsi al cambiamento da un nuovo punto di vista.

All’inizio è infatti la stessa Victoria a dover lottare con astuzia contro il pregiudizio che inevitabilmente legge e avverte negli occhi dei padroni di casa nei confronti di Albert, delle sue origini, delle tradizioni differenti, del suo modo di esprimersi forse troppo diretto e progressista e che rischia così di metterlo ancora di più in cattiva luce in un ambiente che certamente prova a fare del suo meglio per rendere quanto più spiacevole possibile la permanenza del principe (i tentativi di sabotarlo socialmente della servitù sono provvidenzialmente intercettati da Mrs. Jenkins che salva la situazione in un paio di occasioni).

In seguito però, nel momento in cui si raggiunge quello che è il fulcro della rivoluzione sociale in atto in questo episodio, è la stessa Victoria a fare inconsapevole ostruzionismo nei confronti delle idee moderne e innovatrici di suo marito Albert, determinato oltre ogni limite a non sottostare semplicemente al conservatorismo monarchico ma a portare avanti senza riserve le sue convinzioni di un futuro diverso, da cominciare a plasmare proprio in quel momento. Il contrasto che nasce inevitabilmente tra Victoria e Albert non vede a mio parere posizioni giuste e posizioni totalmente sbagliate ma semplicemente posizioni diverse che ancora una volta caratterizzano due personaggi i cui background sono ancora fondamentali nelle decisioni che prendono e nei caratteri che da esse ne derivano. Da una parte infatti, Victoria riconferma istante dopo istante l’autorevolezza della sua personalità, la caparbietà quasi estrema di una giovane donna che ha vissuto gran parte della sua vita fino a quel momento sotto l’egida di tutti coloro che pretendevano di sapere ciò che fosse meglio per lei, e che adesso, libera finalmente da quel controllo, non intende sottostare più ad alcun tipo di imposizione, afferrando tra le mani tutta la capacità decisionale che il suo ruolo di regina le ha definitivamente concesso. Forte di quel potere che dà alle sue decisioni valore quasi legislativo, com’è tipico del suo carattere, Victoria allontana con fermezza qualsiasi tipo di compromesso o di confronto che possa farla apparire in torto, non essendo a suo agio nell’essere contraddetta e chiudendosi però in questo modo nel tipico conservatorismo monarchico inglese che non accetta di buon grado il cambiamento finché non diventa troppo evidente da respingere. Dall’altra parte però Albert è testardo e ribelle quasi quanto lei e anche in lui si fanno sentire prepotentemente esperienze che provengono da una realtà diversa, più aperta al cambiamento e alla modernità, e che spingono il giovane principe a sfuggire al controllo di sua moglie e anche di quel sistema di cui è emblema al momento per testare sulla propria pelle quel futuro che comincia ad affacciarsi nelle loro vite ma che nessuno sembra riuscire a riconoscere per davvero, troppo impegnati a respingere la freddezza estetica della ferrovia per capirne l’importanza catartica che avrà nel loro mondo.

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Nel confronto che ne deriva tra Victoria e Albert, le due posizioni espresse sembrano pericolosamente ferme nelle rispettive convinzioni ma la verità è che entrambi, per quanto custodi di caratteri forti e persistenti, si ritrovano ad aver quasi bisogno di un necessario punto d’incontro che li riporti insieme, sullo stesso binario. La curiosità e l’intelligenza di Victoria la conducono ancora una volta a testare personalmente quel cambiamento a cui si era opposta quasi per principio, differenziandosi così da quel pregiudizio che tanto condannava negli altri; la purezza dell’amore di Albert lo spinge a seguirla letteralmente in questa scoperta sperando che lei possa approvare e condividere così la sua visione del mondo perché, per quanto il giovane principe tenga alle sue opinioni e creda fermamente alla possibilità di cambiare non solo il futuro, ma soprattutto il loro presente, deve ammettere che non è poi così entusiasmante farlo da solo e non condividere l’elettrizzante novità con la donna che ama. La scena che ne nasce è onestamente forse una delle più belle della serie, la regia e la fotografia si rendono nuovamente protagoniste di un momento unico, emotivamente travolgente e straordinariamente iconico, in cui Jenna Coleman, con la sua Victoria, si staglia tra i colori tenui, ma accoglienti, del cielo limpido e sereno e dei campi attraversati dai binari su cui corre la locomotiva, salutando i sudditi che la accompagnano con affetto e respirando letteralmente la novità, il cambiamento, quel futuro di cui parlava Albert e che inizialmente non riusciva a raffigurare forse anche per paura, ma che adesso invece riesce quasi ad assaggiare per la dolce ed eccitante impetuosità con cui si mostra davanti a lei. Albert le corre accanto entusiasta, tanto da riuscire quasi a tenere il passo della locomotiva, quanto basta per capire di essere tornato nuovamente sulla stessa lunghezza d’onda di Victoria.

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Di ritorno a Buckingham Palace dunque, Victoria e Albert si ritrovano ancora una volta cambiati dalle esperienze che hanno vissuto insieme e soprattutto arricchiti con nuove, fondamentali consapevolezze che non solo li hanno riportati l’uno sulla strada dell’altra, ma che hanno anche aperto per entrambi nuovi scenari, riuscendo a definire meglio i rispettivi ruoli nel loro matrimonio, nel regno e anche nella famiglia che insieme stanno per formare, scegliendo di condividere pienamente le paure e le gioie che ne deriveranno.

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Non meno importante del progresso che si affaccia nel loro tempo è infatti il cambiamento che Victoria ed Albert si ritrovano a dover affrontare anche nella loro vita privata, cambiamento che entrambi accolgono nuovamente in modi differenti ma che questa volta pongono certamente Victoria in una posizione più assoluta rispetto a quella di suo marito. Nonostante infatti i tentativi poco ortodossi di ritardare un evento che la spaventava per svariate ragioni, la giovane regina è costretta ad accettare in fretta la sua prima gravidanza, notizia di cui purtroppo il principe Albert sembra l’unico a gioire senza riserve.

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Se da una parte infatti i parlamentari accostano alle congratulazioni la preoccupazione per il vuoto di potere che deriverebbe dall’ipotetica dipartita prematura della regina, e dall’altra parte la Duchessa del Kent cerca di prendersi cura di sua figlia nell’unico modo che conosce, infondendo timore e impartendo ordini, al centro di queste “forze” Victoria si ritrova troppo spesso sola e a volte contrastata o incompresa in una condizione che fin dai primi giorni comincia a diventare per lei più pesante del previsto, assumendo quasi le sembianze di una minaccia che rischia di minare tutto ciò per cui ha combattuto finora: l’indipendenza delle sue scelte, dei movimenti, dell’alimentazione e anche del suo corpo, condizione che nessuno in realtà sembra riuscire a comprendere fino in fondo.

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Quasi nessuno. Uno degli aspetti più belli e luminosi di questo episodio (nonché probabilmente il mio preferito) è infatti la ritrovata attenzione concessa al rapporto unico e profondo che lega Victoria e la sua ex governante, la baronessa Lehzen. Che si tratti infatti dei dubbi e delle pressioni derivanti dalla sua gravidanza o dalle questioni socio-politiche affrontate nello Staffordshire tra i pregiudizi di Sir Piers e l’avversità evidente che ancora prova nei confronti di Sir Robert Peel, Victoria trova nuovamente in Lehzen la sua unica via di fuga, l’unica persona che semplicemente l’ascolta senza contrastarla, senza contraddirla, che le permette di sfogarsi liberamente quasi come se parlasse in un soliloquio alla parte più intima di se stessa, quella parte sempre presente, sempre al suo fianco, che riesce a farla ridere di gusto nei momenti di maggior tensione e che l’accompagna anche in quei frangenti in cui desidera stare sola ma in cui Lehzen rientra ogni volta, come fosse un prolungamento di quella solitudine. Che sia a Buckingham Palace o a Staffordshire, che sia nubile o sposata, è quasi rassicurante vedere quanto Lehzen sia al momento ancora una parte imprescindibile della vita di Victoria, la sua parte più autentica, originale, che resta in disparte quando serve, per lasciarla libera di essere regina, donna e moglie, e che accorre invece nei momenti in cui la giovane Alexandrina ritorna a farsi sentire con i suoi timori che il resto del mondo sembra non riuscire a comprendere.

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Parallelamente però, anche Albert trova a sorpresa un insolito alleato nella figura di sir Robert Peel, che già avevamo visto nel precedente episodio intento ad ammettere le qualità del giovane principe tedesco. Presente anche lui nello Staffordshire, con estrema gioia da parte di Victoria (sarcasm alert!), Peel comincia a mostrarsi sotto una luce diversa da quella cinica e irrispettosa con cui si era presentato alla giovane regina nei primi episodi quando aveva cercato non troppo velatamente di imporre il suo governo  e di forzare così la mano di una donna che aveva evidentemente sottovalutato. Più affabile e quasi dimesso anche nei suoi confronti, Peel si ritrova sorprendentemente sulla stessa lunghezza d’onda del pensiero di Albert, appoggiando la sua visione “futurista” della realtà e condividendo l’entusiasmo per il cambiamento imminente. Avere la possibilità di conoscere Albert, come uomo disposto a mettersi al servizio della nazione inglese e al di là quindi dei pregiudizi che il Parlamento ancora nutre nei confronti delle sue origini germaniche, permette a Peel non solo di cambiare opinione sulla richiesta della regina di accettare Albert come ipotetico monarca in sua assenza, ma di diventare anche quel tramite amichevole che nessuno avrebbe mai creduto lui potesse essere tra la monarchia di Victoria e il governo parlamentare, riuscendo quasi ad aprire uno spiraglio nel rancore che Victoria ancora provava nei suoi riguardi e creando nel finale un momento che fa sorridere e che in fondo secondo me infonde anche speranza in un regno che può così contare sull’alleanza pacifica tra monarchia e Parlamento, garantendo la prosperità della nazione.

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La vita a Buckingham Palace in assenza della regina si colora lievemente di romanticismo, seppure in forme differenti. Da una parte infatti ritroviamo il rapporto tra Miss Skerrett e Francatelli (sabato sera sono stata testimone e promotrice della nascita del nome ufficiale della ship creato su mia richiesta da Daisy Goodwin in persona: #Skerretelli), un legame che abbiamo visto crescere lentamente e che si è scrollato forse definitivamente di dosso quei dubbi che lo attanagliavano al principio, abbracciando così un’evoluzione delicata ma innegabile. Per la prima volta infatti dall’inizio del corteggiamento di Francatelli, Miss Skerrett sembra finalmente più incline alla possibilità di avvicinarsi all’eccentrico chef, imparando a conoscerlo meglio e ad accettarlo magari come amico. Le dinamiche del loro rapporto in questo episodio assumono quasi le sfumature di una partnership insolita in cui Miss Skerrett diventa assaggiatrice ufficiale delle dolci prelibatezze create dallo chef, senza esimersi ogni volta dall’aggiungere un dettaglio alla sua ricetta, rendendo però in questo modo la sua creazione un lavoro condiviso, proprio come una squadra. Nonostante il nuovo atteggiamento di Miss Skerrett nei suoi confronti, Francatelli si dimostra ancora un perfetto gentiluomo, preparando per lei una cena degna di una regina ma restando al suo fianco senza esporsi troppo, attendendo con pazienza il momento giusto.

Ben diversa è la situazione delle due donne lasciate indietro da Victoria, ossia sua madre e la dama di compagnia Harriet. Costrette in qualche modo alla reciproca compagnia, la Duchessa e Harriet cominciano a conoscersi meglio di quanto avessero avuto modo di fare finora, ma soprattutto la Duchessa del Kent riesce senza troppe difficoltà a leggere con astuzia i segreti celati sotto la maschera aggraziata e regale indossata costantemente da Harriet, che con poche parole lascia trasparire la realtà di un matrimonio non del tutto idilliaco e con sguardi ricchi di significato si tradisce permettendo ai suoi occhi di ammettere un sentimento nascente per il lontano Ernest, da cui la duchessa però sembra volerla mettere in guardia.

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Quando manca dunque un solo episodio al termine della sua prima stagione, “Victoria” ci conduce alla fine della sua corsa con tutte le sue storyline portate avanti parallelamente e con la stessa dovizia di particolari, in tempi diversamente proporzionati ma con personaggi sempre tutti presenti sulla scena, in modo tale da riuscire ad appropriarsi dello spessore necessario per far vivere le loro storie oltre le parole scritte. Intrigata dalle evoluzioni finali che ci aspettano nel season finale della prossima settimana, sono all’opera per trovare il modo migliore di viaggiare nel tempo e raggiungere il momento in cui la seconda stagione sarà già pronta per essere vista e amata. Ho soltanto bisogno di un Dottore…

E se siete già in crisi d’astinenza come me da Victoria, queste pagine fanno al caso vostro

• Clara Oswald » Jenna Coleman. ϟ

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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