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Victoria | Recensione 1×06 – The Queen’s Husband

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Victoria | Recensione 1×06 – The Queen’s Husband

Sei episodi e la serie targata ITV “Victoria” è già diventata una meravigliosa abitudine. Credo che sia proprio questo infatti il primo traguardo davvero notevole raggiunto dall’historical drama di Daisy Goodwin, sono bastati pochi episodi, forse addirittura i primi due mandati in onda strategicamente per due giorni consecutivi, per rapire completamente il pubblico britannico (e non solo, come Twitter ha ampiamente dimostrato Victoria regna anche in Italia) che continua a giurare fedeltà allo show anche contro la forte concorrenza in onda sull’iconica BBC. Una delle armi vincenti della serie è, a mio parere, l’equilibrio dimostrato costantemente tra la fedeltà agli eventi storici e le imponenti sfumature creative aggiunte con parsimonia dalla sceneggiatrice e creatrice del drama che, così facendo, ha anche permesso a noi fans di vedere la storia attraverso i suoi occhi e le sue parole, e in seguito di scegliere, lontani dai condizionamenti della realtà dei fatti, a quale aspetto dello show legarci di più. “Victoria” si è imposto dunque presto nella nostra quotidianità, regalandoci un’altra ragione per aspettare in trepidazione la domenica e soprattutto mostrandoci, in episodi come l’ultimo andato in onda, un panorama incredibilmente variegato di storie, personaggi e spunti di riflessione che personalmente mi entusiasmano e mi riempiono completamente.

 

Your Victory, Our Victory

La storia d’amore intensa, passionale e travolgente tra Victoria e Albert è ancora inevitabilmente il fulcro centrale della serie in questa fase e, totalmente rapiti dall’eccitazione e dall’entusiasmo della loro vita matrimoniale, i due giovani sposi vivono la loro nuova quotidianità come una coppia ordinaria e normale farebbe, tra sensuale intimità (un aspetto documentato della giovane regina che sia Daisy Goodwin che Jenna Coleman erano emozionate di mostrare per svecchiare quell’etichetta di rigidità e freddezza che da tempo avvolge la figura storica della monarca) e straordinaria sintonia. È questo infatti l’aspetto che più mi ha colpito della coppia in questo episodio, perché differentemente dagli episodi 4 e 5, Victoria e Albert sembrano riuscire a convivere adesso perfettamente con le rispettive differenze, riconoscendo i confini dei loro spazi personali, smussando quasi totalmente le conflittualità e lottando insieme per occupare la loro posizione congiunta nel regno, contro le convenzioni e le regole a cui ancora sembrano obbligati a sottostare. Personalmente, per la prima volta ho davvero visto Victoria e Albert non solo come coppia ma anche o soprattutto come partner in una squadra incredibilmente affiatata, riuscendo però a mantenere ben definite le loro identità individuali, a combattere per le loro battaglie e infine a ritrovarsi nuovamente in quella che può finalmente essere definita “la loro vittoria”, il primo traguardo che hanno raggiunto perseguendo strade differenti ma che infine hanno tagliato insieme, forti nella loro individualità ma ancora più iconici nel loro legame.

Da una parte dunque ritroviamo la giovane Victoria, totalmente persa nell’amore che prova per Albert ma anche sempre più radicata nelle sue idee, nelle convinzioni, una donna che diventa progressivamente più forte, sveglia, scaltra come mai prima d’ora, sia nelle questioni che possiamo definire private ma che si riflettono inevitabilmente nei suoi rapporti sociali, sia nelle problematiche del regno. Da quest’ultimo punto di vista, mi ha affascinato e quasi commosso (sì, le evoluzioni dei personaggi che amo mi emozionano sempre) un singolo momento che in realtà poi non ha neanche fatto parte della sua storyline nell’episodio, ma che ha dimostrato in poche battute la crescita vissuta dalla giovane regina e faccio riferimento alla richiesta mossa da alcuni ministri di appoggiare apertamente la lotta per l’abolizione della schiavitù anche oltre i confini del regno, petizione che già in precedenza era stata portata alla sua attenzione dal primo ministro Lord Melbourne. Ancora una volta quindi Victoria ribadisce il suo supporto incondizionato nei confronti dell’iniziativa ma, memore forse anche degli insegnamenti che lo stesso Lord Melbourne le aveva delicatamente impartito, nonostante la sua sensibile vicinanza alla questione, la giovane monarca si riconosce obbligatoriamente ma con incredibile maturità come regina destinata a restare super partes e quindi purtroppo impossibilitata a schierarsi apertamente a favore di una mozione in cui certamente crede, ma che rischierebbe di avvicinarla troppo a una delle due fazioni politiche che caratterizzano il governo inglese. Sebbene sia stato evidentemente solo un breve momento della sua storia, utile più che altro, come vedremo in seguito, ad introdurre la storyline individuale di Albert, ho davvero apprezzato la scena in questione sia per la stabilità quasi inedita con cui Victoria ha trattato una richiesta umanamente delicata, sia per la maturità dimostrata nel mettere saggiamente a frutto i consigli e gli insegnamenti ricevuti nei primi tempi del suo regno dal suo più fidato amico e consigliere. Ma è ancora una volta per amore di Albert e della loro vita insieme che Victoria si mostra straordinariamente scaltra e anche innovativa per la sua epoca, riuscendo a spezzare una consuetudine che viveva da troppo tempo e che rischiava di emarginare ancora di più, agli occhi della nobiltà, il principe Albert, il cui ruolo al fianco di sua moglie risultava ancora fortemente ridimensionato.  Costretta da quelle tradizioni che da sempre le vanno strette ad aprire le sue cene accompagnata da suo zio, il Duca di Sussex, e non da suo marito Albert, Victoria sfrutta in modo quasi geniale le sue conoscenze, avvicinandosi con umana furbizia alla vita privata di suo zio, creando un effettivo terreno comune tra le loro storie paradossalmente simili e concedendogli con ammirevole astuzia ciò che più desiderava, ciò che in fondo entrambi desideravano, ossia la possibilità di vivere le occasioni sociali più importanti al fianco della persona che amano, riconosciuta e apprezzata da tutti coloro che li circondano. A dispetto dell’opinione comune, Victoria permette anche alla modesta e di umili origini Lady Cecilia, consorte del duca, di presenziare alla sua cena, creando appositamente per lei il titolo di Duchessa di Inverness, e sotto gli occhi a volte stupiti e in altri casi piacevolmente meravigliati degli ospiti presenti, contro tutte le consuetudini, Victoria sceglie finalmente di essere accompagnata da Albert verso quella che sarà soltanto una delle sue tante battaglie vinte affidandosi semplicemente al suo temperamento deciso e alla sua personalità determinata e non incline alla sconfitta. E a rendere tutto ancora più indimenticabile ci pensa il bellissimo cameo di Daisy Goodwin nei panni della nuova duchessa, è la SUA storia, ora più che mai.

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Sul fronte Albert, invece, come il titolo già suggeriva, l’episodio ci mostra il percorso di crescita delle figura del giovane principe che comincia ora ad affermarsi come pioniere di importanti rivoluzioni sociali. Per quanto anche per lui l’amore e il matrimonio siano al momento protagonisti indiscussi della sua quotidianità, Albert non può fare a meno di avvertire ancora il peso del suo ruolo fortemente ridimensionato sia al fianco di sua moglie nelle occasioni sociali sia nella sua vita di tutti i giorni nel regno come principe consorte. E se nel primo frangente come abbiamo visto è la scaltrezza di Victoria a risolvere nel migliore dei modi la problematica, è in realtà il secondo contesto a rappresentare da sempre il timore più grande per il giovane principe, lui che aveva costruito la sua persona proprio sul bisogno di avere un obiettivo in cui credere e da perseguire, soprattutto se questo lo avvicinava a quelle delicate questioni sociali che gli erano estremamente care. Ancora fortemente dubbioso infatti sullo sfarzo che circonda il palazzo e gli eventi che lì vengono ospitati, è in realtà quella sensazione di futilità che lo avvolge quotidianamente a turbare profondamente il principe Albert, che vaga senza meta per le innumerevoli ali dell’immensa dimora mentre tutti intorno a lui sembrano riuscire ad occupare esattamente quello spazio che più gli si confà, e ciò che purtroppo a lui resta non è altro che la realizzazione di un incubo, ossia quello di restare semplicemente al fianco di Victoria, che per quanto ami profondamente non riempie le sue giornate, trascorse inevitabilmente senza un obiettivo. La lotta per abolire definitivamente la schiavitù rappresenta per Albert esattamente l’occasione che aspettava per riprendere davvero in mano la sua vita, per dare un senso al suo ruolo di principe e per mostrare tutta la sua passione e il suo potenziale capace di lasciare davvero un’impronta nel suo tempo. Di fronte all’impossibilità di Victoria di rappresentare in prima persona quell’importante tematica sociale, Albert fa un passo in avanti e diventa con orgoglio il volto e soprattutto la voce di una lotta fondamentale per il diritto più naturale dell’essere umano, il diritto alla libertà personale. Ciò che mi ha colpito particolarmente della storyline di un personaggio che come saprete mi aveva visto finora scissa tra due opinioni contrastanti e confuse è in realtà la passione che dimostra per il suo coinvolgimento nella questione, una passione che infonde in lui nuova linfa vitale, che lo “accende” come mai prima d’ora, che a tratti lo spaventa anche, essendo comunque molto introverso e insicuro, ma allo stesso tempo è una passione che gli permette di tirar fuori tutta la sua forza, la profonda cultura, la personalità decisa e innovativa che forse a volte non crede neanche di possedere e ciò che più ho apprezzato di questo suo aspetto è il fatto che in quella passione possiamo riconoscerci un po’ tutti quando parliamo di una tematica che ci sta particolarmente a cuore o che sentiamo intimamente nostra tanto da permetterle di invaderci completamente e diventare così una parte di noi, forse la più importante. Il discorso tenuto davanti a tutti i ministri, per perorare la causa dell’abolizione della schiavitù, viene accolto con unanime favore e l’ammirazione dimostrata nei suoi confronti anche dallo spigoloso sir Robert Peele ne è la testimonianza più evidente, ma il vero traguardo per il personaggio è proprio quello di aver finalmente trovato il suo posto in una realtà che ancora non sentiva propria e che invece adesso gli permette di vivere con più sicurezza (e permettetemi di dire, anche leggerezza!) la sua vita al fianco di Victoria, come suo pari e non soltanto come devoto marito.

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Ed è proprio alla fine delle loro rispettive battaglie che Victoria e Albert si ritrovano davvero insieme, più in sintonia di quanto siano mai stati prima, diversi quanto basta per continuare a confrontarsi e a conoscersi ma simili proprio nelle rispettive passioni, nelle convinzioni, negli ideali e soprattutto pronti a sostenersi vicendevolmente lasciando però all’altro lo spazio necessario per esprimere la propria individualità. La scelta di Victoria di non presenziare durante il discorso di Albert è probabilmente uno dei gesti d’amore incondizionato più importanti che la giovane regina abbia compiuto finora nei confronti di suo marito, decidendo infatti di lasciare completamente ed esclusivamente a lui la scena e permettendogli così di raggiungere la sua vittoria e di ritrovare la sua strada.

 

Come ho già anticipato però, oltre Victoria e Albert, quest’ultimo episodio ha concesso, con incredibile saggezza creativa, spazi e tempi importanti a quei personaggi che circondano i due protagonisti indiscussi ma che rendono a mio parere la serie un palcoscenico straordinario sul quale vanno in scena caratteri e storie variegati che riescono ad emozionare ugualmente e ci avvicinano empaticamente all’intero panorama caratteriale del drama. Il primo binomio che ho apprezzato davvero molto è quello che ha introdotto (e spero non concluso di già) la “pericolosa” ma affascinante vicinanza tra il principe Ernest e la fedele dama di compagnia Harriet, Duchessa di Sutherland e giovane donna sposata. Se il personaggio di Harriet non aveva avuto finora una particolare attenzione in quanto personalità singola, ma solo come leale compagna di Victoria, per quanto secondario sia, è il personaggio di Ernest invece ad aver travolto fin dalla sua prima comparsa, con la sua energia e il suo carattere spumeggiante, sia me che la vita a Buckingham Palace. L’aspetto che fin dall’inizio però ho amato di più del principe Ernest non è soltanto la vitalità affascinante e contagiosa che porta nel regno di Victoria, ma soprattutto quel suo animo buono e leale che forse non tutti riescono a vedere facilmente, proprio perché troppo nascosto dall’estrema sicurezza di sé, e che invece si mostra in tutta la sua luce e purezza al fianco di Albert, il fratello che Ernest ha protetto e difeso per tutta la sua vita, cercando di fare scudo intorno a lui per evitare che qualcuno potesse ferirlo per la seconda volta, com’era successo invece a causa dell’abbandono della loro madre. Al fianco di Harriet, tra una lezione di tiro con l’arco e un ritratto lusinghiero (chapeau per David Oakes che è l’autentico autore del disegno e che ha avuto così la possibilità di mostrare la sua ammirevole vena artistica), Ernest sembra voler smettere per un momento i panni del seduttore seriale, aprendosi infatti con la giovane dama a confessioni e sentimenti probabilmente inediti per un uomo che solitamente si abbandona alla compagnia di una collettività e non di una singola persona. L’impossibile legame che si stava sviluppando tra i due maggiori confidenti dei protagonisti sembra però spezzato sul nascere proprio da Albert che, resosi conto della pericolosità di quella vicinanza, intima ad Ernest di ritornare a casa in Germania, non prima però che il principe riceva da Harriet, proprio nel momento del suo addio, un piccolo gesto che conferma anche l’interesse della giovane donna nei suoi confronti.

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La seconda coppia che ottiene maggiore spazio in questo contesto è quella che in fondo avevamo visto nascere già dal secondo episodio ma che forse soltanto ora ci mostra un’importante evoluzione nel loro rapporto. Sto parlando di miss Skerrett e dello chef Francatelli, il cui corteggiamento finora si era sempre infranto sulle distanze che la giovane cameriera metteva costantemente tra loro due, troppo angosciata dai suoi segreti per provare ad aprirsi almeno ad un’amicizia con il persistente spasimante. E sono proprio quei segreti però ad avvicinare ancora una volta i due personaggi e a permette soprattutto a Francatelli di dissipare i dubbi che in parte ancora nutrivo nei confronti della genuinità delle sue intenzioni. Particolarmente sveglio e attento, come avevamo notato fin dalla sua prima comparsa, Francatelli riesce a venire a capo senza troppe difficoltà del segreto maggiore di miss Skerrett, scoprendo infatti l’umile esistenza della vera Eliza Skerrett, che vive adesso in condizioni precarie e malsane mentre sua cugina Nancy vive quella che sarebbe dovuta essere la sua vita al servizio della regina. Avvertendo la sofferta preoccupazione della cameriera per le sorti di sua cugina, Francatelli non ci pensa più del dovuto a fare propria quella difficoltà, riuscendo con generosità e nobiltà d’animo ad aiutare la giovane mamma e a migliorare la sua condizione di vita. Sollevata dalla rapida risoluzione del problema, miss Skerrett si aspetta ora di dover pagare il conto di quella gentilezza ma ancora una volta Francatelli la sorprende chiedendo in cambio di conoscere soltanto il suo vero nome, la cui iniziale diventa nel finale un dolce pensiero preparato per lei dal giovane pasticciere.

Infine mi prendo un piccolo spazio “solo per me” per aprire una finestra su due personaggi che adoro ma che al momento sono incredibilmente ridimensionati. Il primo personaggio a cui mi riferisco è infatti la baronessa Lehzen, ormai ex governante di Victoria ma in fondo parte imprescindibile della sua vita, essendo stata da sempre l’unica vera figura materna per la giovane Alexandrina. L’imperscrutabile Lehzen è stata però in questo episodio anche motivo di momenti esilaranti e divertenti condivisi proprio con Victoria che, non ancora pronta a diventare madre, mette in pratica i consigli della sua governante riguardanti insoliti metodi contraccettivi, assurdi persino per la sua stessa epoca. E il secondo personaggio di contorno che apprezzo fin dal pilot è Lady Emma Portman, anche lei dama di compagnia di Victoria e anche buona amica di Lord Melbourne. Fin dall’inizio della serie, seppure io abbia avuto poche occasioni di veder sviluppato il suo personaggio, ho sempre amato la dolce saggezza con cui Lady Emma si rivolgeva sia a Victoria che a Lord Melbourne, soprattutto nei periodi in cui il rapporto della regina con il suo primo ministro si stava consolidando, diventando qualcosa di più profondo di una semplice amicizia. È proprio al suo fianco infatti che Victoria nomina anche in questo episodio l’ormai lontano Lord M, sentendo a volte ancora il bisogno della sua guida e dei suoi consigli, sotto lo sguardo comprensivo e quasi nostalgico di Emma, che ha accompagnato la sua regina per tutto il suo percorso di crescita e che adesso la guarda orgogliosa mentre ottiene ciò che desidera.

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Travolti inaspettatamente da questa serie e da tutti quei personaggi che la rendono viva e vicina a noi nonostante i secoli che ci separano, diventa quasi impossibile credere adesso che ci restano soltanto due episodi da vivere intensamente al fianco della nostra regina Victoria e di tutte le storie che circondano la sua quotidianità a palazzo.

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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