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Veronica Mars | Capitoli 38 & 39 – FINE

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Veronica Mars | Capitoli 38 & 39 – FINE

Eccoci qua con gli ultimi due capitoli del libro di Veronica Mars, The Thousand Dollar Tan Line. La traduzione dell’intero libro è stata opera mia, di BornwithoutamaskCecilia, Kiiro, lau_tonks90xsunsetbeauty, che ringrazio immensamente per aver condiviso con me questa piccola, grande avventura.

VERONICA-MARS-COVER

 

CAPITOLO TRENTOTTO

Veronica poteva sentire la voce di Adrian attraverso il muro. Era ripartito con la farsa – poteva immaginarselo con la testa inclinata e il fianco di fuori. “Sua figlia?”
“Sì. Sono abbastanza sicuro che tu la conosca – bionda, alta. Veronica. L’investigatrice privata che sta aiutando nel caso di Aurora.”
Veronica sentì le lacrime premere per uscirle agli angoli degli occhi e tentò di ricacciarle indietro in fretta. Aveva chiamato il padre mentre era in macchina per spiegargli la propria teoria, e lui le aveva detto di aspettarlo nel parcheggio. Preoccupata che Adrian e Aurora potessero sparire da un momento all’altro, era entrata da sola. Ma aveva sottovalutato Aurora – e di brutto. E ora anche suo padre si trovava in pericolo.
“Oh! Sì, l’ho incontrata questo pomeriggio. Non l’ho più vista da allora.” La sua voce sembrava preoccupata. “È scomparsa?”
Aurora era accovacciata immobile dietro la porta della stanza, con il taser in mano. Era così presa a origliare che non notò che Veronica stava girando i polsi nel tentativo di liberarsi dal nodo.
“È buffo. La sua macchina è parcheggiata qua sotto. So che stava lavorando al caso nel quale sei coinvolto, e mi ha chiamato poco fa per dirmi che si stava dirigendo qui.”
“Merda,” sussurrò Aurora.
Ci fu una lunga pausa. Poi la voce di Adrian riprese con finto coraggio. “Mi dispiace, signor Mars. Non ne so nulla. Senta, ho lezione presto domani mattina. Devo dormire. Ma se dovessi avere notizie da Veronica, le dirò di chiamarla subito.”
Lei udì un rumore metallico. La porta che si richiudeva contro un bastone?
“Mi spiace, signor Marks, ma mi sentirei molto meglio se mi lasciassi dare un’occhiata in giro.”
“Hey amico, non può arrivare qui e-“
“Veronica? Mi senti?”
“Se ne vada dal mio appartamento.”
“Non ti va bene?” Un battito. “Chiama lo sceriffo, ragazzo.”
Lei chiuse gli occhi, cercando di respirare lentamente attraverso la sciarpa per non lasciarsi prendere dal panico. Per cercare di non calcolare le possibilità che aveva suo padre, Keith Mars, cinquantuno anni, che era quasi morto due mesi prima e non riusciva a camminare senza il bastone, contro Adrian Marks, diciottenne, atletico e in forma.
Ci fu il rumore di una baruffa, seguito da un leggero tonfo. Il muro tremò come se qualcosa ci avesse sbattuto contro. Aurora si alzò e uscì dalla stanza in un lampo. Veronica diede uno strattone finale alle proprie mani e fece scivolare il polso sinistro fuori dal nodo.
“Stai indietro, se sai cosa è meglio per te, Nonno.”
La voce di Aurora era attutita dal muro, ma Veronica poteva sentirne il trionfo. Ci fu un altro tonfo, e un gemito sommesso. Veronica slegò il nodo del polso e si mise seduta per slegare anche le caviglie.
Era una fortuna che Adrian non l’avesse perquisita, troppo preso com’era dall’immobilizzarla. Tirò fuori la calibro 38 dalla fondina che aveva sulla schiena e si accertò che fosse carica. Poi uscì dalla porta, la pistola puntata di fronte a lei.
Questa volta le sue mani erano ferme.
Keith era a terra su un fianco, con le mani premute all’altezza dello stomaco. Adrian ne sovrastava il corpo tenendo in mano il bastone di titanio, mentre del sangue gli sgorgava dal naso. Mentre Veronica entrava, lo usò per colpire Keith dritto nello stomaco, generando un suono terribile. Aurora osservava la scena da breve distanza, con il viso rigido per il furore. Ogni accenno della ragazza astuta e calcolatrice che Veronica aveva intravisto era in quel momento oscurato, rimpiazzato da una grande rabbia, dal distruttivo scatto d’ira di una teenager.
Veronica non si fermò a pensare. Puntò la pistola verso una lampada poco distante dalla sinistra di Adrian e premette il grilletto.
Il suono squarciò l’appartamento, mentre la lampada esplodeva in una pioggia di ceramica. Adrian abbandonò il bastone e si coprì le orecchie. Veronica si girò leggermente per puntare la pistola verso Aurora. Lentamente la ragazza lasciò cadere il taser e sollevò le braccia.
In lontananza ululava il suono delle sirene.

Dieci minuti più tardi Veronica e Keith sedevano l’una accanto all’altro suoi gradini esterni dell’appartamento, guardando Norris Clayton che spingeva la testa di Aurora nell’abitacolo. Adrian era ancora al piano di sopra, in manette; i paramedici si stavano occupando del suo naso rotto. Le gambe di Keith erano ancora deboli; il suo gancio destro, invece, non così tanto.
“Hai ottenuto una confessione?” chiese lui.
“Oh!” infilò una mano nella sua giacca di velluto verde a coste ed estrasse l’iPhone. Stava ancora registrando. Lo spense. “Me n’ero quasi dimenticata.”
“Avresti potuto essere uccisa”. La sua voce era triste ma rassegnata. Lei lo guardò, incerta se la stava rimproverando oppure no. “Ti avevo detto di aspettarmi.”
“Aurora ed Adrian stavano per lasciare la città; ogni secondo era importante.”
“Veronica, non valeva la pena rischiare la vita per questo. I poliziotti li avrebbero presi.” Si accigliò. “Non per tutti i combattimenti vale la pena andare al tappeto.”
Veronica fissava la piscina. Quando i ragazzi del college avevano sentito le sirene se n’erano andati senza lasciare nulla dietro di sé, se non le loro lattine di birra vuote e un asciugamano verde abbandonato, lasciato sullo schienale di una sedia. Sapeva che Keith aveva ragione. E sapeva che quella era la cosa che lo spaventava di più: il fatto che non poteva sopportare il pensiero di perdere la sua preda. Il fatto che, più di ogni altra cosa, odiasse l’idea che a volte gli stronzi la passassero liscia e lasciassero altre persone – persone come la famiglia di Hayley Dewalt – a mani vuote e in lutto.
Keith le cinse le spalle con un braccio e l’abbracciò, avvicinandola a sé. “La prossima volto voglio che mi aspetti. Sono i tuoi rinforzi, Veronica.” Esitò per un momento. “Sono il tuo partner.”
Ci volle un momento perché la parola arrivasse a destinazione. Per un secondo suonò straniera, quasi forzata, come una storia a cui entrambi cercavano di credere. Lo guardò, domandandosi se ci sarebbe mai stato un modo in cui potesse sentirsi meno ragazzina quando era con lui. Chiedendosi se avrebbero mai davvero potuto lavorare da pari.
Poi sorrise e realizzò che lo avrebbero fatto. Avevano avuto bisogno l’uno dell’altra per lungo, lungo tempo. Erano partner già da anni.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e osservò la macchina allontanarsi dal marciapiede e sparire nella notte.

 

CAPITOLO TRENTANOVE

La luce del sole si stagliava sulle finestre del Warehouse District, mercoledì mattina, luccicando come spruzzi dell’oceano. Anche così lontano dalla costa, chilometri dal brillante oceano Pacifico, lontano dalle terre del lusso, sembrava come se fosse un altro bellissimo giorno a Neptune, California.
Veronica chiuse la portiera della BMW, e poi si fermò a fissare un momento l’edificio. Erano passate meno di ventiquattro ore dall’arresto di Adrian e Aurora. Il corpo era pieno di lividi e i suoi occhi secchi e stanchi a causa delle tante notti in bianco. Se mai avesse meritato un giorno di riposo, sarebbe stato oggi – ma sapeva che c’era molto lavoro da fare in ufficio. Dopo un grosso caso, le cose di solito impazzivano negli affari di un investigatore privato, e mentre i soldi della Camera di Commercio li avrebbero aiutati per un po’, doveva rimanere concentrata e accettare qualsiasi caso le avessero proposto. Prese un altro respiro e entrò.
Era quasi alla porta quando questa si aprì di colpo e Petra Landros uscì, con un vestito viola e Louboutin ai piedi. Come sempre, sembrava essere uscita da una realtà alternativa lussuosa. La sua bocca si curvò in un sorriso quando vide Veronica, e tolse i suoi grandi Jackie O dal viso per incontrare gli occhi di Veronica.
“Signorina Mars. Congratulazioni, un altro caso è stato risolto.” Si strinsero la mano. “Stavo solo lasciando l’assegno alla sua assistente.”
“Mac non è proprio la mia assistente; è più una…” Si fermò per un momento, realizzando di aver quasi detto hacker. “Collega,” finì vagamente.
Petra sventolò una mano come se non facesse differenza. Livellò i suoi occhi all’altezza di quelli di Veronica, all’improvviso seria.
“Sa, lei è una ragazza notevole.” Si portò un dito perfettamente curato all’angolo della bocca. “Brillante, piena di risorse, e accanita come poche persone. Devo ammettere…” Sorrise più calorosamente. “Mi sento più sicura sapendo che è a Neptune, prendendosi cura di tutti noi.”
Veronica incontrò il suo sguardo. “Grazie, signora Landros. Sono grata per il lavoro. Ma devo chiedere: non sarebbe più economico per la Camera avere uno sceriffo competente invece di affidarsi a me per risolvere i casini di Lamb?”
Si aspettò di vedere il sorriso della donna svanire, ma se non altro, divenne più grande.
“È sempre diretta, vero.” Si rimise gli occhiali, nascondendo ancora una volta gli occhi. “Come ho detto, signorina Mars. Lei è brillante, piena di risorse e accanita. Tutte qualità ammirabili, gliel’assicuro. Ma a volte, è bello avere qualcuno intorno che fa solo quello che gli viene detto.”
E con questo, superò Veronica e si incamminò verso la sua Mercedes-Benz. Veronica la guardò salire in macchina e chiudere la portiera, prima di salire le scale verso il suo ufficio.
Fuori dall’ufficio, sentì la voce di Trish Turley attraverso la porta. Sospirò e entrò, trovando Mac seduta alla scrivania che guardava il computer.
“… Parliamo con Dan Lamb, lo sceriffo di Neptune, in California, che ieri sera tardi ha portato a termine molti arresti nel caso Aurora Scott, compresa, dopo una scioccante svolta, la stessa Aurora! Mi dica, sceriffo, com’è che ha trovato Aurora, di preciso?”
La voce di Lamb era l’apoteosi del compiacimento. “Beh, Trish, ad essere onesti è stato tutto frutto del buon vecchio lavoro di ricerca.”
“Oh, Dio. Spegni prima che mi metta a vomitare,” disse Veronica lanciando la borsa sul divano. Mac mise il computer su muto e si alzò in piedi. Afferrò una manciata di bigliettini rosa da un cestino vicino la sua scrivania e li ficcò nelle mani di Veronica senza troppe cerimonie.
“Messaggi,” disse Mac. “Per te. È quello che è arrivato prima delle dieci. Poi ho spento la segreteria. Alcuni sono della stampa, ma lì in mezzo ci sono circa sei potenziali clienti. Immagino che in segreteria ce ne siano altri. Ah, per tua informazione, ti conviene assumere qualcuno che abbia doti umane se vuoi una receptionist.” Incrociò le braccia sul petto e si appoggiò alla scrivania. “Forse un paio di quei reporter li dovresti richiamare. Lamb sta dicendo a chiunque abbia in mano un microfono di come ha risolto il caso. I suoi numeri stanno già ribaltando i sondaggi.”
Veronica si sedette sul divano e buttò i piedi sul tavolino davanti a lei. “Lascia che gli idioti votino per lui. Hai il governo che ti meriti, no?”
“Ah, vedo che oggi i livelli di misantropia sono belli alti.” Mac prese un assegno dalla scrivania, facendolo scattare secco. “Questo dovrebbe tirarti su. Puoi pagare l’affitto e puoi assumere un tecnico-barra-segretaria super sexy come minimo per i prossimi mesi.”
Veronica sorrise. “In effetti mi tira su. Potrebbe anche andarci bene, Mac.”
“Ci va sempre bene,” disse Mac. Si avvicinò alla macchinetta per il caffè e se ne versò una tazza. “Ancora non posso crederci che Aurora fosse dietro l’intera faccenda. Voglio dire, fregare dei soldi ad uno stupido? Lo rispetto. Ma approfittarsi di una vittima vera è decisamente squallido… persino per Neptune.”
Veronica non rispose. Per lei era addirittura troppo semplice immaginare Tanner e Aurora, prima che iniziassero a rigare dritto. Quando ancora l’un l’altro era tutto ciò che avevano. Riusciva a figurarsi il modo in cui lui la ricompensava con quel sorriso del Midwest quando lei riusciva a mettere a segno una truffa. Riusciva a figurarsi il modo in cui lui la ignorava, poi, per settimane ubriaco tra un lavoro e l’altro, senza nessun uso per la bambina bisognosa che lo osservava da così vicino. Era inevitabile che Aurora decidesse che l’amore non era altro che un ulteriore modo per usare qualcuno, soltanto un’altra lunga truffa.
Si tirò su e si stiracchiò. “Sarà meglio che mi occupi di alcune di quelle chiamate, immagino. Vuoi andare da Doriola per pranzo? Offro io.”
“Certo.” Mac la osservava, con una strana espressione sul viso, mentre Veronica si avvicinava alla porta del suo ufficio. “Suona bene.”
Veronica guardava l’amica da oltre la spalla mentre apriva la porta. Stava giusto per chiederle il motivo di quella strana espressione quando vide qualcosa che la fece bloccare a mezz’aria.
Keith sedeva alla sua scrivania. Indossava un rifinito completo grigio e una cravatta blu a righe, il suo bastone era agganciato al bordo della scrivania. Adiacente alla sua, stava una seconda scrivania. Era pulita e ordinata, con una piccola lampada cromata all’angolo, un bicchiere pieno di penne e un vassoietto pieno zeppo di documenti sull’altro lato.
“Sei in ritardo,” disse Keith con una mite ed impassibile espressione sul viso. “Che io sappia la giornata lavorativa americana inizia alle nove.”
Un piccolo, riconoscente sorriso le comparve sul viso. Lanciò di nuovo un’occhiata a Mac, la quale fece un sorrisetto e tornò al suo computer. Poi Veronica entrò nell’ufficio e si sedette nella sua nuova sedia.
“Pensavo avessi fisioterapia stamattina,” disse lei.
“Mettere insieme i mobili più o meno equivale a fare fisioterapia,” rispose lui. I loro occhi si incontrarono, e l’espressione di lui valeva più di mille parole.
Un momento dopo, Veronica sentì la porta d’entrata aprirsi di nuovo. Alzò lo sguardo e vide Hunter e Lianne in piedi nella reception, proprio dentro la porta.
Gli occhi di Lianne erano scuri dalla spossatezza. Indossava lo stesso maglione grigio e jeans del giorno prima, sgualciti, una macchia fresca di caffè sulla coscia. Hunter, cupo al solito, si guardava intorno nell’ufficio. Per una volta non aveva uno strumento in mano. Veronica e Keith si alzarono e andarono nell’ufficio esterno per incontrarli.
“Lianne.” Keith si fermò poco lontano dalla sua ex-moglie. Per un momento sembrò incerto, le sue mani impacciate lungo i fianchi. Poi protese le braccia e lei si mosse per abbracciarlo, posando per un attimo il mento sulla sua spalla. Quando si separarono, Keith la tenne per le spalle e la guardò, “Come te la cavi?”
Lei guardò Hunter, poi di nuovo Keith. “Stiamo… stiamo bene. Grazie.”
Hunter diede un’occhiata alla stanza, un piccolo cipiglio scettico sul viso. Veronica si inginocchiò per arrivare alla sua altezza. “Come stai, Hunter?”
“Siamo appena stati in prigione.” C’era un misto di orgoglio e qualcos’altro nella sua voce. Rassegnazione, forse? Tristezza?
“I poliziotti mi hanno dato un distintivo. Vedi?”
“È proprio fico”, disse Veronica, ammirando la spilla sulla maglietta del bambino.
“È di plastica,” rispose Hunter su due piedi.
Lianne rigirò più volte l’anello nuziale che aveva al dito, la bocca rivolta verso il basso. “Ti dispiace se parliamo nel tuo ufficio?” Lo sguardo sul suo viso era mirato; non voleva che Hunter sentisse.
“Certo. Veronica, puoi dare un’occhiata al piccolo?” chiese Keith.
“Certo.” Guardò mentre Keith accompagnava Lianne nell’ufficio, chiudendo fermamente la porta dietro di lui. Per un attimo l’unico suono nella stanza era il lieve gorgoglio dell’acquario. Guardò Mac, che alzò impotente le spalle.
“Lo sceriffo potrebbe arrestare la mia mamma,” disse Hunter all’improvviso, con il mento che sporgeva all’infuori in maniera combattiva. Sfregò una sneaker avanti e indietro sul pavimento. “Ecco perché sta parlando col tuo papà.”
Veronica si sedette sul divano dove era più o meno all’altezza del viso del bambino. “È quello che ti ha detto lei?”
“No,” disse sprezzante. “Ma l’ho sentito.”
Lei lo fissò – quel piccolo estraneo. Suo fratello. Lianne potrebbe essere rimasta sobria per tutta la sua vita, ma aveva comunque quello sguardo sfuggente da figlio di tossicodipendente – stoico, nascosto, attento. Forse era l’effetto di crescere con così tanti segreti, così tante bugie… con un padre che era riuscito a smettere di bere, ma non a organizzare truffe. Con una sorella che era nata e cresciuta come una criminale. Con una madre che teneva nascosto il suo passato nel proprio cuore, un passato segreto e di cui vergognarsi.
“Ha detto che era una…. camplice?”
“Una complice?”
“Esatto.” Annuì. “Quindi potrebbe andare in prigione. E io rimarrò solo.”
Per un momento non disse nulla. Dall’altra parte della stanza, il piccolo tesoro elettronico nella vasca dei pesci si apriva e chiudeva, ritmicamente, rilasciando bollicine. Aldilà della porta per l’ufficio interno, riusciva a sentire la voce di suo padre, bassa e gentile, ma non riusciva a capire cosa stesse dicendo. Non sapeva di cosa stessero parlando, esattamente – non sapeva come Keith fosse in grado di aiutare Lianne, questa volta. Ma si era voltata verso Hunter. Velocemente e impulsivamente, e l’aveva stretto in un abbraccio. Le sue piccole spalle erano tese. Si piegò verso di lui e gli sussurrò all’orecchio.
“Ascolta, Hunter. Non so che cosa succederà ora, ma posso prometterti una cosa. Non resterai solo. Se dovesse succedere qualcosa alla mamma, se dovesse andare in prigione, mi prenderò io cura di te okay? Avrai me. E non permetterò che niente di brutto ti possa accadere.”
Percepì un solitario singulto farsi strada nel corpo del bambino. Poi ad un tratto, si rilassò. Le mise le braccia al collo e la abbracciò.
Pochi minuti dopo, Keith aprì la porta e Lianne fece un passo avanti a lui. Il suo viso era rosso e umido, ma sembrava calma, risoluta. Sorrise alla vista di Hunter, seduto vicino a Veronica sul divano mentre guardava delle fotografie sul National Geographic.
“Beh, dai Hunter. Dovremmo andare. Sono sicura che Keith e Veronica abbiano del lavoro da fare.”
“Vi accompagno in strada.” Veronica si alzò dal divano. Non era sicura del motivo, ma non si sentiva pronta a dirle addio.
Al piano di sotto, prima della porta, si fermò. Si ricordò del pomeriggio di quasi una settimana prima, quando sua madre aveva fatto il suo ingresso nel condominio dopo più di dieci anni che non la vedeva. Un momento carico – una delle due ansiosa di attraversare quella porta, di mettere un po’ di distanza tra di loro, come se lo spezzarsi di quel silenzio durato undici anni fosse avvenuto troppo presto e troppo in fretta.
Per tutta la passata settimana, Veronica era stata attenta a sua madre. Aveva programmato i suoi limiti e li aveva contornati con del filo spinato, cercando di rimanere il più professionale e distaccata possibile. Ciò voleva dire che non avrebbe lasciato nulla fuori – non avrebbe mostrato dolore, cordoglio, nessuna delle vecchie cicatrici provocate da Lianne. Quindi non doveva provare dispiacere per la madre. Non doveva provare nulla per lei.
Ma ora era difficile non farlo. Magari era solo stanchezza – due settimane di mancato sonno, brutti sogni, incubi viventi. O forse era solo Lianne, che se ne stava lì nell’ingresso, fredda e in qualche modo incustodita, insicura su cosa farne delle proprie mani.
La vita di sua madre – la vita che aveva ricostruito dalle ceneri di mille ponti distrutti – era appena stata distrutta. La famiglia che pensava di avere era una bugia. Era stata tradita e abbandonata.
Era una pena grande abbastanza per tutti.
Veronica si voltò verso Lianne, e prima che potesse cambiare idea le si avvicinò e la strinse in un abbraccio. La schiena di Lianne era ossuta e calda, le vertebre rigide sotto il tocco di Veronica. Tremava un pochino, nelle braccia di sua figlia, il respiro instabile. Veronica chiuse gli occhi per un secondo ed emise un sospiro.
Perdonare non era nella sua indole. Ma era stanca di combattere quella guerra.
“Addio, mamma,” sussurrò. Poi aprì la porta.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

3 COMMENTS

  1. appena finito di leggere tutto il libro…l’ho divorato, proprio una storia alla Veronica Mars!! Avrei voluto più LoVe, ma in fondo va bene così!! Grazie a tutti voi per il vostro lavoro di traduzione!! :*

  2. Letto tutto!!!
    Come credo milioni di fan della fù serie tv, m’aspettavo di leggere i risvolti delle vite dei personaggi.
    Se chi si occupa di questi personaggi di fantasia ci mettesse un decimo del potenziale che usa per tessere la trama del caso, lui sarebbe a cavallo e io potrei mettere a tacere la mia curiosità.
    Dopo una serie tv con finale amarcord, un film con un FINALE APERTO, pure il libro su questa falsa riga?!
    Sul caso invece niente da dire, sullo schermo così come su carta, rende al 100%, il finale spiazza come sempre (in positivo).

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