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Veronica Mars | Capitoli 35, 36 & 37

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Veronica Mars | Capitoli 35, 36 & 37

VERONICA-MARS-COVER

CAPITOLO TRENTACINQUE

“Ascolti, per la millesima volta, non ho attaccato Shep.”
Era martedì sera tardi, e Veronica stava guardando l’interrogatorio di Tanner attraverso lo specchio. Lamb non la voleva presente – era pronto ad arrestarla per ostruzione, fa niente se era stata lei a fare la svolta nel caso. Aveva chiamato Petra Landros per ricordarle che 600.000$ erano ancora spariti – 600.000$ in parte raccolti anche dalla Camera di Commercio. “Pensa che Lamb sia in grado di ritrovarli?” aveva chiesto Veronica.
Entro venti minuti, un ufficiale le aveva mostrato dove poteva appendere il cappotto. Aveva pensato che Petra avesse chiamato Lamb per ricordargli che i fondi per la sua campagna erano in bilico. Beh, qualsiasi cosa fosse, aveva funzionato. Voleva solo sentire cosa avesse da dire Tanner.
Tanner Scott sedeva di fronte a Lamb, le sue braccia sul tavolo. Di fianco a lui, Cliff McCormack scriveva appunti.
“Va bene, sì, stavamo lavorando insieme.” La voce di Tanner era più alta del solito. Era nervoso. “Cioè, io stavo lavorando per lui. Tutta questa faccenda è una sua idea. Sono stato fuori dai giochi per tanto tempo, vivendo pulito e legalmente. Ma poi è arrivato Shep…”
“Duane Shepherd? La vittima?”
“Sì. Mi ha rintracciato a Tucson. Non lo vedevo da otto anni. Eravamo partner.”
A questo punto Cliff si avvicinò per sussurrargli qualcosa, ma Tanner scosse la testa.
“No, sentite, dirò tutto ciò di cui sono responsabile. Ma giuro su Dio, non ero vicino a quell’hotel stasera. Non ho niente a che fare con quella maraca.”
Aveva pronunciato “maraca” con una ‘a’ corta sulla seconda sillaba.
“Facevamo un po’ di casini, prima di smettere di bere. Sono stato preso nove anni fa e ho scontato la mia pena. Mi ha spaventato. Mi sono pulito, e mi sono calmato. Quando sono uscito di prigione, Shep è stato arrestato. Dopo di che abbiamo perso i contatti. Non l’ho più rivisto fino alla scorsa settimana.”
Veronica era già stata in contatto con Mac per quasi tutta la serata – abbastanza da mettere insieme le parti che Tanner non stava raccontando. Sapeva già che Tanner falsificava assegni. Shepherd, d’altro canto, aveva una fedina penale più consistente. Negli anni 90 era stato in galera sei mesi per aver venduto oggetti sportivi falsi a Sacramento, compresa una palla da football ‘firmata’ da “the Juice”. Qualche anno dopo era finito di nuovo nei guai, questa volta per aver venduto biglietti della lotteria falsi a Denver. L’ultima condanna, quella scontata durante la permanenza di Tanner in prigione, era per furto d’identità e frode di carte di credito, cinque anni nella prigione federale per aver prosciugato dozzine di conti creati con i numeri rubati della Social Security.
I due uomini non erano mai stati implicati negli stessi crimini, ma poteva scommettere che avevano lavorato insieme per molto tempo. Mac aveva dovuto scavare a fondo per trovare denunce a Reno, Fresno, Phoenix – casi in cui le vittime si erano fatte avanti urlando alla truffa ma non c’erano mai state prove. Sei donne avevano dichiarato di essere state reclutate per un’agenzia di moda che aveva richiesto il pagamento immediato per il portfolio, solo per scoprire che l’agenzia era sparita quando tornavano; alcuni imprenditori avevano dichiarato di aver conosciuto “l’affascinante fratello di Denzel Washington” e avergli dato un sacco di soldi. Una coppia di anziani che aveva comprato una barca da un “uomo maggiolino con gli occhi azzurri”, solo per scoprire che era una truffa. Veronica conosceva le statistiche – alcune persone non denunciano mai, troppo imbarazzate per dire di esserci cascati o per rivelare le proprie situazioni. Per ogni denuncia, era giusto supporre che ci fossero almeno mezza dozzina di altre vittime che rimanevano nell’ombra.
“Aveva un’idea su come fare soldi. Gli ho detto di no, che ne ero uscito. Ma la cosa su Shep è che può essere molto persuasivo.” Si grattò il collo. “Mi ha costretto a farlo.”
“In che modo l’ha costretta?” la voce di Lamb emanava scetticismo, il sopracciglio sinistro alzato, sopra quegli occhi azzurri. “L’ha minacciata con la violenza?”
“Shep sa delle cose su di me, di quei tempi. Abbastanza da avermi in pugno. Cioè, nulla di violento,” disse velocemente. “Alcune cose successe tempo fa che sono ancora, tecnicamente, irrisolte. Ha minacciato di denunciarmi. Non ho mai voluto far del male a nessuno. Lo giuro.”
“Gli credi?”
Veronica alzò lo sguardo. Norris Clayton era comparso di fianco a lei, con due tazze di caffè in mano. Ne porse una a Veronica.
“Sul fatto che sia stato minacciato da Sheperd? Diciamo cinquanta e cinquanta. È possibile – ma Tanner è un bugiardo patologico, e Sheperd non è esattamente nella condizione di poter replicare.”
“Oh, non hai saputo?” Norris fece una risata vuota. “Sheperd è scomparso dal suo letto di ospedale circa un’ora fa. Nessuno capisce come abbia fatto – ma si è volatilizzato.”
Veronica si girò a fissarlo, ma non aveva tempo per le chiacchiere. Lamb stava ancora grigliando Tanner Scott. Scosse la testa e riportò la sua attenzione alla finestra.
“Okay, okay. Quindi qual era il piano del signor Sheperd? Me lo spieghi come se fossi stupido,” disse Lamb.
Norris sbuffò piano, e la stima di Veronica per quell’uomo si alzò in maniera drammatica.
“Beh, ha visto quanti soldi stavano arrivando nel fondo per Hayley Dewalt. Cioè, entro mezzogiorno del primo giorno erano più di centomila. Incredibile. Quindi ha pensato che sarebbe stato facile metterci sopra le mani. Tutto ciò che Aurora doveva fare era accertarsi di farsi vedere alla stessa festa alla quale era stata vista la ragazza scomparsa, e poi sparire per un paio di settimane in modo che il denaro salisse alle stelle. Poi avremmo prosciugato il fondo e un paio di giorni dopo lei poteva farsi ritrovare a una stazione di servizio, sporca e vestita di stracci. Shep avrebbe portato il denaro fuori città, poi ci saremmo incontrati e l’avremmo diviso.”
Lamb lo fissava senza celare lo scetticismo.
“Un attimo, un attimo. Sta dicendo che anche sua figlia sedicenne era coinvolta?”
Tanner esitò, poi annuii.
Lo sceriffo si lasciò andare sulla propria sedia, le braccia incrociate sul petto. “C’è questo ragazzo – Adrian Marks – che dice che è scappata con un ragazzo. Sarò sincero, questo è molto più plausibile ai miei occhi del fatto che una ragazza adolescente sia andata a nascondersi durante lo spring break.”
“Quante adolescenti conosce, sceriffo?”
Lamb non sorrise. Tanner sospirò.
“Beh, è così che le cose sono andate a quel paese. Quella stupida ha detto al suo amico che sarebbe scappata con un ragazzo così che lui non si preoccupasse quando sarebbe scomparsa. Stava cercando di essere carina, credo, ma è stato uno sbaglio da principiante.” Tanner si lasciò scappare una risata amara. “Pensavo di essere stato un insegnante migliore.”
“Signor Scott, mi perdoni, ma non capisco cosa ci sia di divertente in una minorenne complice di frode, furto, ostruzione alla giustizia e inquinamento di prove.”
Tanner si fece serio di scatto. “Senta, non sia severo con la ragazza. Non voleva essere coinvolta – ma quando ha scoperto che Sheperd mi stava minacciando, si è spaventata. L’ultima volta che sono finito in prigione lei è stata in affidamento per un anno e mezzo. Non è stato esattamente un soggiorno in villeggiatura. Era terrorizzata all’idea di perdermi di nuovo.”
“E che mi dice di sua moglie e suo figlio? Sapevano cosa stava succedendo?”
Una strana espressione passò sul volto di Tanner. Veronica non sapeva se fosse dispiacere o sollievo.
“No. Non lo sapevano. Non lo sanno.”
Il che significava, ammesso che fosse vero, che aveva pianificato anche di lasciare sua madre così, sui due piedi. Il biglietto per le Bermuda diceva tutto su come aveva intenzione di finire: su una spiaggia, con un daiquiri in mano e senza una moglie o un chiassoso bambino di sei anni fra i piedi.
Lianne era sotto interrogatorio in un’altra stanza, un paio di porte più in la; Veronica non voleva assistere.
“Quindi lei ha scritto entrambe le richieste di riscatto?”
“L’ha fatto Shep. È lui quello tecnologico. Sa come criptare le cose, come nascondere un indirizzo IP, cose così. Pensava che potessimo avere fortuna e intascarci anche il riscatto di Hayley Dewalt, ma poi quella ragazza ha trovato il corpo.”
Veronica sorrise. Era passata dall’essere “Veronica, cara” a “quella ragazza” nel giro di un paio d’ore. Tutto considerato, preferiva la seconda. Quantomeno da Tanner Scott.
“Quindi oggi, quando Adrian Marks se n’è uscito con quella storia, ha deciso di fare una mossa. È corso al Grand con una delle maracas di suo figlio, ha atteso che Sheperd lasciasse l’hotel, l’ha aggredito e ha preso i soldi.”
“No!” Tanner sbatté il pugno sul tavolo. “No, non l’ho fatto. Non ero vicino all’hotel. Ero andato da Rory. Stanza 24 al Pinehurst Lodge, come sto dicendo da due ore. Andate a controllare se non mi credete!”
“L’abbiamo fatto.”
Uno sguardo sorpreso passò sul viso di Tanner, troppo improvviso perché lui potesse nasconderlo. “Quindi? Cosa ha detto?”
Il petto di Lamb si gonfiò, e Veronica poteva solo immaginare quanto si stesse godendo il momento – la trappola era partita e il gatto stava per acchiappare il canarino. Perdere ciò che aveva su Willie Murphy era stato un duro colpo. Ma aveva trovato un succoso rimpiazzo per i suoi problemi, un truffatore che si era approfittato della paura di chiunque avesse mai visto la foto di una ragazza scomparsa e aveva immaginato il proprio figlio o la propria figlia al suo posto.
“Signor Scott, nessuno al Pinehurst ha mai visto sua figlia. La stanza numero 24 è libera da una settimana. Non c’è nessuna prova che lei sia mai stata nemmeno nei paraggi di quel motel.”
Tanner scosse la testa, la sua mandibola era tesa. “Non è così. L’ho appena vista là. Tre ore fa, l’ho appena vista là!”.
“Quindi, oltre a tutto il resto, sto iniziando a considerare fortemente l’idea di accusarla non solo dell’aggressione ai danni di Duane Shepherd, ma anche dell’omicidio di Aurora Scott.”
“Lamb, sia realistico”. Cliff intervenne per la prima volta da un po’ di tempo a quella parte. “Non ha nulla che indichi che Aurora Scott sia stata assassinata, in particolare dal mio cliente.”
“Non ancora,” disse Lamb, mentre un sorriso malevolo gli si apriva in volto. “Ma finché non inizierò ad essere soddisfatto da alcune di queste risposte, è decisamente una delle possibilità.”
“Abbiamo cercato nelle zone attorno all’edificio e al Camelot,” sussurrò Norris. “Non riesco a capire dove possa aver messo i soldi. Cioè, lo guardi, i suoi shorts non hanno nemmeno la tasche. Deve averli nascosti da qualche parte, giusto?”
Per un secondo Veronica sentì che tutto si fermava. I suoni della stazione, il battito del suo cuore, il sangue nelle sue vene. L’inclinarsi e l’ondeggiare della Terra. Tutto si immobilizzò. Nel suo cervello ci furono dei flash, brillanti e accecanti. Chiuse gli occhi. Poteva sentire un sorriso, inappropriato e strano, che si apriva sul suo volto.
“Non troverete il denaro nascosto attorno all’edificio. O al Neptune Grand,” disse Veronica.
Aprì gli occhi. Norris la fissava impaziente.
“Come lo sai?”.
“Datemi un’ora e vi spiegherò tutto.” Si sistemò la tracolla della borsetta sulla spalla. “Grazie, Norris. Devo andare.”
Era a metà corridoio quando sentì Norris chiamarla. “Stai attenta, Veronica!” Veronica sollevò una mano in cenno di riscontro e girò l’angolo per uscire.

 

CAPITOLO TRENTASEI

Adrian Marks viveva in un trascurato complesso di appartamenti a qualche isolato dalle ampie e verdi strisce d’erba dell’Hearst College. Erano quasi le undici quando Veronica arrivò. La piscina era piena di ragazzi: le lezioni all’Hearst erano ricominciate, ma sembrava che i residenti stessero cercando di allungare la festa ancora per un po’. Borse frigo piene di birra erano allineate ai lati della piscina e qualche bottiglia vuota faceva su e giù come un’anatra sulla superficie dell’acqua.
Il complesso di Adrian era all’ultimo piano. C’era una luce alla finestra, fasci di giallo spuntavano dalle tapparelle abbassate. Premette l’orecchio sulla porta, ma non riuscì a sentire nulla oltre al pestare della musica proveniente dalla piscina sottostante. Allora bussò.
La luce della finestra si mosse come se qualcuno l’avesse attraversata. Sembrava fosse passato qualche minuto. Rimase in piedi dietro la porta, qualche centimetro più indietro. Era così bassa che spesso la gente faceva fatica a vederla dallo spioncino.
Dopo quello che sembrò essere un attimo di troppo, la porta si spalancò. La silhouette di Adrian era in piedi nell’ingresso. Indossava una t-shirt a rovescio e un paio di boxer scozzesi, i suoi capelli scuri erano scompigliati sopra un occhio. Non lo aveva mai visto così svestito da quando lo aveva conosciuto la settimana prima: di solito dava l’impressione di vestirsi con cura, persino quando indossava solo jeans e maglietta.
“Non ti ho svegliato, vero?” la voce di Veronica era dispiaciuta. “So che è tardi.”
Adrian si massaggiò il retro del collo. Fece un sorriso imbarazzato.
“Non mi ero ancora addormentato. Mi stavo solo sistemando. In realtà per me è presto, ma è stata davvero una giornata da incubo.” Sollevò la mani, mostrando i palmi in un gesto di esasperazione.
“Già, ho sentito che hai dovuto rilasciare una dichiarazione. Deve essere stata dura.”
Lui sussultò. “Non voglio dover passare mai più niente del genere.”
Veronica sorrise simpateticamente.
“Il fatto è che ho qualche altra domanda su Aurora. Speravo potessi aiutarmi a chiarire alcune cose.”
Adrian lanciò un’occhiata nell’appartamento dietro di lui. “Non può aspettare domani? Stavo proprio per andare a letto.”
“Ci vorrà solo un momento.” Fece una pausa. “Voglio solo accertarmi che Aurora stia bene.”
Dietro di lei, dalla piscina, sentì un grido e un tuffo. Dopo qualche altro secondo Adrian spalancò la porta per farla entrare.
L’angusto, piccolo appartamento era una catastrofe. Piatti sporchi e cartoni di pizza vuoti erano sovrapposti sul pavimento. Un posacenere troppo pieno era posizionato su un libro di statistica, accanto ad un mucchio di bottiglie di birra. Una delle lampadine della cucina era bruciata, dando all’area un aspetto ingiallito e squallido. Odore di calze non lavate si mescolava a quello acre del cibo. Oltre ad esso riuscì a distinguere una traccia di qualcosa di più dolce, come il fantasma di una candela alla vaniglia.

“Allora, dicevi di avere delle domande?”, disse Adrian.
Lei si infilò le mani in tasca, dondolando leggermente sui talloni. “Hai sentito cos’è successo ieri sera? Il signor Jackson… sai, quell’esperto di riscatti? Qualcuno lo ha attaccato fuori dal Neptune Grand ed è sparito con i soldi del riscatto.”
Arian scosse la testa con due rapidi scatti. “Cosa?”
“Assurdo, vero?” Spostò il suo peso. “Lo sceriffo ha portato dentro il signor Scott per interrogarlo.”
“Il signor Scott? Ma… perché?” Le sopracciglia del ragazzo si aggrottarono.
“A quanto pare Jackson e Tanner lavoravano insieme fin dall’inizio. Beh, Jackson, Tanner e Aurora. Stando a Tanner anche lei c’era dentro.” Guardò attentamente il volto di Adrian. Sembrava confuso, i suoi occhi erano sgranati per lo stupore. “Hanno deciso di architettare la sua scomparsa dopo la notizia di quella di Hayley, poi hanno creato le domande di riscatto, sperando di guadagnare dai riscatti sia di Hayley che di Aurora. Ma quando sembrava che la loro copertura stesse per saltare, Jackson ha provato a svignarsela con i soldi. Lamb crede che sia stato Tanner ad aggredirlo e ad aver nascosto i soldi da qualche parte.”
Adrian si lasciò cadere su una comoda poltrona bitorzoluta. Cigolò sotto al suo peso. “Oh mio Dio.” Per un momento si coprì gli occhi con una mano, poi guardò in su con gli occhi lampeggianti. “Io la ammazzo! Mi ha mollato qui a sentirmi una merda per averle coperto il culo e per tutto questo tempo è stata dietro alla faccenda? Non posso fottutamente crederci.”
Veronica si sedette di fronte a lui su un divano sfondato, con le mani in grembo.
Da dove sedeva poteva vedere una parte del corridoio buio: una porta era chiusa, un altra era aperta di poco ma era troppo buio per vedere dentro. “Quindi non hai mai avuto sue notizie stasera?”
Scosse la testa. “I poliziotti l’hanno trovata?”
“È questo il punto.” Si sporse in avanti. “Non è al motel in cui Tanner aveva detto sarebbe stata. Questa volta è scomparsa davvero.”
“Che intendi dire?”
“Non lo so.” Si alzò di nuovo in piedi. “Lamb parla di accusarlo del suo omicidio, ma io non me la bevo. Prima di tutto non ci sono prove. Non che questo fermerebbe Lamb, ma in secondo luogo, a quanto pare Tanner avrebbe colpito il suo compare in testa con una maracas. Non ci credo che avrebbe colpito Lee Jackson con un randello amatoriale se fosse stato abbastanza freddo da far fuori la sua stessa figlia.”
“Una maracas?” chiese Adrian, con un aspetto sconvolto.
“Quindi, quello che mi domando,” continuò lei, come se lui non avesse parlato, “è se tu credi che Aurora abbia in mente di gabbare suo padre.”
Per un momento lui la fissò, con la bocca aperta.
“Perché ecco il punto, Tanner potrà anche essere grossolano, ma a me sembra un tipo piuttosto intelligente. Quindi perché avrebbe dovuto prendere lo strumento musicale di sua figlio, che gli avevo visto in mano un paio di ore prima, e usarlo per aggredire qualcuno?” Fece una smorfia. “E poi comunque dove diavolo la teneva? Era fuori a far jogging, ho visto i suoi vestiti: shorts di rete, T-shirt, niente tasche. È corso fino al Grand con la maracas nel pugno e poi è corso indietro con la sacca coi soldi? Ne dubito. Ma se non è stato Tanner, e io non credo sia stato lui, allora significa che chiunque sia stato si è dato un gran daffare per far ricadere tutto su di lui. L’unica persona coinvolta in questo affare che manca all’appello è Aurora. E se ho imparato qualcosa su di lei nelle scorse settimane, è che è intelligente, ambiziosa e una bugiarda fottutamente brava.”
Adrian si passò le dita tra i capelli. Stette in silenzio per un minuto, fissando con guardo spento il soffitto. Quanto tornò a guardare in basso, i suoi occhi erano combattuti.
“Non lo so più. Voglio dire, un paio di ore fa ti avrei detto che assolutamente no, Rory non avrebbe mai fatto una cosa del genere a suo padre. Ma… mi ha mentito per tutto questo tempo. Ha mentito a tutti quanti. Quindi non so più cosa pensare. Mi dispiace, avrei voluto poterti aiutare.”
Lei si alzò in piedi. “Va tutto bene Adrian, deve essere stato un grande shock per te.” Sorrise e gli porse la mano. Se la strinsero. “Senti, dammi un colpo di telefono se la senti, ok? Voglio solo sapere se sta bene.”
“Lo farò.” promise.
Si girò per andarsene, ma si bloccò vicino al corridoio buio. Era ora o mai più.
“Ti dispiace se uso il bagno prima di andare?”
Prima che lui potesse rispondere, spalancò la porta chiusa, quella che aveva etichettato come la stanza da letto. Immediatamente dalla porta aperta si diffuse una zaffata di quel dolce odore di vaniglia.
Poi, un’onda di dolore al calor bianco si dispiegò nel suo petto, diffondendosi in tutto il corpo. I suoi muscoli si irrigidirono. Sentì se stessa cadere e non riusciva a muoversi nemmeno per allungare le braccia e parare la caduta.
Il momento prima di colpire il tappeto, fece in tempo a riconoscere il viso lentigginoso e i capelli ramati della sua assalitrice, con un Taser che le scoppiettava in mano.
Ciao, Aurora.

 

CAPITOLO TRENTASETTE

“Cazzo! Cazzo! E ora cosa facciamo?”
“Stai zitto. Stai zitto e lasciami pensare un secondo.”
Veronica si ritrovò stesa di schiena, a fissare batuffoli di polvere e tappi di birra dall’altra parte di uno sporco tappeto color khaki. Non poteva muovere la testa da dove era curvato verso sinistra, ma da dove era stesa poteva distinguere un letto con una trapunta sgualcita per metà sul pavimento, una lampada da scrivania che gettava una luce gialla intorno al comodino. C’erano vestiti sporchi per tutta la stanza, e poco più in là, un borsone di nylon blu sul pavimento.
Quel profumo di vaniglia si fece più forte, e sentì un respiro caldo sulla sua guancia. Il dolore rimbalzò in tutto il suo corpo mentre Aurora la scioccava di nuovo con il taser, i nervi che urlavano. Sentì le proprie gambe cadere contro il pavimento come un pesce in fin di vita, mentre si chiedeva se non fosse una sorta di orribile karma per tutte le persone su cui aveva usato il taser nel corso degli anni. Poi rimase ferma.
“Dammi la sua borsa,” pretese Aurora. “Dobbiamo assicurarci che non sia armata.”
Ci fu un fruscio vicino all’orecchio di Veronica mentre Aurora frugava nella sua borsa e tirava fuori il taser. “Tienilo stretto. Di certo non vogliamo essere dall’altra parte di questo coso.”
Avevano il Taser di Veronica. La bocca le diventò asciutta. Poteva già sentire la sensazione di formicolio ritornarle agli arti, ma prima che potesse muoversi, sentì qualcosa premerle le gambe.
“Dobbiamo legarla prima che lo shock si affievolisca.”
“Sì, ma poi? Ti ha vista, Rory – cosa cazzo ne facciamo di lei?” La voce di Adrian era calata di due ottave negli ultimi due secondi.
“Tesoro, ti amo, ma non sei di aiuto.” La voce di Aurora era un sibilo teso, controllato. “Usa le fasce che usi per allenarti e legala.”
Sentì un po’ di rumore dietro di lei. Veronica mosse le dita dei piedi, per testare i suoi movimenti. All’improvviso Aurora era di fronte a lei, la testa inclinata da un lato per incontrare gli occhi di Veronica. Indossava un reggiseno e mutandine nere, i capelli sciolti intorno alle spalle. Il mascara si era sciolto sotto gli occhi. Teneva il taser nella mano destra.
“Non hai idea di quanto ho sentito parlare di te,” disse. La sua voce era tesa ed eccitata. “La intelligente e brava Veronica Mars, la figlia così rispettabile e onesta che Lianne non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi. È fottutamente patetico. Non ha mai avuto quel problema con me.” Aurora fece una risata breve, dura.
“Mi sa che ci vuole un truffatore per riconoscerne un altro,” gracchiò Veronica. Aveva la gola secca e i suoi muscoli erano raggruppati in nodi tesi e crudeli. Gemette, la sua voce debole e malferma, mentre Adrian appariva e le legava la braccia lontane dal corpo. Le avvolse qualcosa di freddo e stretto attorno ai polsi. Quasi istintivamente distanziò leggermente le mani l’una dall’altra, sperando che ciò potesse aiutarla in qualche modo ad allentare la stretta.
Aurora sembro godere della sua sofferenza. “Quindi è stato Adrian ad attaccare Duane Shepherd con la maraca e a lasciare quei fagioli lì così che potessi trovarli?”
“Sapevo che quel cretino dello sceriffo non ci sarebbe arrivato, ma ho pensato che tu avresti potuto.” Cominciò a passeggiare, i piedi nudi che facevano avanti e indietro sul tappeto. “Shep non mi è mai piaciuto. Gli piaceva pensare di essere al comando di tutta l’operazione. Mi ha seccato un po’ di non essere stata io stessa a colpirlo.” Fece una pausa, guardò dietro Veronica verso Adrian. “Hai stretto per bene? Ora anche le gambe.”
Poi ci sarebbe stato il bavaglio. Non le rimaneva molto tempo se voleva farli parlare. Alzò leggermente la testa per incontrare gli occhi verdi da gatta di Aurora.
“Allora, da quanto tempo vai a letto con il tuo migliore amico gay, Aurora?”
Aurora si fermò per un attimo e ridacchiò. Suonò giovane in maniera assurda, quasi infantile.
“Abbiamo iniziato la nostra recita in stile Will & Grace lo scorso anno, subito dopo che abbiamo iniziato a uscire insieme. All’inizio lo abbiamo fatto solo per vedere se saremmo riusciti a farla franca. Ho raccontato a papà e a Lianne un paio di storie tristi su come i bulli della scuola se la prendevano con lui, che la sua famiglia lo avrebbe ripudiato se avesse saputo. Se la sono bevuta subito. Non hanno mai detto una parola, nemmeno quando uscivo dalla mia camera con Adrian ancora lì, mezzo nudo.” Fece un sorrisetto. “Non ero sorpresa che Lianne se la fosse bevuta, ma mio padre avrebbe dovuto capirlo. Ci ha perso la mano.”
“Avete iniziato il pettegolezzo solo per stare insieme?” chiese Veronica. Adrian avvolse velocemente un asciugamano attorno alle sue caviglie. Di nuovo, le tenne quasi impercettibilmente separate. “È una truffa rischiosa. Sono impressionata”.
Aurora fece spallucce. Si fermò per prendere una lunga sciarpa di seta da sopra il comò facendola girare intorno al proprio pugno.
“Non sapevamo nemmeno che ci sarebbe tornato utile. Non è che l’avessimo programmato. Ma è risultato essere piuttosto utile. Nessuno avrebbe mai sospettato del dolce e tenero Adrian, nessuno avrebbe detto che ha avuto a che fare con la mia scomparsa.”
“Quindi, ora avete il denaro,” disse Veronica. “E in più siete riusciti ad incastrare tuo padre. Ci vuole del sangue freddo, Aurora.”
Le narici della ragazza si dilatarono. “Ha avuto quello che gli spettava.”
“Penso che dovremmo parlarne più a lungo di ciò,” disse Veronica.
La ragazza si piegò su un ginocchio davanti a Veronica. Il suo ghigno era un cenno agitato e arrabbiato. “Non sai niente di me. Non puoi giudicarmi.” Agguantò una manciata di capelli di Veronica e tirò forte strattonandole la testa. Veronica pianse dal dolore, ma nell’istante in cui aprì la bocca la ragazza le infilò la sciarpa in bocca.
Veronica tentò di liberarsi, di scappare dalla presa di Aurora, ma la ragazza teneva duro, mantenendola attaccata al suolo. Il cuoio capelluto di Veronica bruciava, e la sciarpa di seta riempiva la sua bocca asciutta, allargandole le guance in modo scomodo.
Lo sguardo di Aurora incrociò quello di Veronica. “Tanner mi trattava come la ragazzina stupida che ero prima che mettesse la testa a posto. Non gli è nemmeno passato per l’anticamera del cervello che avrei potuto fare una cosa del genere se l’avessi voluto. Ho passato i primi sette anni della mia vita come una pedina dei suoi giochetti. Ero una perfetta giocatrice facile da accontentare. Mi faceva riportare a casa cani che si erano persi in cambio di denaro. Una volta lui e Shep mi hanno rasata a zero e fatta passare per una paziente di cancro,” tirò su col naso. “Cristo, per un po’, quando eravamo per strada, mi lasciava alla stazione di benzina o in un’area di riposo. Poi quando un certo tipo di uomo mi si avvicinava o mi chiedeva se andasse tutto bene, dovevo urlare più che potevo. Papà sarebbe corso da me accusando il tizio di tentato rapimento. Nove volte su dieci il tipo era così spaventato che avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di risolvere il problema. E poi, solo perché la prigione gli ha messo una fottutissima paura, ha deciso di mettere la testa a posto. L’ha semplicemente deciso, per entrambi, come se io non avessi voce in capitolo. Poi ci sono stati 9 anni di “Fai la brava Aurora, fila dritto”, nove anni di “Stai prendendo una brutta strada, signorinella.” Tremava – che fosse di rabbia o nervosismo, Veronica non l’aveva capito. “Quindi quando Shep è venuto da me con un piano, ero fottutamente eccitata. Ovviamente nella sua versione sarei dovuta essere la brava ragazza che viene messa nell’hotel da quattro soldi che avevano scelto per me. Non c’era nemmeno la TV via cavo laggiù! Allora me ne sono stata qui, dove volevo stare. Sono entrata nel motel e ci sono rimasta abbastanza a lungo perché papà mi vedesse e tornasse qui. Ora sono stati catturati entrambi, e se lo meritano, per avermi sottovalutata.”
Improvvisamente lasciò la presa sui capelli di Veronica. La sua testa sbattè di nuovo sul tappeto, e per un momento vide le stelline.
“Andiamo, Adrian, la tabella di marcia è stata velocizzata.” Aurora era di nuovo in piedi. “Dobbiamo andarcene da qui.”
“Cosa ne facciamo di lei?”
“La lasceremo qui. Legata ed imbavagliata. Qualcuno la troverà tra qualche giorno.”
La pressione sulle gambe di Veronica si alleggerì quando Adrian si alzò. Strinse i pugni lungo i fianchi, le nocche bianche. “Non funzionerà e lo sai. La gente sa chi è. La cercheranno, e se la troveranno prima che saremo andati…”
“Allora cosa suggerisci?” soffiò lei.
Lui le lanciò uno sguardo significativo. La ragazza sbiancò sotto le sue lentiggini.
“Assolutamente no,” sussurrò. “È una pazzia Adrian. Pensi che ci lasceranno sparire se uccidessimo qualcuno?”
La gola di Veronica si strinse. Per un momento sentì come se si stesse strozzando con quella sciarpa. Mosse le dita per tastare le corde che la legavano. C’era un passaggio, ma ci sarebbe voluto del tempo e del lavoro da fare.
“Non possiamo rischiare di essere trovati,” Adrian afferrò Aurora per le spalle e la guardò con uno sguardo spaventato. “Dobbiamo sbarazzarci di lei.”
I due si fissarono in silenzio. Sul pavimento, Veronica tentò di rallentare il respiro, di restare calma. Avrebbe avuto bisogno sia del fiato che dell’energia in caso decidessero di non avere altre opzioni.
Poi, tagliando l’aria tesa e ansiosa, tre veloci colpi risonarono alla porta.
Il cuore di Veronica fece un balzo.
Aurora ed Adrian si scambiarono uno sguardo, gli occhi ridotti a fessura. Adrian fece un cenno con la testa ad Aurora e scapparono dalla camera da letto, chiudendosi bene dietro la porta.
Veronica ascoltò i passi di lui nel piccolo appartamento.
La porta si aprì. La voce di Adrian era ovattata dal muro, ma quella dell’ospite si sentì chiara e risonante.
“Salve signor Marks. Mi scusi se la disturbo, sto cercando mia figlia.”
Era Keith.
Finalmente, pensò Veronica. È qui.

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Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

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