Home Rubriche & Esclusive Veronica Mars | Capitoli 29, 30 & 31

Veronica Mars | Capitoli 29, 30 & 31

1
Veronica Mars | Capitoli 29, 30 & 31

VERONICA-MARS-COVER

CAPITOLO VENTINOVE

Veronica inchiodò sul posto. Sentiva il rumore del traffico in distanza, ma non era nemmeno lontanamente forte come quello del sangue nelle proprie orecchie. Chad Cohan non aveva bisogno di arrivare a Neptune e tornare indietro, in tempo per le lezioni. Gli era bastato andare a Bakersfield. Quattro ore andata. Quattro ore ritorno.
Aveva senso. Quadrava tutto.
Guardò a destra e a sinistra lungo la statale. Non c’era molto traffico, e dopo aver sgasato si immise sulla strada direzione Lake Creek Motel, un edificio cadente con due piani di camere. Una volta arrivata si fece strada all’interno dell’ufficio principale.
Era umido e puzzava di sudore. La carta da parati, scolorita e scollata, aveva una fantasia di rose che facevano capolino da delle linee verticali dorate. Una testa di cervo completamente fuori luogo era appesa sopra alla scrivania, con le corna attaccate alla fronte in maniera asimmetrica. La scrivania era vuota, ma dalla stanza retrostante poteva sentire il rumore di un televisore.
Un uomo anziano sbucò da dietro l’angolo, trotterellando verso la scrivania. Era minuto e dall’aria trascurata, indossava una felpa che non vedeva la lavatrice da un mese e dei jeans sformati. Notò che gli mancavano due dita alla mano sinistra, e quando si grattò il mento lo fece con il pollice. “Buonasera signora.”
“Salve. Ho una domanda un po’ strana da porle.”
L’uomo anziano la fissò da dietro una ragnatela di rughe. I suoi occhi erano scuri e luccicanti, difficili da interpretare. “Ogni tanto ne capita una.”
“Le capita di lavorare al mattino presto? Ad esempio alle quattro o cinque del mattino?”
L’uomo scosse la testa. “Mio figlio mi sostituisce più o meno dopo mezzanotte, e di solito lavora fino alle dieci o alle undici del mattino seguente.”
“È in giro?”
Lui spostò il peso da una gamba all’altra, senza cambiare espressione. “Sta dormendo, signora. Le notti sono lunghe da queste parti. Non si sveglierà prima di un paio d’ore.”
Lei annuì. “Bene, magari può aiutarmi lei. Non so se ha visto le news, ma ci sono un paio di ragazze scomparse a Neptune…”
Il volto gli si illuminò. “L’ho visto! È da una settimana che Trish Turley passa la notizia. Brutta situazione. Spero che il tizio che hanno preso si becchi la pena capitale.”
“Sono stata assunta per cercare di ritrovare le ragazze, e ho motivo di credere che una delle due abbia pernottato qui l’undici di marzo, e che abbia fatto check-in molto presto al mattino. Più o meno verso le quattro o cinque? Potrebbe aver fornito un nome falso, o era con qualcun altro che ha pagato il conto. C’è la possibilità di risalire alle registrazioni di quella mattina?”
“In genere non divulgo nomi o informazioni personali dei nostri clienti senza un mandato.” Con la mano danneggiata tracciò un disegno complicato sulla scrivania – pollice, migliolo, anulare, pollice, pollice, mignolo, anulare. La scrutò incuriosito, come se stesse cercando di capire se quello gli sarebbe valso una comparsata nello show di Trish Turley. Questo le diede un’idea.
“Capisco perfettamente,” disse Veronica. “Se fossi in lei, non vorrei tutta l’attenzione addosso.” Si sporse verso di lui con fare cospiratorio. “Insomma, tutte quelle interviste sono una tortura. Ho sentito che Trish Turley sta contattando tutti quelli che hanno un qualunque tipo di legame con il caso, supplicandoli per un’intervista.
I suoi occhi si spalancarono. Per un momento rimase immobile, in meditazione. Poi si voltò verso un vecchio computer posizionato sul bordo della scrivania, pigiando i tasti uno alla volta con la mano sana.
“A che ora ha detto che è arrivata?”
“Fra le quattro e le cinque del mattino dell’undici.”
I suoi occhi scorsero sullo schermo. Lei trattenne il respiro.
“Pare che ci sia stato un solo check-in,” disse lui lentamente. “Alle quattro e un quarto del mattino.”
“Si trattava di una coppia?”
Le riservò un’altra occhiata impassibile. Lei capì che non avrebbe avuto nessun altra informazione da lui.
“Mi scusi. Okay. Ma mi lasci chiederle un ultimo favore, poi me ne andrò.” Inspirò profondamente. “C’è la speranza di poter fare un giro per la stanza?”

La luce del sole era di uno scuro colore dorato quando entrò nella stanza al primo piano pochi minuti dopo. Aprì la porta e accese la luce.
Era squallida e puzzava di chiuso, tanto banale quanto disperata. I muri erano ricoperti della stessa carta sbiadita dal motivo con le rose che c’era anche nella lobby, e il tappeto grigio era logoro e macchiato. L’arredamento vecchio e imbarazzante pareva ammassato su di un lato della stanza, un mucchio di roba verniciata in legno, il copriletto sottile.
Rimase ferma nel mezzo della stanza per un attimo. Déjà vu.
Era esattamente come ogni schifoso motel che aveva visto la fine di qualcuno – era come il Camelot, dove aveva pedinato traditori e truffatori notte dopo notte. Era il Palm Tree Lodge, dove aveva cercato un’altra ragazza scomparsa, Amelia DeLongpre. Questo era il Lake Creek Motel, ed era abbastanza sicura che Hayley Dewalt fosse passata di lì.
Iniziò con le cose più ovvie, aprì i cassetti, cerco dietro l’armadio, non del tutto sicura di ciò che sperava di trovare ma cercando lo stesso. Magari sarebbe incappata in qualche oggetto dimenticato da Chad o Hayley, un indizio che le avrebbe potuto chiarire cosa fosse successo la notte che si erano incontrati a metà strada fra Neptune e Stanford. Passo le manì lungo le fessure della stanza – le ventole dell’aria condizionata, i pannelli dei muri, le prese – alla ricerca di qualcosa di strano, inusuale.
Quando ebbe finito si sedette sul bordo del letto. Addolcì lo sguardo, non stava più cercando qualcosa ma stava osservando l’insieme. La sua mente passò in rassegna gli oggetti della camera, i fatti che conosceva, i sospetti che aveva. A volte bisognava analizzare sia la foresta che i singoli alberi.
Ed ecco che finalmente li vide: i segni sulla carta da parati. Contorni squadrati dove la carta aveva un colore più acceso, dove era rimasta protetta dalla luce alla quale erano state esposte le altre rose. Le forme erano basse sul muro.
Più o meno dove di solito ci sono dei mobili.
Saltò giù dal letto. Afferrò per primo il comodino – era ingombrante ma sorprendentemente leggero. Il letto era più pesante. Dovette spostarlo a scatti. Era stato messo vicino al cassettone, ma stando a dove la carta da parati era sbiadita, era stato spostato di recente e di circa tre piedi. Lo spinse dove era originariamente. Poi ci girò attorno, ed eccola lì.
Lì, sul tappeto, c’era un’inconfondibile macchia di sangue.
Qualcuno aveva provato a pulirla – c’era un cerchio pallido e largo dove era stata strofinata. Ma le macchie color ruggine erano troppo profonde, troppo ricche per poter venir cancellate così. Una collezione di gocce formava un piccolo cerchio di circa sei pollici di diametro. Da lì si irradiavano verso sinistra, aprendosi a ventaglio per circa due piedi.
Erano passati circa dieci anni da quando aveva fatto un tirocinio presso l’FBI – e aveva lavorato solo un paio di giorni con un esperto in sangue. Ma era ovvio che qualcuno fosse stato colpito, e con forza. Probabilmente anche più di una volta.
Le si seccò la gola. Si rialzò, gli occhi che saettavano per la stanza. Le crebbe qualcosa all’interno del petto, una sensazione di panico. Cercò di ignorarla. Ma l’unica cosa che aveva importanza al momento erano le prove – i fatti concreti.
Non c’era spazio sufficiente per nascondere nulla di grosso nella camera del motel. E per giunta, due settimane dopo, l’odore di un cadavere avrebbe sicuramente attirato l’attenzione. Lasciò la porta della stanza socchiusa e uscì. Il mondo si era fatto improvvisamente più desolato rispetto a venti minuti prima, secco e marrone sotto al sole. Alla fine della fila di camere, vide la luce soffusa di una macchinetta automatica. Vicino ad essa c’era quella del ghiaccio.
Camminò in quella direzione come se si trovasse all’interno di un sogno. O di un ricordo? Quante ragazze morte erano alla deriva? Quanti fantasmi si sarebbe dovuta accollare? Poteva quasi  vedere Amelia camminare davanti a lei in un alone di luce, che alzava il coperchio della macchina del ghiaccio e ci si immergeva dentro.
Lì era dove aveva trovato il corpo della DeLongpre anni prima, coperto di ghiaccio nel cortile di un motel da due soldi. Uccisa dal suo fidanzato per dei soldi che aveva ricevuto grazie al pagamento della Kane Software. Non poteva essere successa la stessa cosa, no.
Rimase in piedi davanti alla macchina per un momento, dopodiché alzò il coperchio metallico. Pezzi di ghiaccio si presentarono alla sua vista. Prese la paletta e cominciò a spostarli, scavando verso il fondo. Poi le sue spalle si afflosciarono mentre sospirava.
Niente. A parte il ghiaccio.
Hayley Dewalt poteva essere ancora viva. Magari il sangue non era nemmeno suo – o forse era solo scappata, sperando di lasciarsi alle spalle tutto quello che l’aveva portata in quella lurida stanza, tutto quello che l’aveva spinta verso quel ragazzo che la feriva quando avrebbe dovuto amarla. Tornò nella stanza e chiuse la porta, mettendosi la chiave in tasca. Si voltò per tornare in ufficio, e poi vide qualcosa che la fece rabbrividire.
Gli uccelli che aveva visto dall’altro lato della strada stavano ancora volando in cerchio dietro al motel. Riusciva a vederli più chiaramente ora – le teste rosse, il silente fruscio dei loro corpi nell’aria, ali spalancate ed immobili per alcuni secondi e poi di nuovo in moto per riprendersi nella corrente. La sensazione di paura e disperazione che aveva nel petto era diventata improvvisamente concreta, irrevocabile come il sangue sul tappeto.
Il sole stava tramontando dietro le colline, brillante mentre si spegneva. Fece il giro dell’edificio. Il terreno del motel si stendeva per mezzo acro prima che la terra cominciasse ad avvallarsi in campi di grano saraceno e sommacco. Una vecchia catena faceva da confine lungo la linea di proprietà, in alcuni punti era afflosciata e in un particolare punto era del tutto crollata. Le poiane si dispersero non appena si avvicinò al punto che stavano perlustrando. Fece un passo verso la staccionata caduta.
Un odore caldo e fetido la investì, facendosi più forte man mano che si avvicinava. Si coprì la bocca e il naso con il palmo della mano cercando di respirare il più raramente possibile. La sua mente si agitò, cercando di trovare delle soluzioni. Avrebbe potuto essere un cervo, un coyote, persino un orso. Ma lei sapeva che non era così.
Per prima cosa vide i capelli, una spruzzata marrone spuntava fuori da un groviglio di rami sul terreno grigio. Fece qualche altro passo e riuscì a vedere chiaramente il corpo. Era a faccia in giù sotto un basso cespuglio. Sembrava che avesse cercato di coprirla con delle foglie e rametti, ma qualcosa – probabilmente animali – l’avevano disturbata. Scorse un lembo del vestito bianco, così sporco da confondersi con il terreno. Il ronzio costante degli insetti fece accapponare la pelle di Veronica.
Aveva trovato Hayley Dewalt.

CAPITOLO TRENTA

Per le dieci di quella sera, l’area che contornava il motel straripava di poliziotti. Il nastro giallo evidenziatore tipico delle scene del crimine risaltava alla luce dei lampioni. Tre auto della polizia avevano creato una barriera nel parcheggio, le loro luci ad intermittenza passavano dal rosso al blu. Dietro al nastro giallo qualche spettatore indugiava, e il rumore dell’elicottero sopra di loro si alzava ed abbassava.
Veronica osservava la scena da dietro i vetri del Lucy’s All Nite, sorseggiando una tazza di caffè. Poteva vedere il suo riflesso impresso sulla scena del crimine, le sue labbra, una pallida curva nel vetro. Dietro di lei riusciva a vedere le luci della cucina e la fila di camionisti in camicia di flanella che le lanciavano occhiate di soppiatto ogni qualche minuto. Era rimasta sulla scena del crimine abbastanza a lungo da rilasciare una dichiarazione, spiegando chi fosse e come avesse ripercorso i passi di Hayley nel motel. Un poliziotto tarchiato e con tanto di occhiali, il cui distintivo recitava il nome di MEEKS, aveva confermato per lei che si trattava del corpo di Hayley. La borsa della ragazza le era stata infilata sotto un braccio, con la carta d’identità infilata dentro.
“Questo resta tra di noi”, disse lui, guardando Veronica. “Non ripetere tutto ciò a nessuno prima di contattare la famiglia. Non potrei parlare di un caso aperto. Ma… dal momento che sei stata tu a trovarla…” Lanciò a Veronica uno sguardo strano, a tratti di compassione a tratti pieno di rispetto. Meeks l’aveva fatta sedere nel parcheggio del motel, mentre un paramedico la avvolgeva in una coperta e le controllava i parametri vitali. Dopo circa un’ora, l’agente l’aveva accompagnata dall’altro lato della strada, alla tavola calda. “Le dispiacerebbe restare nei paraggi nella prossime ore, in caso avessimo altre domande? Se si dovesse fare tardi le prenotiamo una stanza in un hotel in città e potremo parlare domani mattina.”
“Va bene ovunque tranne che al Bates Motel”, disse lei, tentando di sembrare divertente ma suonando tremante e tesa.
Alla tavola calda, Meeks aveva preso Geena da parte e le aveva detto qualcosa in un sospiro, la mano di lei si spostò sulla sua bocca mentre parlavano. Poi il poliziotto aveva fatto a Veronica un solenne cenno con il capo, ed era sparito nell’oscurità attraverso la porta. Geena si era avvicinata al tavolo di Veronica e le aveva messo una mano sul retro della giacca. A Veronica non importava. Le era sembrato quasi un gesto materno. Poi quel pensiero le fece venire voglia di piangere.
“Che cosa vorresti mangiare, tesoro?” La cameriera aveva una voce da fumatrice, bassa e un po’ roca. “Qualsiasi cosa ti piaccia. Offre la casa.”
Più per accontentare Geena che altro, Veronica ordinò un toast e delle uova. Ora il piatto giaceva intoccato davanti a lei, incapace anche solo di guardare il tuorlo rappreso e l’unta salsiccia. Ma aveva bevuto la terza tazza di caffè, e anche se ormai riusciva a sentire la caffeina farle innervosire le pupille nel cranio, avvolgere le dita sulla tazza calda la faceva stare meglio. Il caldo e amaro liquido la teneva sveglia da quello che lei aveva etichettato come un lungo brutto sogno, e piano piano tornò in se stessa.
Il telefono se ne stava alla sinistra della tazza, in modalità vibrazione. Mac l’aveva chiamata venti minuti dopo essere entrata nella tavola calda, parlando veloce.
“Veronica, mi sento una cretino. Le carte di credito di Chad Cohan erano vuote quella sera – ma quelle di sua madre no. Il suo nome è Sharon Ganz – credo sia tornata al suo nome da nubile dopo il divorzio. Chad ha pagato la stanza con una delle sue carte”.
“Non fa niente, Mac.” Versò una bustina di zucchero nel caffè e mescolò. “Non avremmo potuto salvarla, era già morta da un pezzo.”
Riusciva a vedere alcuni clienti abituali tendere l’orecchio per riuscire a sentire. A lei avrebbe dovuto importare – probabilmente avrebbe dovuto proteggere la privacy di Hayley più a lungo possibile. Ma tutti avrebbero scoperto cosa era successo prima o poi.
“L’impiegato del motel di turno quella mattina ha già identificato Chad Cohan come l’uomo che ha preso in affitto la camera,” disse Veronica a Mac. “Sto ancora cercando di mettere insieme i pezzi, ma penso che Cohan avesse visto le foto di Hayley con Rico e abbia dato di matto. Quella era la sua idea – stava cercando di farlo ingelosire in modo che lui la rivolesse indietro. Lui l’ha chiamata e le ha chiesto di vedersi a mezza strada. Scommetto che l’idea deve esserle sembrata romantica.” Non riusciva a tenere l’amarezza lontana dalla voce. “Le sue amiche odiavano Chad. Non voleva dire loro dove stesse andando, quindi ha preso un passaggio da Willie. Willie sperava che tra loro potesse esserci qualcosa – non so, magari lei gli ha fatto capire che ci sarebbe stata, magari aveva lasciato che lui si convincesse da solo. Ma quando sono arrivati alla fermata dei camion lei è scesa per andare al motel.”
“Quindi Chad Cohan è andato lì con l’intento di ucciderla?”
“No, non credo. Non consapevolmente, almeno. Credo che lui avesse intenzione di parlare, di riconquistarla. Ma qualcosa è andato storto e lui ha perso la testa. Magari si era preparato tutto, fin da Stanford. O forse semplicemente non gli aveva dato la risposta che voleva sentire.” Si figurò Chad Cohan, il suo bellissimo viso sfigurato da una rabbia penosa, il suo pugno che si schiantava sulla mascella di Hayley e che la mandava distesa sul tappeto sudicio. E in quel momento, colpirla era stata una bella sensazione. L’aveva colpita ancora con i pugni, schiantandosi sulla sua testa abbastanza forte da fratturarle il cranio? O aveva afferrato qualcosa per colpirla, come una lampada o un posacenere? Qualcosa di pesante e irreversibile? Immaginò che l’autopsia l’avrebbe chiarito.
“Deve aver capito che doveva andare a quella lezione delle undici. Non aveva tempo di fare qualcosa di creativo con il corpo; quindi lo ha trascinato il più lontano possibile tra i cespugli e ha dovuto sperare che nessuno lo trovasse per un po’. Non era un brutto piano. Questo è un posto in cui la gente passa e basta, non ci viene a ficcanasare. Forse aveva pianificato di ritornarci più in là, quando l’investigazione si fosse fatta meno accalorata.”
Mac stette in silenzio per un paio di secondi. Quando parlò, la sua voce era bassa ed esitante.
“Vuoi che venga lì in macchina? Io e Wallace possiamo smezzarci un’auto e uno di noi può accompagnarti a casa con l’auto di Logan, così non stai da sola.”
Un moto di gratitudine sgorgò in lei. Scorse di nuovo una fugace occhiata del suo viso nel vetro. Questa volta sorrideva, un pochino.
“No. Grazie, però. Sto bene. Probabilmente mi avvierò verso casa domani mattina presto. Dobbiamo parlare con i Dewalt, ovviamente, e sentire gli Scott.” Fece una pausa. “Non sono sicura di cosa implichi tutto ciò per Aurora. Sembra decisamente ovvio che la richiesta di riscatto sia una bufala, ma sembra anche ovvio che Cohan non possa aver ucciso entrambe le ragazze. Quindi siamo punto e da capo.”
“Hai già chiamato tua madre?”
Trasalì. “No, pensi che dovrei?”
Sentì un fruscio dall’altro capo del telefono, come se Mac stesse cambiando posizione a disagio. “Non lo so. Come suo investigatore privato? Sì, probabilmente sì. Come sua figlia… beh, questa è una tua decisione.”
Ora Veronica fissava il telefono, immobile e silenzioso sulla cerata a quadretti. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare gli Scott per informarli che dovevano fermare le trattative per il riscatto. Sperava che quel fottuto Lee Jackson la richiamasse, così non avrebbe dovuto farlo lei.
Fuori, oltre la finestra, le macchine rallentavano mentre passavano, e una coda di automobili si estendeva lungo la strada. Un furgone delle news aveva accostato. Non ci sarebbe voluto molto prima che ne fossero arrivati altri, e probabilmente avrebbero provato la tavola calda mentre i poliziotti non gli avrebbero passato alcuna informazione.
“Guardate!”
Dal bancone si levò un urlo. Ora tutti gli avventori del ristorante erano rivolti verso la televisione, che stava imbullonata proprio sopra ad una foto incorniciata di Buddy Holly con la sua chitarra. Sullo schermo si vedeva una ripresa aerea dell’autostrada. Un Range Rover rombava al centro della strada; un entourage di volanti della polizia, con le sirene accese, lo seguiva. Una frase sulla parte bassa dello schermo diceva EDIZIONE STRAORDINARIA.
Rosa prese il telecomando e alzò il volume. Le sirene della polizia al motel, sembravano stranamente doppiate da quelle in TV.
“… ora ci colleghiamo in diretta con un inseguimento ad alta velocità a sud dell’autostrada 101 appena fuori San Jose. Ci riferiscono che il conducente è uno studente di Stanford, ricercato per la connessione ad un omicidio, anche se la polizia al momento si rifiuta di commentare.”
Veronica sbatté la tazza sul tavolo con un tonfo sordo. Sperava che qualcuno si fosse messo in contatto con i Dewalt, perché se non lo avessero fatto, ormai il sacco era stato vuotato. Era questo che accadeva nel mondo di Trish Turley: tutti attendevano una nuova Jodi Arias, un nuovo O.J. Non vedevano l’ora che qualcuno gli dicesse che i loro più tremendi sospetti sull’umanità erano fondati.
Si alzò rigidamente in piedi, raccogliendo la borsa e il telefono. Rosa alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono, dandole un’occhiata pensierosa e indagatrice prima di girarsi per riempire di caffè la tazza di un cliente.
Fuori, nel parcheggio, Veronica si appoggiò alla BMW e tirò fuori il telefono. L’aria fredda le fece venire la pelle d’oca. Da lì riusciva a sentire il gracchiare delle radio dall’altro lato della strada, dove era stata sigillata la scena del crimine.
Il telefono di Lianne squillò una volta sola prima che lei rispondesse.
“Veronica, cosa sta succedendo? Un reporter si è appena presentato nel palazzo dicendo che avevano trovato una… ragazza. Cosa…”
“Era Hayley.” La sua voce era bassa e pesante.
Sua madre fece un singhiozzo strozzato. “Dio. Oh, Dio.” Poi, con voce alta e spezzata: “Questo cosa significa per Aurora?”
“Non lo so ancora. Ma, mamma, non credo che i rapitori abbiano ucciso Hayley. Non posso parlare dei dettagli ora, ma sono piuttosto convinta che la sua morte sia stata un incidente isolato.” Prese un respiro profondo. Il suo cuore le batteva forte quasi come in quella macchia di vegetazione dietro il motel poche ore prima. “So che è spaventoso e… terribile. Ma cerca di non andare nel panico. Ti farò sapere qualcosa domani quando tornerò in città, ok?”
Il respiro di sua madre era pesante, e Veronica capì che stava piangendo.
“L’hai… trovata? Hayley? Sei stata tu a trovare il corpo?”
Chiuse gli occhi. “Sì.”
Lianne stette in silenzio per un momento. Quando parlò, la sua voce suonò più ferma. “Guida piano, Veronica. Ci vediamo domani mattina.”
Dopo aver attaccato, Veronica stette lì ancora per un momento, aspettando che il cuore tornasse a batterle in modo normale. Dall’altro lato della strada, delle nere figure si muovevano attorno al motel, stagliando ombre profonde oltre i fari.
Non aveva potuto aiutare Hayley. Non aveva mai potuto aiutare Hayley, Hayley era morta prima ancora che la gente sapesse che era sparita. Ora, però… ora doveva concentrarsi. Perché Aurora Scott era ancora lì fuori, da qualche parte. E Veronica doveva trovarla, ne aveva bisogno più che mai.

 

CAPITOLO TRENTUNO

Veronica si fece qualche ora di sonno superficiale, in un benedettamente sterile Best Western a Bakersfield, a cinque miglia dall’autostrada federale. Non aveva sognato, ma si era svegliata diverse volte ed era rimasta sdraiata al buio, immaginandosi i capelli di Hayley che si rovesciavano al suolo come onde scure che rotolavano dal corpo. Quando l’orologio segnò le sette, finalmente si trascinò fuori dal letto, fece una doccia bollente e guidò fino al distretto dell’ufficiale Meeks per rispondere a un paio di ultime domande. Lui le disse che la polizia di San Jose aveva finalmente arrestato Chad Cohan alle prime ore del mattino. Era quasi riuscito a raggiungere Morgan Hill prima che un blocco eretto in tutta fretta lo aveva costretto fuori strada. Dunque era rimasto seduto nella sua auto per tre ore, con una Glock puntata alla tempia, fino a che un negoziatore dalla voce dolce lo aveva convinto a scendere. Per le 9:00 aveva assunto Leslie Abramson per difenderlo. Veronica aveva la nauseante sensazione che sarebbe uscito su cauzione in un batter d’occhio.
Era quasi l’una del pomeriggio quando Veronica lasciò la stazione. Prima di immettersi sulla statale chiamò Margie Dewalt, pronta a porgerle le sue condoglianze. Fu un sollievo trovare la segreteria telefonica. Immaginò che fossero in viaggio verso Bakersfield per identificare il corpo, o forse erano al telefono con i parenti del Montana.
Avrebbe mandato qualcosa. Dei fiori, una lettera. Doveva continuare ad investigare. Per ora, decise di lasciarli al loro dolore. Quando arrivò al condominio, Lianne camminava per casa come un gatto arrabbiato, con le spalle indietro ed eleganti. Hunter sedeva al bancone della cucina, agitando un paio di maracas di legno a ritmo della samba che proveniva da una piccola Casio. Tanner occupava una delle poltrone di pelle bianche e profonde, e Lee Jackson dava le spalle alla stanza, osservando il panorama cittadino oltre la finestra. Con lieve disappunto si rese conto che il giorno prima non l’aveva chiamata. La guardò e le fece un cenno quando entrò, freddo e professionale come sempre.
Sul tavolino da caffè stava un borsone di nylon blu, aperto.
Mazzette di banconote da venti dollari stavano ordinatamente allineate all’interno.
“Novità?” chiese Veronica ancor prima di salutare.
Lianne scosse la testa. “Niente. Non abbiamo sentito nessuno.”
Veronica tirò un sospiro improvviso.
“Ok.” Si scrollò di dosso la giacca di pelle e la ripiegò su un braccio. “Voi come state?”
Tanner guardò in su distogliendo lo sguardo dal punto vuoto che stava fissando. I suoi occhi apparivano lividi ed esausti; sembrava che la notte prima non fosse andato a dormire. “Oh, Veronica, siamo solo confusi. Confusi e preoccupati e stanchi. Nulla di tutto ciò ha senso.” Fece un gesto verso il borsone blu sul tavolino. “Avevamo appena preparato il riscatto quando abbiamo sentito la notizia.”
Sentiva come se avesse dovuto dargli una pacca sulla spalla o offrirgli un abbraccio, invece stette lì in piedi in imbarazzo. “Guarda, non so se hai già sentito la notizia, ma il fidanzato di Hayley è stato accusato dell’omicidio. Quindi pare che la scomparsa di Aurora sia completamente slegata da quella di Hayley.”
“Quella povera ragazza.” Lianne si coprì il viso con le mani.

“I suoi poveri genitori.”
Un silenzio teso calò sulla stanza, sottolineato dal suono delle maracas di Hunter.
“Ti dispiace se mi faccio una tazza di caffè?” chiese finalmente Veronica. Lianne annuì, tamponandosi gli occhi. Veronica andò in cucina, fermandosi sul percorso per chinarsi sulla Casio di Hunter e premere qualche tasto, suonando una versione veloce e modificata di “Chopsticks”. Fece l’occhiolino al bambino e lui suonò una maraca nella sua direzione. Era di un rosso acceso, con stelle verdi.
“Quindi pensi che sia stato qualche sorta di crimine di un imitatore?” chiese Lianne, le braccia sul bancone della cucina. Veronica versò il caffè in una immacolata tazza bianca, poi alzò la caraffa per chiedere a Lianne se ne volesse. Sua madre scosse la testa per dire no e la rimise a posto nella macchina per il caffè.
“Forse. È possibile che chiunque abbia preso Aurora abbia sentito della scomparsa di Hayley da quella festa e abbia deciso di cogliere l’opportunità.” Fece cadere una zolletta di zucchero nella tazza con un piccolo plop e mescolò. “Per quanto riguarda le note, la prova che Hayley fosse viva nel messaggio di riscatto era in realtà una storia che si trovava sul suo Facebook da cinque anni. Immagino che le note siano state mandate da qualcuno che non aveva niente a che fare con nessuno dei crimini, cercava solo di avere i soldi”.
Tanner parlò. “O forse qualcuno ha davvero rapito Aurora, e stavano cercando di avere un assegno extra dai Dewalt.” Si alzò dalla sedia e andò verso il bancone della cucina, tra Lianne e Hunter. Offrì una tazza vuota e Veronica la riempì con il caffè, sentendosi un po’ come una cameriera del Lucy’s All Nite.
“Mr Jackson?” chiese, alzando la caraffa. Lui si voltò e scosse la testa.
“No, grazie.” Si lisciò il bavero, girando vicino ai divani, lontano dal bancone.
“Allora, qual è la nostra prossima mossa?” chiese Lianne. “Cosa facciamo ora?”
“Beh, inizierò a rivedere tutte le prove,” rispose Veronica. “Le foto della festa, tutto quello che è venuto fuori. Ora che sappiamo che questo non ha niente a che fare con Hayley, potrebbe spuntare fuori qualcosa.”
Tanner posò la sua tazza sul bancone e si voltò verso Lianne. “Dobbiamo portare i soldi sul posto. Il riscatto deve avvenire entro domani.”
Lianne si voltò per guardarlo, il labbro si arricciò per il disprezzo. “Tanner, è da pazzi. Non c’è niente, niente in quei messaggi che ci faccia credere che chiunque li abbia inviati abbia Aurora.”
“C’era la storia della mia ricaduta…”
“Che avrebbe potuto raccontare a chiunque. Adrian. Il suo terapista. I suoi insegnanti. Cavolo, potrei averla raccontata io agli AA, davanti a un intero gruppo di alcolizzati e drogati.” Scosse la testa e si voltò indietro verso Veronica. “Avremmo dovuto ascoltarti, Veronica. Avevi ragione – avremmo dovuto provare a cercarla e non dare via i soldi e sperare per il meglio.”
“E se l’ha davvero qualcuno?” argomentò Tanner. “E se non è una finta? E se i soldi non sono lì-”
“Tanner, porca miseria. Il messaggio di riscatto era un raggiro.”
Le maracas di Hunter risuonavano alte in un ritmo sincopato.
“Ma dannazione!” Tanner si voltò e tolse le maracas dalle mani di Hunter. Il suo petto si sollevò e per un singolo surreale momento Veronica pensò che li avrebbe usati per colpire il bambino. Ma non lo fece. Le tenne semplicemente strette nei pugni. “Hunter, vai a giocare nella tua stanza. Prendi la tastiera. Non riesco nemmeno a sentirmi mentre penso qui dentro.”
Per un momento nessuno si mosse. Hunter guardò sua madre, i suoi occhi grandi e confusi. Lianne lanciò un’occhiata arrabbiata e di rimprovero a Tanner, ma poi sorrise a suo figlio.
“Va tutto bene, tesoro. Vai pure. Forse dopo chiameremo Adrian per chiedergli se gli piacerebbe portarti al cinema. Ora mamma e papà sono solo turbati.”
Hunter lanciò un’ultima occhiata triste a Tanner prima di saltare già dall’alto sgabello, la Casio tra le mani, e scomparire giù nel corridoio.
“Bravo,” esclamò Lianne. “Bel modo di parlare a tuo figlio.”
Tanner rimase lì per un momento, il viso rigido. Poi all’improvviso sembrò sgonfiarsi.
“Voglio solo indietro la mia bambina.” La sua bocca si contorceva mentre combatteva per non piangere. “Lianne, rivoglio solo Aurora. Farò qualunque cosa. Scaricherò quei cazzo di soldi giù per il cesso se è ciò che serve. Lo so che il riscatto è probabilmente una fregatura. Ma se non fosse così? E se fosse la nostra occasione per riportarla da noi?”
Jackson si schiarì la gola. Si mosse lentamente, quasi senza fretta dalla sua posizione alla finestra verso il bancone della cucina. Oggi indossava un completo colore blu navy con righe precise e sottili, la cravatta era di una sorta di verde lime sgargiante.
“Lasciate che vi interrompa. La signora Scott ha ragione – non è una buona idea dare i soldi senza nessuna prova sostanziale che sia viva. Se la lettera di riscatto di Aurora è vera – se qualcuno l’ha in ostaggio – avranno visto la notizia di Hayley e sapranno che dovranno cercare di convincerci che hanno davvero Aurora. Vorranno assicurarsi che noi sappiamo che almeno una delle loro affermazioni è vera. Quindi penso che possiamo aspettare senza correre rischi.” Diede una pacca sulla spalla a Tanner. “Metterò il borsone nella cassaforte del Neptune Grand – la terremo pronta nel caso ci serva.”
Lianne spostò lo sguardo da Jackson a Veronica. “Cosa ne pensi, Veronica?”
“Sembra un piano sicuro,” disse. Sospettava che Jackson stesse accontentando Tanner. Non sembrava probabile che avrebbero avuto altre notizie dai presunti rapitori. Era troppo rischioso rimettersi in contatto ora.
Tanner scosse la testa. “Non voglio che stiano lontano dalla mia portata. E se li volessero subito? E se quei minuti che passo a dare la caccia al tuo culo domani fossero minuti importanti?”
“Tanner!” sibilò Lianne, gettando un’occhiata a Jackson. Ma lo specialista sorrise soltanto.
“È tutto a posto, signora Scott. La tensione è alta in situazioni del genere,” Si rivolse a Tanner. “Sono a disposizione giorno e notte fino a quando non arriveremo a una qualche risoluzione, signor Scott. Se avete bisogno di quei soldi, ve li farò avere all’istante, ma non penso sia saggio lasciarli qui sul tavolino da caffè.”
“Ha ragione, Tanner.” Lianne sembrava sollevata. Posò la mano sul braccio di Tanner, all’improvviso di nuovo gentile con lui. “Ti prego, tesoro. Lascia che li prenda.”
Tanner fissò Jackson per un momento. Veronica notò che le maracas erano ancora strette nei suoi pugni, dimenticate. Dopo qualche secondo, annuì riluttante.
“D’accordo,” disse. “Va bene, li prenda.”
Jackson fece un cenno cortese. Andò al tavolo e chiuse il borsone, poi prese dalla tracolla con una mano. “La terrò al sicuro. Chiamatemi se ci sono dei cambiamenti.”
Nessuno lo accompagnò alla porta.
Veronica sorseggiò il suo caffè e controllò l’orologio. Doveva tornare presto a casa. Suo padre probabilmente era alla porta ad aspettarla. Lianne e Tanner sembravano entrambi esausti. Si chiese vagamente quanto desiderassero un drink. Si chiese se almeno uno dei due avesse ripreso da quando era scomparsa Aurora.
Stava risciacquando la tazza quando suonò il campanello.
Lianne si corrucciò, guardando l’entrata. “Forse Jackson ha dimenticato qualcosa”. Lasciò per andare alla porta. Veronica tornò nel salotto e prese la borsa. Tanner si era riseduto nella stessa sedia di pelle bianca.
“Vado a casa per cambiarmi i vestiti e poi sarò in ufficio per il resto della notte. Chiamatemi subito se sentite qualcosa. Io inizierò a cercare tra le e-mail e i tabulati telefonici di Aurora. Giusto nel caso ci fosse sfuggito qualcosa.” Esitò, poi mise una mano sulla spalla di Tanner. “La troveremo, Tanner. In un modo o nell’altro.”
Lui raggiunse la sua mano e le strinse le dita, buttando indietro le lacrime.
Lianne tornò nel salotto, seguita da Adrian. Indossava una giacca sportiva dell’Hearst College su una T-shirt attillata che gli abbracciava i muscoli. Appariva pallido sotto quei suoi capelli gelatinati. Lianne sembrava nervosa, i suoi occhi guizzavano in ogni direzione senza mai incontrare quelli degli altri.
“Adrian dice di avere una cosa importante da dirci,” affermò, appoggiandosi stancamente alla mensola del camino. Tanner alzò lo sguardo.
“Cosa c’è?”
Adrian spostò il proprio peso. Le sue dita giocavano distrattamente con la cerniera della giacca da corsa. Aprì la bocca per parlare ma sembrò strozzarsi. Ingoiò e provo di nuovo.
“Il fatto è,” disse. “Il fatto è…”
“Cosa c’è, Adrian?”, Lianne mosse a malapena le labbra per porre la domanda.
Allora lui alzò lo sguardo, non verso Tanner o Lianne ma dritto verso Veronica.
“Il fatto è che… so dove è andata Rory.”

Previous article Gotham | Nuovo Promo
Next article Le improbabili intro CW | Hannibal
Avatar photo
Nella sua testa vive nella Londra degli anni cinquanta guadagnandosi da vivere scrivendo romanzi noir, nella realtà è un’addetta alle vendite disperata che si chiede cosa debba farne della sua laurea in comunicazione mentre aspetta pazientemente che il decimo Dottore la venga a salvare dalla monotonia bergamasca sulla sua scintillante Tardis blu. Ama più di ogni altra cosa al mondo l’accento british e scrivere, al punto da usare qualunque cosa per farlo. Il suo primo amore telefilmico è stato Beverly Hills 90210 (insieme a Dylan McKay) e da allora non si è più fermata, arrivando a guardare più serie tv di quelle a cui è possibile stare dietro in una settimana fatta di soli sette giorni (il che ha aiutato la sua insonnia a passare da cronica a senza speranza di salvezza). Le sue maggiori ossessioni negli anni sono state Roswell, Supernatural, Doctor Who, Smallville e i Warblers di Glee.

1 COMMENT

  1. In pochissimi giorni ho letto il primo libro di Veronica Mars tradotto qui da voi, c’è la possibilità di leggere il secondo libro al più presto?

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here