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The Last Tycoon | Recensione Episodi 7-8-9

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The Last Tycoon | Recensione Episodi 7-8-9

Eccoci all’ultimo appuntamento con le recensioni dell’adattamento del romanzo incompiuto di Francis Scott Fitzgerald, “The Last Tycoon”, che vede nel cast Matt Bomer e Lily Collins ed è prodotto da Amazon.

Non ho preso bene il finale di “The Last Tycoon”, non l’ho preso bene per niente. Okay, me lo sarei potuta aspettare anzi, dovevo aspettarmelo perché comunque stiamo pur sempre parlando di uno show tratto da un’opera di Fitzgerald e Fitzgerald ha degli schemi abbastanza ricorrenti nei suoi scritti, ma sapete com’è, lo intuite fin dal principio come andrà a finire – o magari lo sapete anche per certo – ma fino all’ultimo vi aggrappate alla speranza di un plot twist improvviso e imprevedibile che ribalta la situazione. In realtà non sono una grande fan degli happy ending e in alcuni contesti – come ad esempio questo – un lieto fine a dirla tutta avrebbe stonato con quanto raccontato fino a quel momento, ma mi sono affezionata così tanto al personaggio di Monroe nel corso di soli nove episodi, che ho fatto veramente fatica ad accettare questa caduta dell’eroe.

Gli ultimi tre episodi hanno avuto un ritmo narrativo molto più serrato rispetto ai precedenti, un’accelerazione che è servita a prepararci al climax finale, quello in cui il povero Monroe – dopo aver fatto solo del bene, dopo aver dato asilo a degli ebrei senza chiedere nulla in cambio, dopo aver rinunciato al proprio salario a beneficio dei suoi collaboratori, dopo aver donato un solido futuro a Kathleen e dopo aver portato la compagnia di produzione di Brady a presenziare agli Oscar e a vincerne uno – si ritrova a dover fronteggiare solo pugnalate alle spalle e tradimenti. L’unica persona, l’unica, che continua a rimanere al suo fianco e a spalleggiarlo è Celia, Celia che è consapevole di dovergli molto, Celia che anche se si è fatta passare la cotta adolescenziale che aveva per lui non ha mai smesso di considerarlo un punto di riferimento e qualcuno da cui poter solo imparare e da dover solo ammirare. 

L’ultimo episodio è stato straziante, con Hollywood che finalmente si strappa ogni singola maschera e si rivela per il mondo senza scrupoli che è, e con Monroe che è stanco, stanco dell’apparenza, delle bugie, della falsità, stanco di lavorare per costruire un sogno che di fatato non ha proprio nulla. E si sarebbe quasi portati a pensare che lui possa compiere un gesto estremo quale togliersi la vita, sopraffatto dal dolore dei ripetuti tradimenti, e invece no. Stroncato da un infarto. E non solo, stroncato da un infarto proprio nel momento in cui Celia riesce a fargli capire che in realtà, qualcosa di puro, in quel mondo c’è ancora… se solo si è disposti a osservare attentamente. E quel suo ultimo “CELIA!”, quella sua ultima richiesta d’aiuto rimasta inascoltata, racchiude la supplica di non voler finire così, non lì, non in quel momento, non nell’istante in cui stava per afferrare quella purezza nella persona di Celia per l’appunto. Ed è forse un finale perfino più tragico di un suicidio, come se la vita avesse deciso di farsi beffe di lui per un’ultima volta, proprio davanti a quella specie di altare consacrato a Minna che ha nel suo ufficio.

Potrei parlare per ore di questi ultimi tre episodi, ma scelgo invece di soffermarmi un attimo sul personaggio di Rose, su questa donna oggetto che – grazie a Monroe, grazie a Kitty e perché no? Grazie anche all’intraprendenza ostinata della figlia – finalmente capisce di aver molto di più da offrire che non semplicemente la propria presenza fisica sui tappeti rossi delle varie première. Capisce di poter aiutare il prossimo, capisce di potersi mettere in gioco, di essere a tutti gli effetti una persona degna di essere conosciuta per ciò che è e non semplicemente per essere la moglie oggetto di Pat Brady. La scena in cui lo caccia di casa con una fermezza e una lucidità encomiabili riassume in pochi fotogrammi l’essenza più vera di questa donna, che dopo aver subito per così tanti anni finalmente decide di essere libera.

E quindi forse in fondo Celia ha preso un po’ da lei, anzi, molto da lei. Risoluta nei suoi scopi ma incapace di scendere ai biechi complotti del padre, anche lei riesce a emanciparsi da lui e a trovare finalmente la propria strada. Ci riesce grazie a Monroe e al suo altruismo, ma ci riesce anche propinando al padre la sua stessa medicina: è business, la famiglia non c’entra nulla.

Oltre a ciò abbiamo assistito anche alla formazione dei primi sindacati di settore e ai primi scioperi, nonché a una miriade di storyline secondarie che non hanno fatto altro che aggiungere spessore umano e storico alla vicenda. In generale è una serie che mi sento di consigliare a chiunque, perché come ogni storia di Fitzgerald ci mostra un preciso spaccato di società e ce lo mostra nella maniera più glamour e allo stesso tempo più cruda possibile. Fitzgerald è un maestro nel raccontare la miseria umana che si cela dietro al fasto e alle luci della ribalta, e ti colpisce dritto allo stomaco proprio per questo. E gli autori di “The Last Tycoon” sono riusciti a trasporre in maniera perfetta il suo spirito, con scelte azzeccatissime in fase di casting e con un copione che fa invidia alle migliori serie in circolazione.

ChelseaH


Oltre alle considerazioni svolte nelle due precedenti recensioni, voglio iniziare sottolineando alcuni particolari dello show: abbiamo già parlato della sigla nella prima delle nostre tre analisi dello show, ma non abbiamo detto quanto vedere quella macchina da scrivere, in essa, abbia costituito un collegamento proprio a F.S. Fitzgerald. Certo, a quell’epoca non esistevano altri mezzi meccanici quindi gli sceneggiatori scrivevano a macchina, ma questo show nasce dal romanzo di Francis Scott Fitgerald, dalla sua macchina da scrivere, e quel romanzo, proprio come i film di cui la trama si occupa, è una storia inventata da un autore. I film creati dalla casa cinematografica sono storie nella storia. Ed ecco che il cerchio si chiude, e quella macchina da scrivere nella sigla simboleggia tutto ciò, risalendo e riportandoci proprio a Francis Scott Fitgerald e alla sua epoca.
In secondo luogo, possiamo dire che la trama ha preso la classica svolta tipica del celebre autore americano: il sogno costruito si infrange, il protagonista, amato, desiderato da tutti raggiunge l’apice e improvvisamente precipita, si ritrova solo, prigioniero di quanto lui stesso ha creato, vittima di tutto ciò, del suo stesso amore, e infine cade.
Nello show sono state apportate modifiche alla storia, il legame tra Pat Brady e Monroe Stahr è stato approfondito e reso più “emotivo”, coinvolgente, andando così ad accentuare la drammaticità del tradimento di Pat, Monroe è stato reso più umano, in un certo senso, così come è stata modificata la storia di Katlheen, il finale è diverso da quello che si evince dai riassunti e dagli appunti dello scrittore, ma lo spirito della storia è rimasto quello puro dello stile di Fitzgerald.
Inoltre, davvero apprezzabile la ricostruzione della notte degli Oscar di quel periodo, meno mastodontica, ma più elegante, con gli ospiti seduti a cena e un tavolo sul quale erano appoggiati i premi, proprio come si vede dai filmati delle reali premiazioni dell’epoca.

Voglio concentrarmi in particolare su tre personaggi: Pat Brady, Celia Brady e Monroe Stahr.
Pat Brady, per quanto corrispondente alla frase di Margo che ho riportato nella scorsa recensione, ovvero apparentemente burbero ma dal cuore tenero, ha mostrato sempre più anche il suo difetto principale, che ha portato tutto alla rovina: l’invidia, la gelosia nei confronti di Monroe.
A Brady non bastava essere colui che aveva apposto il proprio nome sugli studios, non gli bastava avere come socio l’uomo più desiderato da tutta Hollywood, non solo dalle donne, ma soprattutto dalle altre case cinematografiche, non gli bastava la totale lealtà di Monroe a lui (poiché consapevole di aver ottenuto successo proprio grazie a Brady) e a ciò che insieme avevano creato, non è risultata sufficiente nemmeno la capacità di Monroe di prendere un prodotto con del potenziale ma realizzato in modo scadente e farlo divenire materiale da Oscar, realizzando così proprio il sogno di Brady e apportando benefici economici all’impresa, né l’amore della sua famiglia e dello stesso Monroe. Pat Brady era uno degli uomini più ricchi di quell’ambiente, non tanto in senso economico quanto per la famiglia che aveva attorno (anche in senso allargato), ma la sua gelosia nei confronti di quell’uomo che diceva di amare come un figlio e che di certo lo ricambiava con lo stesso sentimento lo ha portato a distruggere tutto (si può essere certi, infatti, che senza Monroe gli studi sono destinati a chiudere, o al massimo a vivacchiare senza mai più raggiungere quel livello). Brady ha tradito non solo la propria moglie, che alla fine non ha più potuto tollerare di essere trattata come un qualcosa di scontato, ha tradito il suo socio, che invece aveva nei suoi confronti una lealtà incrollabile, e così facendo ha tradito la propria figlia, portandole via proprio quello che cercava di assicurarle, e tutti coloro che lavoravano per loro.
Brady sembra quasi una sorta di “Otello” fitzgeraldiano, laddove Iago non è un personaggio esterno e ulteriore, ma è una parte di lui.

Al contrario di suo padre, però, Celia Brady ha dimostrato di essere fatta di tutt’altra pasta. Molto giovane, dolce sia all’interno che all’esterno, ma contemporaneamente forte, decisa, leale e intelligente. E tutte queste sue caratteristiche sono state mostrate senza celare nulla, in superficie.
La sua evoluzione è stata forse la più bella dell’intero show, durante la quale Celia è partita da ragazza sognatrice ed è diventata una giovane donna in grado di tenere testa a un regista tanto geniale quanto complicato e difficile, di portarlo a esprimere le sue emozioni e paure più nascoste, ottenendo il suo rispetto. Ed è arrivata anche a essere desiderata dalla Metro Goldwin Meyer per la qualità del suo lavoro, capace di rimettere al proprio posto anche il padre, facendogli notare con delicatezza ma ferma e irremovibile che la spiacevole situazione è stata creata proprio da lui, negandogli dunque la pretesa di comportarsi come una vittima.
Una bellissima evoluzione, rappresentata con eleganza da Lily Collins.


Infine, Monroe Stahr. Il venditore di sogni che ne voleva uno tutto per sé, l’uomo leale e dotato di principi che è stato tradito proprio dalle persone che amava di più e che non ha capito che la donna giusta per lui era proprio quella giovane che gli sembrava ancora una bambina.
Monroe è il personaggio più tragico dell’intera storia, proprio perché, nonostante il suo indiscutibile ruolo di uomo d’affari e di venditore di sogni, è stato altresì un uomo dotato di saldi principi, leale, che ha cercato di conciliare con il suo ruolo professionale ed è stato tradito in modo orribile da chi amava. Monroe ha sacrificato la sua stessa carriera, il riconoscimento personale (che di certo bramava) per la casa cinematografica, per Pat Brady, e da quest’ultimo, che Monroe riteneva la sua famiglia (come ha mostrato l’episodio ambientato a Natale), è stato tradito nel più terribile dei modi, proprio dopo aver scoperto l’inganno di Kathleen, la donna che amava e che voleva sposare.
E così l’illusione di Hollywood è stata prima imposta anche a lui, poi è crollata e gli si è ritorta contro, portandolo a una fine prematura (anche piuttosto ingiusta).


La “caduta di un eroe”, in certo senso, avvenuta nel tipico stile di Francis Scott Fitzgerald, ovvero senza alcuna possibilità di rialzarsi.
Questo finale rimanda tantissimo a quello de “Il Grande Gatsby”, al sogno del protagonista che si infrange proprio quando è lì a portata di mano, quasi afferrato, con lui che si ritrova a pagare per colpe di qualcun altro. Jay Gatsby viene ucciso per un qualcosa di cui non è colpevole, Monroe Stahr (nello show) soccombe alla propria malattia, aggravata dallo stress provocatogli dal dolore del doppio tradimento. E l’unica persona che potrebbe aiutarlo, salvarlo, è andata via perché lui ha capito troppo tardi che proprio lei era quella giusta, l’unica che avrebbe dovuto considerare, desiderare sin dal primo istante, come dimostra pienamente il suo sguardo nel momento dinanzi al quadro di Minna, che vede l’Oscar finalmente vinto accanto al vaso (e chiude il cerchio della storia). E quell’invocazione, “Celia!”, cade nel silenzio e nella solitudine, proprio come lui.


Un finale oltremodo triste e che trasmette un senso di ingiustizia, ma che è pienamente nello stile di Fitzgerald.
Uno stile che lo show ha trasmesso dall’inizio alla fine, regalandoci un piccolo gioiello televisivo, sia per interpretazione che ricostruzione del periodo. E di questo sono decisamente grata ad Amazon, che sembra aver sviluppato una predilezione per Francis Scott Fitzgerald. Speriamo ci regali qualcos’altro dello scrittore!

Sam

Siamo arrivati alla fine, grazie per aver seguito con noi “The Last Tycoon” e per aver letto le nostre recensioni.

Prima di chiudere, vi ricordiamo di passare in queste meravigliose pagine per news, aggiornamenti e spoiler settimanali sugli episodi, news sui nostri personaggi preferiti e tanto altro, che ringraziamo moltissimo per aver condiviso le nostre recensioni!

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Sam
Simona, che da bambina voleva diventare una principessa, una ballerina, una cantante, una scrittrice e un Cavaliere Jedi e della quale il padre diceva sempre: “E dove volete che sia? In mezzo ai libri, ovviamente. O al massimo ai cd.” Questo amore incondizionato per la lettura e la musica l'ha portata all'amore per le più diverse culture (forse aiutato dalle origini miste), le lingue (in particolare francese e inglese) e a quello per i viaggi. Vorrebbe tornare a vivere definitivamente a Parigi (per poter anche raggiungere Londra in poco più di due ore di treno). Ora è una giovane legale con, tralasciando la politica, una passione sfrenata per tutto ciò che all'ambito legale non appartiene, in particolare cucina, libri e, ovviamente, telefilm. Quando, di recente, si è chiesta in che momento, di preciso, sia divenuta addicted, si è resa conto, cominciando a elencare i telefilm seguiti durante l'infanzia (i preferiti: Fame e La Famiglia Addams... sì, nel fantasy ci sguazza più che felicemente), di esserci quasi nata. I gusti telefilmici sono i più vari, dal “classico”, allo spionaggio, all'ambito legale, al “glamour”, al comedy, al fantastico in senso lato, al fantascientifico, al “giallo” e via dicendo. Uno dei tanti sogni? Una libreria. Un problema: riuscirebbe a vendere i libri o vorrebbe tenerli per sé?

5 COMMENTS

  1. Complimenti ragazze! Ho recuperato tutte le recensioni e avete descritto davvero molto bene questo show 🙂
    Ho adorato l’atmosfera, i costumi, la recitazione e tutti i personaggi, tutti, dal primo all’ultimo.
    Il finale è stato dolce-amaro, ma credo non mi sarei potuta aspettare nulla di diverso. L’eroe è caduto, dopo aver passato tanti anni in un certo senso a costruire il suo personaggio, ad abbellire la facciata di Monroe Stahr, alla fine si è accorto troppo tardi che avrebbe potuto essere amato anche semplicemente come Milton Sternberg, non solo da Celia ma da tutti coloro che avevano piena fiducia in lui, Aubrey in primis.
    Alla fine in un certo senso il lieto fine è negato a tutti, chi più chi meno: per Monore è ovvio; Celia e Max hanno ottenuto quello che volevano ma hanno dovuto in parte rinunciare alla loro purezza per imparare a convivere con un mondo molto duro; anche l’ultima scena della sorella di Max mi ha fatto molta pena, perchè segna forse un percorso futuro sulla falsa riga degli abusi che sia Margo che in un certo senso Kathleen hanno subito per avere successo.
    Patinato eppure spietatamente vero. Io lo promuovo a pieni voti!

    • Grazie mille!
      Show di indubbio valore, realizzato magnificamente e che ha riportato in pieno lo stile di Fitzgerald e le sue atmosfere.

      Concordo con te sul lieto fine negato a tutti, anche Max! E ho avuto lo stesso presentimento sulla sorella.

      Promossissimo. 🙂

    • No, è stata concepita proprio come miniserie, anche perché è tratta da un romanzo di neanche 200 pagine che è pure rimasto incompiuto… io sinceramente approvo questa scelta, nel senso che facendo più serie avrebbero senza ombra di dubbio potuto allungare i tempi e magari dare storyline più approfondite a tutti, ma allo stesso tempo il rischio di scadere nella noia e nella banalità sarebbe stato molto, molto alto…

      • Concordo assolutamente. Per farne almeno un paio di stagioni, prima di arrivare al finale, avrebbero dovuto rallentare la narrazione, creare magari un background iniziale di tutti, narrando quantomeno il periodo della carriera di Minna, il suo matrimonio con Monroe, in sostanza ciò che si vede in quel piccolo prologo iniziale.
        Così facendo, però, avrebbero tolto l’allure di fascino a Minna, quindi avrebbe potuto rivelarsi una scelta controproducente.

        Infine: il libro anche se incompiuto ha un finale che era scritto negli appunti di Fitzgerald, la morte di Monroe. E a questo punto si è giunti, quindi la storia è finita.

        Era una miniserie.

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