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The Crown – Recensione della terza stagione: Heavy Lies the Crown

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The Crown – Recensione della terza stagione: Heavy Lies the Crown

Finalmente domenica 17 Netflix ha rilasciato la terza stagione di The Crown e, devo dire che, più che in passato, l’ho divorata e non vedevo l’ora di poterne scrivere una recensione.

Come recita il titolo dell’articolo – “Heavy Lies the Crown” – il peso della corona è ciò che incombe fin dall’inizio sulla serie tv e i suoi personaggi ma mai come in questa stagione quel peso è stato portato da tutti i protagonisti.

Nonostante l’aver a disposizione il talento di Olivia Colman, gli sceneggiatori hanno scelto di raccontare le storie anche degli altri membri della Casa Reale, donando una maggiore coralità alla narrazione che ne esce arricchita e quasi più appassionante, con una Regina che diventa comprimaria e non più sola protagonista.

Il nuovo cast è assolutamente all’altezza.

Olivia Colman ha l’ingrato compito di rappresentare la Regina negli anni della maturità e nella difficile transizione degli anni ’60-’70, con la morte di Churchill – che non a caso apre la stagione – e le trasformazioni sociali. La Colman, non del tutto fisicamente somigliante alla sovrana britannica, finisce per rappresentarne appieno la figura: rigida, come se indossasse sempre la corona, impegnata a nascondere con tutta se stessa le micro-espressioni del viso, perché la Corona non può avere opinioni o emozioni.

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Le scene chiave per comprendere il personaggio sono fondamentalmente due: lo scontro verbale con il figlio Carlo dopo l’investitura a Principe di Galles e il dialogo finale con la sorella Margaret prima del Giubileo della Regina. Alla Corona non è concesso avere opinioni, non sono concessi sentimenti o emozioni, lei è ciò che salvaguarda, lei è ciò che protegge l’enorme falla nella società in trasformazione che potrebbe aprirsi e inghiottire tutto come ad Aberfan nel ’66.

Il rapporto difficile con Carlo e Margaret, le due anime più sensibili e lontane dalla rigidità degli schemi di corte, la pone davanti alla realtà dei fatti: per quanto vorrebbe disperatamente una vita semplice in cui ciò che fa è prendersi cura dei cavalli e dei suoi corgi, il destino le ha imposto un’altra strada. Anche se le costa fatica, Elisabetta ormai accetta di buon grado il suo fato e ha imparato ad obbedire agli obblighi imposti dal dover essere un simbolo, e non un essere umano.

Accanto a lei troviamo un Filippo che ha perso molta della vivacità dirompente che aveva saputo vestire Matt Smith, per lasciare spazio ad una maggiore irrequietezza intellettuale che Tobias Menzies riesce a trasmettere soprattutto nelle inquadrature statiche, mute. L’episodio dello sbarco sulla Luna diventa lo spartiacque fra il Filippo imprevedibile ed inquieto, che aveva a lungo fatto soffrire Elisabetta, e l’uomo vivace e curioso che si accorge di sentire la mancanza di qualcosa di più profondo nella sua vita. Il ritorno di sua madre, Alice di Grecia, lo costringe ad affrontare la dura realtà dell’abbandono dei suoi genitori.

La figura di Alice di Grecia, poco nota ai più, è indice di come l’ignoranza e la crudeltà delle corti europee, abbiano spesso rovinato più di una vita. Sorda fin dalla nascita, creduta schizofrenica, Alice è allontanata dalla sua famiglia e dai suoi figli, solo in tarda età verrà riconosciuta come non udente e consacrerà la sua vita ai poveri e al Signore. Questa tragica figura rientra nella vita di Filippo e ne mette in discussione le fondamenta. Non a caso, è la morte di Alice ad innescare la crisi intellettuale – e di fede – che inaugurerà un nuovo periodo per il Principe Consorte.

Sicuramente le migliori aggiunte al cast sono le figure dei due figli maggiori di Elisabetta. Anna e, soprattutto, Carlo, sono le nuove generazioni: cresciute negli anni ’60, influenzate dai cambiamenti sociali e cavie per le trasformazioni della Casa Reale. Anna, alla quale viene dato poco spazio, potrebbe diventare il perfetto parallelo di Margaret: non destinata al trono, contrariamente alla zia, accoglie questa mancanza di responsabilità come una cosa positiva e si distingue per una durezza di carattere e indipendenza che la rendono quasi immune alle cattiverie della corte.

Carlo – interpretato meravigliosamente da Josh O’Connor – si rende protagonista di importanti ed intense scene, diventando riflesso del cambiamento. O’Connor riesce a rappresentare benissimo la profonda sensibilità e ingenuità del giovane Carlo ma anche la sua riluttanza a diventare un semplice burattino della Corte. A partire dall’episodio della sua investitura in Galles per finire con la rottura del legame con Camilla Shand, O’Connor riesce a rendere quasi alla perfezione la lotta fra una mente pensante e sensibile e la volontà di costruire una vita che sia sua.

Helena Bonham-Carter, anch’ella poco somigliante fisicamente alla principessa Margaret, ha il compito di portare sullo schermo il tracollo del matrimonio con Anthony Armstrong-Jones (un Ben Daniels poco sfruttato). Se si pensa che la loro unione dura pochissimi anni e la proposta di Margaret arrivò dopo il matrimonio del suo ex, è facile pensare che l’unione di Lord e Lady Snowdown fosse condannata fin dall’inizio. Già nell’epilogo della scorsa stagione, avevamo visto i primi segni della crisi. Il carattere autodistruttivo di Margaret e l’intolleranza di Lord Snowdown per gli eccessi della moglie (e la sua incapacità di renderla felice), sono gli elementi che conducono al triste epilogo. La serie tv vuole farci credere che alla base di tutto ci sia una gelosia di Margaret nei confronti della sorella maggiore ma allo stesso tempo è encomiabile la capacità di rendere sullo schermo la difficoltà di un rapporto fraterno in cui l’affetto dell’una per l’altra è profondo e innegabile, così come la rivalità ed invidia.

Fanno da corollario comprimari importanti:

  • Lord Mountbatten, il cui coinvolgimento in un colpo di stato è qui esplicitato anche se nella realtà è molto più lieve (pare infatti che fosse stato lo stesso Mountbatten a frenare l’MI5), ha il volto di Charles Dance. Non so voi ma io ogni volta che lo vedo, sento nella mia mente risuonare le note di “The Rains of Castamere“: maledetto Game of Thrones!
  • La Regina Madre: ha avuto poco spazio e avrei desiderato che il rapporto con Margaret fosse più approfondito ma la quantità di personaggi era talmente tanta che non tutti hanno potuto godere dello spazio giusto.
  • il Primo Ministro Wilson: il rapporto con Elisabetta e la stima reciproca sono una delle storyline più interessanti ed indicative della figura della sovrana. Distanti per credo politico (anche se Betty non dovrebbe averne), Wilson la guida da pari attraverso i cambiamenti della società e in più di un’occasione si rivela la vox populi che manca alla Regina.
  • Camilla Shand: molto distante dalla regalità di casa Windsor, il ritratto di Camilla è interessante. Donna moderna, forte e anticonformista, si rivela in grado più di tanti altri di ascoltare Carlo e comprenderlo. La scena della cena con lo scherzo di Carlo e il dialogo a cuore aperto serve a farci comprendere come, di tutti coloro che lo circondavano, lei fosse l’unica a non giudicarlo. La Storia ci ha mostrato che quel legame nato negli anni ’70, nonostante le avversità, non si è mai spezzato..

Il grande messaggio della stagione – la serie tv non a caso si chiama The Crownè proprio il ruolo della Corona. In una monarchia costituzionale come è quella Britannica, la Regina non può avere opinioni o vivacità o sentimenti: la sensibilità di Carlo, la sua forte devozione per cause di vario genere, è un problema così come il carisma e la spontaneità di Margaret. Per un ruolo al quale è richiesta l’imparzialità e la garanzia, Elisabetta ha dovuto modellare e mettere a tacere ogni parte di sé. Come le aveva detto Margaret nella seconda stagione, aveva smesso di essere Elizabeth ed era diventata la Corona. Questo contrasto fra le singole personalità ed il peso di un ruolo pubblico sono ciò che imperversa in tutta la stagione e in tutti i personaggi.

Due cose che non hanno funzionato:

  • Il numero eccessivo di personaggi ha inevitabilmente portato ad una certa superficialità nelle storyline di alcuni di loro. Per fare due esempi: Ben Daniels/Lord Snowdown è mero accessorio nella storia di Margaret. Anna, personaggio carismatico e con il quale avrebbero potuto costruire un parallelo con la zia, viene accantonata al punto che il suo primo matrimonio – avvenuto quattro anni prima del Giubileo della Regina – non è nemmeno accennato.
  • l’aver concentrato molte energie sulle storie private della Casa Reale, ha finito per distogliere l’attenzione dai rivolgimenti della Gran Bretagna degli anni ’70. La crisi economica ed energetica, i tumulti sociali, sono echi che fanno da sfondo alle storie. Mentre scrivo mi chiedo se ciò sia una scelta voluta frutto del voler sottolineare la sostanziale distanza fra le mura di Buckingham Palace e la realtà. Una distanza, d’altronde, che era stata sottolineata dall’imbarazzante intervista televisiva di Filippo ed il documentario della BBC.

I tre episodi che mi sono piaciuti di più:

  • 3×03 “Aberfan: è l’episodio dedicato all’immane tragedia del villaggio di minatori gallese. Lo strazio di una storia realmente accaduta, la difficoltà di Elisabetta nel comprendere i bisogni della popolazione, il timore della sovrana nel dover manifestare emozioni (cosa che non è in grado di fare), tutto concorre a rendere la puntata intensa ed emozionante.
  • 3×06 “Tywysog Cymru: Carlo trascorre tre mesi nel Galles per impararne la lingua e ricevere l’investitura da Principe. È il primo episodio monografico su Carlo, Josh O’Connor ci conquista man mano donando spessore al personaggio del principe e iniziamo, come il suo insegnante, a simpatizzare per lui. La semplicità del personaggio, l’umiltà con cui – dopo aver sentito le ragioni del Galles – approccia il suo compito, rendono la ribellione finale ed il dialogo/scontro con la madre, uno dei migliori momenti della stagione.
  • 3×10 “Cri de Coeur“: a rendere sensazionale la puntata conclusiva della stagione è il dialogo fra le sorelle che chiude l’episodio. Nell’arco di poche battute, complice la bravura delle interpreti, si tirano le somme dell’intera stagione e si pongono le premesse per gli anni che seguiranno: saranno gli anni della Thatcher e di Lady D.

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Ma come ha fatto Olivia Colman a trasformarsi nella Queen Elizabeth II? 

Cosa vi è parso della stagione? Quali sono stati i vostri momenti preferiti? Vi aspetto nei commenti. 

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1 COMMENT

  1. MOMENTO A MIO PARERE PIU’ “EPICO”: quello in cui Sua Maestà, saputo del tentato Golpe (Domanda: stava davvero per accadere?!?!) affronta il Vecchio Leone (e pure a me riparte il “Rains of Castamere” interiore) e lo rimette a cuccia.

    Scherzi a parte io sono convinta che i grandi risvolti socio-economici saranno più impattanti nella stagione successiva con l’avvento di Margareth “C**o di Ferro” Tatcher e la fine piuttosto brutta di Lord Mountbatten.

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