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Pretty Little Liars | Recensione 7×19 – Farewell, My Lovely

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Pretty Little Liars | Recensione 7×19 – Farewell, My Lovely

È successo tutto in una notte. Un po’ come da tradizione a Rosewood, una città che sembra quasi destinata a rivelare il suo vero volto solo quando le luci vengono spente, cala il sipario e cadono le maschere, quando le ombre si mostrano finalmente in tutto il loro spessore, diventano riconoscibili e protagoniste delle loro storie, si riprendono quel posto che gli spetta in un gioco che confonde alla luce del sole, ma rimette ordine quando ritorna nell’oscurità a cui appartiene. Sapete, questo penultimo atto della serie ha rappresentato a suo modo un primo vero finale per la storia, un finale aperto, certo, ma sfumato da quella sensazione di chiusura che aleggia insistentemente dentro e fuori lo schermo. Ma allo stesso modo, questo episodio ha anche preparato le basi per un ultimo inizio, per un nuovo punto di partenza che prende avvio a pochi passi dal traguardo e che intende affrontare l’ultima tappa del suo percorso con lo stesso spirito con cui tutto è cominciato, in quella notte che adesso sembra appartenere quasi a un’altra vita, quando la città di Rosewood fu, ancora una volta, silenziosa testimone di segreti e soprattutto della misteriosa scomparsa di Alison DiLaurentis.

La notte di Rosewood questa volta si stringe intorno a tre donne, tre volti che conoscono il fascino e il potere dell’oscurità, che ne sono stati travolti nel loro momento più difficile, che l’hanno combattuto o semplicemente l’hanno accettato come parte di loro, come fedele compagno o strategico alleato. E il primo di questi nomi è di chi questa oscurità l’ha lasciata entrare nella sua vita come una debolezza o una tentazione e che ora prova a contrastarla con ogni mezzo necessario per riprendersi l’unica luce di cui ha sempre avuto bisogno per superare, incolume, la sua notte. Sto parlando di Aria Montgomery e del suo tentativo disperato di liberarsi da quella trappola in cui ha scelto di cadere quando era ancora così buio da non riuscire a vedere i suoi stessi passi. Nel bene o nel male, Aria è stata assoluta protagonista dell’ultima partita di A.D., è stata il suo obiettivo preferito, è stata l’unica che A.D. ha cercato in ogni modo di portare dalla sua parte, provando a distruggere il suo maggiore punto di forza e annullando così l’unico vantaggio che le sue pedine possedevano sul suo gioco. Le parole con cui Ezra prova a scuotere e a svegliare le coscienze delle altre ragazze fanno da sfondo a una storia del tutto umana, a un errore scaturito dalla paura e dalla disperazione, a un coraggio scalfito giorno dopo giorno, fino a indebolirlo tanto da piegarlo e fargli credere di non potersi più rialzare, non senza scendere ancora di più nell’oscurità di un compromesso. Aria Montgomery ha fatto un errore e per questo ha pagato nello stesso momento in cui l’ha compiuto ma soprattutto si è ritrovata sola ad affrontarne le conseguenze, lei che invece ha saputo capire e perdonare tutti gli altri e che adesso lotta con tutta se stessa per riprendersi e ricostruire ciò che A.D. ha distrutto guidando la sua stessa mano. Il sacrificio che Aria è disposta a compiere nella notte in cui il gioco finisce non è scontato, non è solo il tentativo di fare ammenda per la sua colpa, è l’essenza di una giovane donna che non si è mai tirata indietro, una donna che adesso è arrabbiata con se stessa ancora più di quanto lo sia col suo nemico, ma anche una donna che ricomincia a respirare perché ricomincia a pensare razionalmente, a riprendere il controllo delle sue azioni e delle sue scelte.

Il suo viaggio solitario e il dialogo a senso unico con l’ospite a sorpresa nel suo bagagliaio esprimono una determinazione estrema in cui è straordinariamente facile riconoscere Aria, ritrovarla nella sua frustrazione, nel senso di colpa, nella realizzazione di poter ancora rimediare ma soprattutto nella convinzione di volerlo fare con il solo obiettivo di vincere la partita liberando dalla sua morsa le persone che sente di aver abbandonato, le uniche che non avrebbe mai voluto deludere.

Aria si riprende ciò che le è stato portato via e lo fa riaffermando se stessa e la persona che è sempre stata, lo fa ricominciando dall’amore di Ezra, un amore che adesso è disposta a lasciare pur di proteggere una famiglia che ha scelto tanto tempo prima e a cui non ha mai rinunciato. È spaventata ma non tentenna nei suoi propositi; è confusa ma non sulle sue responsabilità e su ciò che intende fare per affrontarle a viso aperto; Ezra le offre di lasciare tutto e fuggire ma lei risponde esattamente come Spencer aveva risposto a Mary e alla sua stessa offerta, perché nessuna di loro può davvero andare avanti con la sua vita lasciando le altre indietro.

Ed è questo che ricordano anche Spencer, Hanna, Emily e soprattutto Alison, una Alison che continua a sorprendere, che continua a crescere, che continua ad affermarsi oltre il passato e la ragazza che era un tempo, e che diventa una presenza costante e leale per quelle amiche che adesso merita completamente.

Aria ritrova se stessa nell’unico luogo in cui si è sempre sentita a casa, tra le persone che l’hanno scelta incondizionatamente e che ripartono al suo fianco, oltre le follie, oltre quegli errori che tutte loro sembrano condannate a ripetere, in una notte assurda in cui solo insieme possono affrontare qualsiasi sorpresa la loro partita avrebbe riservato.

E la sorpresa più grande arriva dal secondo volto protagonista di questa fase finale del gioco, un volto che è stato introdotto per la prima volta in un’altra notte non troppo lontana e che sembra destinato a chiudere la sua storia nello stesso modo, in quell’oscurità in cui ha vissuto tutta la sua vita e che è diventata lentamente la sua unica quotidianità. Mary Drake è stata, contro ogni aspettativa e previsione, la sorpresa migliore di questa stagione, la scelta che è apparsa più azzardata e inverosimile ma che nella sua assurdità ha portato con sé una storia intensa capace di legarsi, anche oltre le leggi biologiche, alla persona che più ha avvertito simile, nelle decisioni, nel passato, nelle sofferenze e in tutto ciò che hanno portato via ad entrambe.

Anche Mary Drake infatti si riprende qualcosa di importante in quella che doveva essere la sua ultima notte a Rosewood, si riprende una famiglia che non ha mai avuto la possibilità di vivere, si riprende quelle responsabilità da cui stava fuggendo ma che questa volta riesce ad utilizzare a suo vantaggio, si riprende la speranza che un giorno possa ancora avere qualcosa o qualcuno da cui tornare. Il gesto d’amore compiuto nei confronti di Spencer è incondizionato, è assoluto, è esattamente tutto ciò che ci si aspetterebbe da un genitore, non è solo un modo per fare ammenda per le sue colpe o per acquistare punti ai suoi occhi, Mary non appare davvero pentita delle sue azioni, non dopo aver ricevuto il peggio dalla persona che doveva esserle più vicina, la sua confessione è decisa e non chiede nulla in cambio perché è semplicemente la sua prima possibilità di essere madre e di proteggere sua figlia come non ha potuto fare con Charlotte. Ciò che di Mary abbiamo visto e saputo ci ha permesso di ritrarre il profilo di un personaggio che è diventato il pericolo che tutti gli altri intorno a lei volevano che fosse, un’emarginata perennemente vessata dalle bugie e dal potere di sua sorella e soprattutto una madre che in qualche modo ha vissuto un percorso simile a quello che in futuro avrebbero affrontato anche le sue figlie, due figlie così diverse ma destinate a incrociare le loro strade nel peggiore dei modi. Il momento alla centrale di polizia però, quando Spencer prova a parlarle dopo la confessione, rivela la maggiore differenza tra le due donne ma in particolar modo tra le due vite, tra due strade che si dividono grazie a quelle stesse persone che restano accanto a Spencer, che le impediscono di commettere un errore e che rappresentano la ragione principale della sua stabilità, della sua salvezza, avendole concesso un amore incondizionato che Mary e CeCe non hanno mai provato e che a volte la stessa Spencer non riusciva a ritrovare nella sua famiglia.

E infine la notte di Rosewood ha abbracciato la storia di un’altra sua protagonista, una giovane donna che in quell’oscurità ci è stata spinta tanto tempo fa e a cui si è lentamente abituata, rendendola parte di sé e costruendoci intorno la forza di cui aveva bisogno per rialzarsi, per inseguire un obiettivo di vendetta che alimentava la sua rabbia ma contemporaneamente la distruggeva proprio quando credeva di essere invincibile. Mona porta con sé in questo episodio due fantasmi, due ombre che la sovrastano e che vanno a distruggere [o almeno così sembrerebbe] un equilibrio da sempre instabile, in bilico fin dall’inizio perché mai costruito su solide basi capaci di reggere ogni sua debolezza, ogni tentazione di tornare ad essere la ragazza sotto il cappuccio nero. Ed è proprio quel gioco che le hanno portato via troppe volte a rappresentare il suo primo demone, ora che ne ha riassaporato il gusto, ora che ha avuto l’ennesima conferma di non poter far parte di un gruppo in cui per lei non c’è mai stato spazio. Ho sempre pensato che la storia di Mona, per quanto geniale e affascinante per le dinamiche della serie, fosse estremamente triste dal punto di vista umano, poiché Mona è stata la prima vittima di un gioco crudele, di un atteggiamento di cui tante volte si smussano gli angoli, si giustificano le ragioni quando invece riesce a segnare in maniera indelebile la persona più debole che intorno a quelle azioni e a quelle parole costruisce poi la sua identità e la sua vita. Come ho spesso ripetuto, Mon-A è stata purtroppo “creata” da Alison, dal suo lato peggiore, da un passato di cui adesso anche lei si vergogna ma che non cambia il risultato delle sue azioni, un risultato che ora rivive nuovamente davanti ai suoi occhi nel suo aspetto più debole e pericoloso al tempo stesso. Ma purtroppo, così come il passato di Ali non potrà mai essere giustificato, allo stesso modo non si possono giustificare completamente le azioni di Mona, si possono comprendere, si possono contestualizzare, ma ciò che, per quanto mi riguarda, rende tutto più difficile è capire che per quanto abbia provato a fare ammenda, Mona non avrebbe mai ottenuto quella fiducia che tanto ricercava e la colpa è forse di tutti e di nessuno. Spencer, Aria, Hanna e Emily non riescono ancora a vedere in Mona qualcuno a cui affidare le loro vite, qualcuno in cui credere nonostante il suo aiuto sia stato spesso vitale per loro, perché tutte loro portano ancora i segni di un gioco che Mona ha cominciato e che le ha rese vittime tanto quanto lo è stata lei. Ecco perché è difficile per me biasimare le liars che non le hanno concesso una possibilità ed ecco perché ho sempre temuto che Mona arrivasse nuovamente a questo punto della sua vita, perché la sua storia appare ora come una reazione a catena che si ripete ogni volta, una dipendenza a cui è difficile resistere quando non hai altro per cui lottare. Eppure anche nel suo stesso gioco adesso Mona si ritrova a dover combattere con un altro fantasma, più concreto e vivo nei suoi ricordi di quanto si immaginasse, il fantasma che le ha rubato il gioco la prima volta, portandolo a un livello a cui Mona non sarebbe mai arrivata per la semplice ragione che Mona non ne ha mai davvero condiviso la crudele spietatezza.

Il confronto finale tra Mona e CeCe è stato assolutamente illuminante ai fini della storia e della serie poiché ha messo a paragone due burattinai che hanno giocato con le loro bambole in modi differenti e con stili quasi diametralmente opposti. “Rivedere” CeCe Drake nelle parole e nei ricordi di Mona nel momento che ha preceduto la sua morte è stato secondo me vitale per la caratterizzazione di un personaggio che sembrava essere morto in modo totalmente diverso da come aveva vissuto. E invece le immagini recuperate da Mona ci mostrano quanto CeCe non sia mai davvero stata Charlotte, non si sia mai realmente pentita delle sue azioni e abbia soltanto atteso nella sua messinscena, il momento migliore per riprendersi ciò che credeva le spettasse.

È questo il motivo per cui credo che, in quanto entrambe A, i giochi di Mona e CeCe non siano assolutamente paragonabili, perché CeCe ha rappresentato il vero “villain” di questa serie, una donna che ha subito e sopportato ogni colpo basso la vita le riservasse ma che, contrariamente a Mona, ha avuto la forza di non farsi distruggere e ha trasformato quelle ferite in rabbia e odio, in cinismo e spietatezza, in brama di controllo e potere. Questo episodio, la fatale risoluzione del confronto tra Mona e CeCe ha reso straordinariamente evidente quanto CeCe fosse il nemico numero uno di tutte mentre Mona è sempre stata solo il nemico di se stessa.

Il sole sorge lentamente su Rosewood. Mona si rivela così in tutte le sue debolezze mentre quel gioco di cui tanto desiderava riprendere il controllo muore lentamente, spegnendosi davanti agli occhi di chi lo ha vissuto e ne ha pagato le conseguenze. Mary Drake dichiara scacco matto a una nemesi ancora sconosciuta che adesso si allontana con la promessa di fare presto ritorno mentre tutto finisce e ricomincia con un’unica certezza, la stessa da cui tutto ha avuto inizio, la stessa che ci ha accompagnato dal pilot al series finale, ossia che qualunque cosa accada Aria Montgomery, Spencer Hastings, Hanna Marin, Emily Fields e Alison DiLaurentis troveranno sempre il modo di tornare l’una dalle altre, libere da ogni ricatto e da ogni gioco che cercherà di controllarle.

Poche ore ci separano ormai dalla fine della storia, e posso solo garantirvi di non essere assolutamente pronta a farci i conti.

Per la penultima volta, sempre vostra, Walkerit-A.D.  

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Occasionale inquilina del TARDIS e abitante in pianta stabile di un Diner americano che viaggia nel tempo e nello spazio, oscilla con regolarità tra Stati Uniti e Gran Bretagna, eternamente leale alla sua regina Victoria e parte integrante della comunità di Chicago, tra vigili del fuoco (#51), squadre speciali di polizia e staff ospedalieri. Difensore degli eroi nell’ombra e dei personaggi incompresi e detestati dalla maggioranza, appassionata di ship destinate ad affondare e comandante di un esercito di Brotp da proteggere a costo della vita, è pronta a guidare la Resistenza contro i totalitarismi in questo universo e in quelli paralleli (anche se innamorata del nemico …), tra un volo a National City e una missione sullo Zephyr One. Accumulatrice seriale di episodi arretrati, cacciatrice di pilot e archeologa del Whedonverse, scrive sempre e con passione ma meglio quando l’ispirazione colpisce davvero (seppure la sua Musa somigli troppo a Jessica Jones quindi non è facile trovarla di buon umore). Pusher ufficiale di serie tv, stalker innocua all’occorrenza, se la cercate, la trovate quasi certamente al Molly’s mentre cerca di convertire la gente al Colemanismo.

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