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Penny Dreadful | Certe volte la normalità

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Penny Dreadful | Certe volte la normalità

Eccomi qua… la mia prima volta da “articolista” in queste pagine! Innanzitutto, è un onore poter condividere con questo immenso gruppo di addicted qualche mio pensiero un po’ folle e sconnesso… in questo momento la felicità e l’euforia sono un tutt’uno con la paura, ma insomma, sono qui e vale la pena buttarsi (siate clementi please!)!

Ebbene…here we go!

Qualche mese fa, incuriosita da tutto il gran parlare delle mie amiche e colleghe addicted, finalmente mi sono decisa e, così, Penny Dreadful è stata la mia prima serie “horror” (se così si può definire).

Non posso sicuramente commentare in modo professionale le capacità recitative di un attore (purtroppo nella vita faccio altro) e non ho nemmeno delle competenze tecniche per riuscire a capire nel dettaglio i retroscena di questo settore, però devo ammetterlo: questa breve serie in onda su Showtime è stata davvero un gioiello. Devo dire che la presenza di attori hollywoodiani ha una sua bella fetta di merito in tutto questo, hanno spostato il piano della recitazione su livelli difficili da equiparare però, ed è un però grande come una casa, ciò che mi ha colpito di più sono stati lo spessore e la rilevanza della trama sottintesa. Quella trama che, a mio avviso, deve essere l’anima di tutti gli show perché è quella che ti permette di fare TUA una serie, di fartela entrare sotto pelle a tal punto che alla fine, anche se parla di vampiri e demoni, sta parlando di TE!

Innanzitutto, Penny Dreadful prende il suo nome dalle pubblicazioni molto in voga nell’Inghilterra del XIX secolo (caso vuole che la serie sia ambientata proprio nella capitale britannica) conosciute come penny horrible, penny awful o, appunto, penny dreadful. Erano libretti caratterizzati dal basso costo, appunto un penny e che hanno contribuito alla diffusione del romanzo gotico. La cosa singolare è che la traduzione in italiano del titolo sarebbe “Spaventi da un penny” facendo riferimento non solo al basso costo della pubblicazione, ma anche alla bassa qualità dei racconti narrati (racconti horror brevi spesso scadenti): ebbene, questa serie è tutto tranne che low profile!

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Nonostante sia una serie horror, fin dalla prima puntata nessun sentimento di angoscia si è scatenato dentro di me, nessuna paura: certo alcune scene erano davvero forti (almeno per una come me abituata alla “violenza” di The Originals… ok sono una fifona lo ammetto!) ma non erano quelle a catturare la mia attenzione, bensì ciò che tutte queste scene volevano far emergere. Penny D. è una serie complessa, per nulla banale, che tocca, in poche ma intensissime puntate, argomenti non facili: la morte oltre alla vita, la ricerca, il tradimento… Nel corso di tutti gli episodi vediamo la protagonista femminile (in realtà, un po’ tutti i personaggi) compiere un travagliato percorso alla ricerca e, al contempo, alla ri-scoperta di sé, ma è dalle parole che rivolge al prete all’interno della chiesa (che per lei era un po’ come uno spauracchio) negli ultimi minuti del finale che capiamo ciò da cui derivano le sue angosce: se stessa!
Ebbene, proprio in queste parole sta, a parer mio, il tema centrale di tutta la serie: la possessione. Bella scoperta, penserete voi:
1. già nella seconda puntata si vede che Vanessa è posseduta dal suo demone;
2. caso vuole che la penultima puntata si intitoli proprio “Possession”.

Ecco, questo è proprio il concetto da cui vorrei allontanarmi (perché è solo di facciata e perché, ovviamente, è parte costitutiva della trama). Spesso, a causa delle nostre radici (quanto meno le mie) cristiano-cattoliche, quando si pensa alla possessione si fa riferimento a comportamenti dovuti a (presunti) influssi esercitati sul corpo umano da forze soprannaturali e, in effetti, è anche quello che Penny Dreadful ci porta a pensare. Nel corso delle otto puntate ci vengono presentati i protagonisti: non ci sono legami tra di loro, o almeno all’inizio così pare, eppure da subito ci rendiamo conto che c’è qualcosa che accomuna tutte queste particolari creature.

Piano piano capiamo come ognuna di queste persone si stia facendo guidare così tanto da un desiderio o da una volontà, da perdere di vista la normalità, la realtà. Lungi da me il voler fare un’analisi approfondita di ogni personaggio, perché sinceramente non è quello che importa in questo momento ma, è abbastanza chiaro che, in seguito ad eventi più o meno traumatici, ognuno di loro vuole ardentemente qualcosa e questa volontà li porta a compiere ogni tipo di gesto sia richiesto per ottenerla. Se, infatti, il Dr. Frankenstein cerca disperatamente (riuscendoci) di vincere la Morte come a voler porre rimedio agli eventi che hanno segnato la sua adolescenza, Vanessa vuole dimostrare (principalmente a se stessa) di non essere una persona negativa, di non essere pericolosa, il tutto nel tentativo di fare ammenda delle proprie azioni, e Sir Malcom desidera ardentemente salvare la figlia nascondendo però, in questo modo, la necessità di redimersi per le sue mancanze.

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Non è necessario che un entità superiore (malefica o no) si impossessi di noi per spingerci oltre noi stessi e oltre la natura, perché, in fondo, la possessione non è altro che la condizione in cui si è posseduti da qualcosa/qualcuno, la condizione in cui questo qualcosa o qualcuno prende il controllo e guida la nostra volontà. E questo qualcosa può essere davvero la qualunque cosa, un sogno da realizzare, un desiderio… “Possedere”, parola di origine latina che deriva dal verbo possidere (Pos, sopra, e Sedere, stare/sedere) significa stare sopra, si potrebbe interpretare come “essere sopraffatto”: la nostra volontà prende il sopravvento e ci spinge oltre i limiti, sociali e naturali, delle nostre capacità, il tutto per raggiungere un obiettivo, per realizzare quel sogno, per ottenere quel desiderio.

Se la vita è fatta di scelte la cosa importante è cosa guida quelle scelte e, la maggior parte delle volte, è proprio la necessità di quel momento. Ecco, ci sono necessità che ci seguono per periodi limitati e altre che, invece, ci condizionano per tutto il corso della nostra vita, fanno parte di noi e guidano tutte le nostre scelte. Non si trova alcuna accezione negativa in questa visione della possessione eppure, il limite tra la possessione e l’ossessione è così sottile da non poter spesso essere riconosciuto. Purtroppo, quando non siamo più noi i padroni delle nostre pulsioni, quando queste pulsioni diventano i padroni, da persone che possiedono diventiamo ossessionate. Anche in questo caso il latino ci aiuta, perché ossessione deriva dalla parola obsideo ovvero “occupo”: la nostra volontà è occupata da un pensiero fisso, quella necessità che prima guidava la nostra volontà adesso la assedia. “Habere, non haberi” è una frase del filosofo greco Aristippo (ripresa anche da D’Annunzio ne “Il piacere”) che invita a possedere le cose senza però esserne posseduti: “habere” è la possessione mentre la condizione di “haberi” è l’ossessione.

E’ un pensiero vecchio come il mondo, ripreso in molti periodi storici che porta con sé, ogni volta, un’accezione del tutto negativa dell’ossessione. Si è portati a credere che l’ossessione sia una condizione patologica o comunque non idonea perché genera una visione distorta della realtà. Tuttavia, ci sono situazioni in cui un’ossessione, sia essa un pensiero fisso di cui non riusciamo a liberarci o un progetto che cerchiamo di realizzare, può avere risvolti tutt’altro che negativi. Quando abbiamo un obiettivo ci buttiamo talmente a capofitto nella sua realizzazione da lasciare tutto il resto in secondo piano. Quando ci appassioniamo ad un argomento o ad una attività ne approfondiamo tutti gli aspetti e cerchiamo di far sì che questa passione riempia buona parte della nostra giornata. Agli occhi di qualcuno potremmo perfino sembrare ossessionati (vade retro l’ossessione! Ci vuole misura!) ma la verità è che, questa ossessione rappresenta un’opportunità di crescita personale, fisicamente e culturalmente. Qualsiasi  cosa sia, questa ossessione ci stimola ad andare avanti, ad andare oltre: ci auto-alimentiamo della nostra stessa volontà, siamo pieni di energia e questa energia si tramuta in VITALITA’.

Alla fine, la nostra personalità cresce nella misura delle cose che ci riempiono la vita, e più qualcosa ci interessa, più questa cosa fa parte di noi ,più noi traiamo energia da essa: studiamo, sperimentiamo, impariamo… SIAMO.
E allora, forse, la normalità sta proprio nella possessione o nell’ossessione che ci spingono avanti, che ci permettono di essere le persone che siamo perché, forse, quando il prete chiede a Vanessa “volete davvero essere normale?” la risposta è che “noi siamo già normali”… ma noi lo scopriremo nella seconda stagione di questa fantastica serie, che dite?

Vi lascio con una frase dal già citato “Il piacere” di D’Annunzio che ben collima (almeno secondo me) con tutti questi pensieri…

“La fuga del tempo gli era un supplizio insopportabile. Non tanto egli rimpiangeva i giorni felici quanto si doleva de’ giorni che ora passavano inutilmente per la felicità. (…) La sua vita si consumava in sé stessa, portando in sè la fiamma inestinguibile d’un sol desiderio, l’incurabile disgusto d’ogni altro godimento. Talvolta lo assalivano impeti di cupidigia quasi rabbiosi, disperati ardori verso il piacere; ed era come una ribellion violenta del cuore non saziato, come un sussulto della speranza che non si rassegnava a morire.” 

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Colgo l’occasione per ringraziare di cuore Mary e Betty per aver creduto in me, per avermi spronata ed aiutata e per essere sempre, SEMPRE presenti per me…grazie davvero! Un grazie particolare anche a Patrick, perché anche se vorrebbe imprecare contro di me (probabilmente lo fa in effetti) tipo sempre, alla fine è sempre infinitamente disponibile!

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Nata negli anni 80, grazie al suo papà clone di Magnum P.I., cresce a pane e “Genitori in blue jeans” (dove si innamora di Leonardo di Caprio che troverà poi in quei film tanto amati come "What's Eating Gilbert Grape" o “Total eclipse”), l’uomo da 6 milioni di dollari, l’A-Team, Supercar e SuperVicky. L’adolescenza l’ha trascorsa tra Beverly Hills 90210, Santa Monica e Melrose Place..il suo cuore era sul pianeta di Mork e alle Hawaii..anche se fisicamente (ahimè) era sempre e solo nella provincia bergamasca. Lettrice compulsiva fin dal giorno in cui in prima elementare le hanno regalato Labirinth è appassionata di fantasy (Tolkien è il suo re, Ann Rice e Zimmer Bradley le sue regine) e di manga (Video Girl AI in primis per arrivare a Paradise Kiss e Nana), anche se ultimamente è più orientata a letture propedeutiche pediatriche! Ama studiare (tra laurea, dottorato e master ha cominciato a lavorare a 28 anni!!) ed imparare, ma non fatela arrabbiare altrimenti non ce ne è per nessuno!

2 COMMENTS

  1. Un articolo fantastico! Hai trovato una chiave di lettura molto interessante e nuova per questo genere di tematiche! Complimenti!

  2. Grazie Gioia!!! Ogni tanto mi sembra di perdermi nei pensieri ma poi, alla fine, tutti i fili della trama arrivano nello stesso punto e semplicemente.. Ha senso!❤️

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