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Orange Is The New Black | Recensione 3×04/05 – Finger In The Dyke / Fake It Till You Fake It Some More

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Orange Is The New Black | Recensione 3×04/05 – Finger In The Dyke / Fake It Till You Fake It Some More

Rieccoci a commentare, con un ritardo stratosferico, le vicende all’interno del penitenziario di Litchfield.
Ci eravamo lasciati con la povera Nicki mandata all’ala di massima sicurezza e le sorti della prigione ancora incerte, poi sono sparita per un po’ lasciando in sospeso il mio recap dell’episodio successivo per godermi qualche giorno di fresco lontana dall’afa appiccicaticcia dei dintorni romani. Ma, da brava addicted, non mi sono dimenticata del mio importante compito, e ieri mi sono piazzata nella sala relax dell’aeroporto di ritorno a gustarmi anche il quinto episodio di OITNB dal tablet. Per recuperare il tempo perso durante il mio silenzio stampa, quindi, oggi parliamo di due puntate in un’unica recensione! *partono gli applausi registrati*

Innanzitutto, parto col dire che ho sentito diversi pareri in giro sul fatto che la struttura a flashback sia superata, che lo show non abbia più nulla di nuovo da dirci in questo senso e che sarebbe il caso di rinnovare lo stile narrativo. In generale non sono completamente d’accordo, e questi due episodi sono un buon esempio: tramite flashback scopriamo le backstory di due inmate che non erano ancora state approfondite, entrambe forse viste più come comic relief e lasciate sullo sfondo per farci sorridere con una battuta, una frecciatina o, soprattutto nel caso di Flaca, con qualche commento da svampita.
Ma andiamo a scoprire le due storie nel dettaglio:

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Per quanto riguarda “Finger in the dyke”, mi ha dato l’idea (che stavo già elaborando) che quello introdotto dalla premiere di quest’anno si stia imponendo come una sorta di leitmotiv più generale, esteso all’intera stagione, proseguendo quanto iniziato con i vari mini-flashback su diverse detenute  con approfondimenti caso per caso sul rapporto delle varie inmate con la maternità (o con le loro madri). Nonostante il ritorno alla struttura con flashback incentrati su un unico personaggio per episodio anziché il collage di “Mother’s Day”, quello che continuiamo a vedere nelle varie backstory sono stralci di passato che raccontano qualcosa in più su quello che le varie detenute erano o sono diventate anche e soprattutto in rapporto con le loro madri (fa eccezione l’episodio su Bennet, ma in quanto flashback mirati a sottolineare la sua identità ancora poco indirizzata al ruolo di padre, considerando il risvolto della “fuga” di Bennet in rapporto con la gravidanza di Daya, potremmo dire che anche quelli in un certo senso rientrano nell’arco delle sottotrame legate all’essere genitore). Qui, ad esempio, abbiamo i primi flashback dedicati a Carrie ‘Big Boo’ Black, e contrariamente ai flashback delle stagioni scorse, che ci portavano spesso “sul luogo del delitto”, ovvero delineavano il percorso che aveva portato le varie inmate a Litchfield facendoci scoprire cosa ognuna avesse fatto per finire lì, qui abbiamo appena qualche vago accenno a quello che sembra essere il motivo dell’arresto di Boo (che pare abbia a che fare con scommesse, gioco d’azzardo, probabilmente furto) ma un più corposo arco narrativo sulla sua identità, il suo rapporto conflittuale con la società e il far accettare agli altri quello che molti additano solo come “una maschera”, e specialmente con sua madre e il rifiuto dei suoi genitori di vederla per quello che è e non vuole nascondere.
Ho trovato una coincidenza interessante il fatto che mi sia trovata a vedere questo episodio appena prima dello storico annuncio della Corte Suprema statunitense che legittima l’unione tra persone dello stesso sesso in tutto il territorio federale, sancendo finalmente un diritto umano come accessibile a chiunque, perché in fondo quello che vediamo fare a Boo, nel passato ancora più ferocemente che nel presente, è proprio riconoscere e combattere per un suo diritto fondamentale, spesso negatole dalle persone a lei più vicine: il diritto all’esistenza. Non potersi esprimersi liberamente per quella che è, con il modo di vestire, con l’atteggiamento ecc., sarebbe come essere qualcun altro, e quindi di fatto annullare il suo essere. Fa quasi tristezza l’atteggiamento sconsolato di una madre che vuole imporre una gonna (ridicola tra l’altro, fatemelo aggiungere) a una figlia che non ne vuole sapere, solo perché quella sembra essere l’immagine più socialmente accettata, e fa ancora più tristezza sentire lei e suo marito parlare di un costume che Carrie vuole indossare quando, in definitiva, forse la vera mascherata sarebbe stata proprio l’indossare un vestito più “femminile” ma in cui lei non si sarebbe sentita a suo agio.
Nel presente, parallelamente, Boo si trova ad abbracciare un aspetto e un atteggiamento più femminili, ma stavolta per sua scelta e per scopi molto meno nobili: tentare di racimolare qualche donazione da fanatici religiosi a cui è riuscita ad arrivare tramite Dogget. Il primo impatto con la sua immagine è tutt’altro che entusiasta, anche se la scena è senz’altro alleggerita da una Morello completamente esaltata che si sente come all’interno di uno di quei reality in stile “Brutto Anatroccolo”, ma la pantomima sembra andare bene per un po’, regalandoci anche qualche risata sia nella fase di preparazione (la “lezione” di citazioni bibliche con Sorella Ingalls) che dopo. Boo esplode però nel momento in cui, ancora una volta, il suo sacrosanto diritto di esprimere se stessa viene messo in crisi da un commento del reverendo verso uno dei suoi tatuaggi. A prima vista devo dire di aver visto un atteggiamento forse eccessivamente amaro nella Boo dei flashback, ad esempio nella scena in cui aggredisce violentemente un tipo per un commento fuori luogo, e sarei quasi portata a dire che, un po’ come nel caso di Nicky, forse la verità sta nel mezzo, ma in realtà non abbiamo avuto modo di sapere di più di ciò che ha portato Boo a essere così arrabbiata verso il mondo: le brevi finestre sul suo passato ci hanno mostrato solo un paio di episodi random e non anni e anni di quotidiani punzecchiamenti che alla fine l’hanno fatta diventare così incline alla rispostaccia al minimo accenno alla sua identità. Senz’altro, però, ci hanno permesso di conoscere un po’ meglio questo personaggio finora perlopiù relegato a storyline marginali e di darle un minimo di spessore.

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Lo stesso si può dire dei flashback di “Fake it till you fake it some more”, che tornano anche alla struttura originale mirata a svelare cosa ha portato le varie detenute in prigione e ci raccontano il passato di Marisol ‘Flaca’ Gonzales, personaggio finora perlopiù impiegato come comic relief e in genere accompagnato dall’inseparabile Maritza, tanto che per un secondo vederla in compagnia di qualcun altro nella backstory mi ha fatto un effetto disorientante. Dal suo passato scopriamo non solo il motivo che l’ha portata all’arresto (da quel poco che sapevamo di lei non mi sarei aspettata niente di più complicato di un inganno finito male, tra l’altro perfettamente in character anche la sua spiegazione di come avrebbe eventualmente aggirato le lamentele per via del fatto che il suo prodotto non aveva gli effetti desiderati), ma abbiamo, anche qui, un approfondimento della sua personalità, che finora è emersa perlopiù come superficiale. Il parallelo con le vicende a Litchfield ci mostra una sua profonda insicurezza e bisogno di conferme dall’esterno, nonché un’attitudine a scoraggiarsi facilmente. C’è una profonda ironia nella sua sottotrama in relazione al leitmotiv dell’episodio, ovvero il “mistero” dietro al fantomatico nuovo impiego (pagato meglio!) offerto dai nuovi proprietari: la vediamo altalenare tra ostentata sicurezza prima a eccessivo pessimismo di fronte al test più ridicolo della storia, a sollievo e orgoglio nello scoprire di essere passata mentre a noi pubblico viene svelato che in realtà le “vincitrici” sono state estratte in maniera totalmente casuale dalla pila delle candidate. O ancora, il partire dal mestiere che sua madre le aveva insegnato, la sarta, e tornare, come in un cerchio, di fronte a una macchina da cucire.

Ma facciamo un passo indietro rispetto alla storyline dell’impiego misterioso e parliamo un po’ di più di questa azienda, la soluzione alla chiusura del carcere servita su un piatto d’argento da Figueroa che negli ultimi due episodi ha dato qualche grattacapo a Caputo. Devo ammettere che, per quanto rimanga un personaggio prevalentemente triste, le sue parentesi si stanno rivelando tra i momenti più esilaranti di ogni episodio: vederlo districarsi goffamente tra i mille disguidi del suo lavoro è sempre una risata assicurata. In “Finger in the dyke” lo seguiamo in un tour guidato della prigione per mostrare ai possibili acquirenti le potenzialità della struttura, e da un ala all’altra dell’edificio, con i piccoli e grandi problemi delle detenute che vengono a galla o vengono grossolanamente nascosti sotto al tappeto, le cose sembrano andare di male in peggio. Poi però, a fine episodio, abbiamo la conferma: l’azienda è effettivamente interessata. Nella 3×05 infatti ci troviamo già di fronte ai primi cambiamenti apportati dalla nuova gestione: orari ridotti alle guardie, che non prendono bene la notizia, e una gestione poco oculata delle detenute, come un incredulo Caputo fa notare (“evitare che le inmate adoperino utensili appuntiti, impedire alle piromani di lavorare in cucina” ecc.). Sembra quasi che questo nuovo componente sia stato inserito nella trama perlopiù per variare il tema della gestione del carcere, mostrandoci il tutto attraverso gli occhi di una società interessata più ai profitti che all’effettiva gestione delle risorse umane al suo interno: se prima sembrava quasi che la condizioni fossero deumanizzanti, c’è solo da aspettare e vedere quanto questa nuova gestione possa sconvolgere gli equilibri e portare a nuove vette di scompiglio interno.

Passando infine alle vicende delle detenute, che sono in fondo il vero focus dello show (per quanto, ripeto, i flashback facciano il loro giusto lavoro di intervallare la narrazione offrendoci scene girate in location diverse dai soliti set, con personaggi che indossano qualcosa di diverso dalle tute arancioni e kaki, è indubbio che ciò che davvero cattura dello show è osservare la quotidianità di queste donne che affrontano il carcere ognuna a modo suo), nei due episodi vediamo svilupparsi diverse sottotrame di maggiore e minore spessore:

Piper&Alex: dopo l’iniziale arco narrativo scandito da segreti rivelati e ovvie incazzature, le due sembrano essere tornate a un rilassato rapporto che Piper stessa definisce come amoroso (“I have a girlfriend that I love”) a sua madre durante la visita per un compleanno di cui non voleva far sapere a nessuno. Proprio questa sottotrama del compleanno mi ha dato l’impressione definitiva che l’accento su Piper come protagonista sta lentamente scemando, andando a fissare uno sguardo più grandangolare sul resto delle detenute: una storia come quella del compleanno avrebbe potuto tenere banco per tutti i 50 minuti nella prima stagione, ora invece ci appare semplicemente come una delle tante side-story all’interno dell’episodio.
Parlando specificamente di Alex, invece, la vediamo iniziare a preoccuparsi quando si sente osservata da una tipa che non ricorda di aver mai visto prima, e che teme essere stata assoldata da Kubra per arrivare a lei.

Red&Healy: oh per diana, no!!! Me la sono vista brutta con questa storyline quando vedevo i due scambiarsi sempre più occhiatine e sorrisini nella 3×04 e, soprattutto, quando nella 3×05 sentiamo Red chiedere consigli a Piper per rendere il suo aspetto più gradevole. Ok, con la fuga di Bennet il quadretto romantico con Daya è andato a farsi benedire, ma abbiamo davvero bisogno di una sottotrama romantica? OrangeIsTheNewBlack-3x05Specialmente tra questi due? La risposta dello show è quella giusta: no, quella leonessa di Red non mi delude e scopre le carte, facendoci capire che tutta la messa in scena era solo per approfittare dell’ascendente che sembrava avere su Healy per chiedergli qualche favore. Sorry Sam, but… what a relief!

Daya&… la madre di Pornstache, di cui francamente non ricordo il nome: quando finalmente è chiaro come il sole (e comunque lei rischiava di non arrivarci lo stesso) che Bennet se l’è fatta sotto e l’ha abbandonata, Daya prova a chiedere al compagno di sua madre di prometterle di prendersi cura del bambino. Ma, insomma, chi è quel pazzo che darebbe in mano un neonato a un tipo che punta la pistola in testa a un ragazzino che fa i capricci per mangiare la “verdura”? Ecco, appunto… l’unica soluzione sembra quindi essere quella di richiamare la mamma di Mendez, che si era gentilmente offerta di occuparsi del bambino (anche per avere una seconda chance visto il lavoro oggettivamente fallimentare fatto col primo figlio). Interesse verso questa sottotrama al momento: tendente allo zero assoluto.

tumblr_nqmc04aQil1uy6md2o1_1280La morte di Vee: oooh, qui si ragiona. Ho sentito di tutto e di più su questo evento, addirittura gente che metteva in dubbio il fatto che Vee fosse morta. È vero che nei telefilm in genere finché non si vede un cadavere non è successo davvero (e spesso anche dopo aver visto il cadavere non è detta l’ultima parola… chi vuole intendere intenda!), ma francamente io non avevo dubitato neanche per un secondo di questa eventualità. Saranno stati i rumours, quindi, a farmi il lavaggio del cervello e, nella scena in cui Taystee ripete più volte “Vee is dead” e si lascia andare a un pianto liberatorio di fronte a Suzanne e le due si abbracciano, per una frazione di secondo mi sono trovata ad aspettare la comparsa di una rediviva Vee, che guardando le due dall’alto in basso con sguardo sornione dichiarasse “Are you sure about that?”. Ma ovviamente nulla di questo è accaduto, e oserei dire che il fatto che perfino le guardie nell’episodio successivo liquidino l’argomento con “una detenuta ha rubato il minivan e ne ha ammazzata un’altra” sia la prova definitiva che cercavamo. Evidentemente tutti i richiami al personaggio nei primi episodi di questa stagione vogliono essere solo richiami alla serialità dello show, nulla di più… basta essere sospettosi quindi!

E per ora direi che mi fermo qui visto che ok che ho discusso due episodi insieme e che si potrebbe parlare all’infinito se ci si concentrasse su ogni singolo frammento di episodio (non ho ad esempio menzionato Soso e i suoi imbarazzanti approcci per farsi nuove amicizie, anche se ad esempio mi è piaciuto molto il suo momento con Norma… mi ha vagamente ricordato quegli episodi di New Girl in cui Nick andava a parlare con Tran e, fondamentalmente, si trovava a fare monologhi con l’altro che lo fissava sempre con la stessa espressione), ma è anche una cert’ora e, soprattutto, voglio lasciare spazio per ulteriori pareri e considerazioni nei commenti: in quanti siete ancora qui a leggere i recap dei primi episodi nonostante la fretta di andarsene in spiaggia vi abbia fatto divorare l’intera stagione in mezza giornata (ho fatto i conti ed è matematicamente impossibile, quindi non ci provate neanche ad alzare la mano)? Fatemi sapere cosa ne pensate, sempre senza spoilerare nulla sugli episodi ancora non recensiti, mi raccomando.
Alla prossima!

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Ale
Tour leader/traduttrice di giorno e telefila di notte, il suo percorso seriale parte in gioventù dai teen drama "storici" e si evolve nel tempo verso il sci-fi/fantasy/mistery, ora i suoi generi preferiti...ma la verità è che se la serie merita non si butta via niente! Sceglie in terza media la via inizialmente forse poco remunerativa, ma per lei infinitamente appagante, dello studio delle lingue e culture straniere, con una passione per quelle anglosassoni e una curiosità infinita più in generale per tutto quello che non è "casa". Adora viaggiare, se vincesse un milione di euro sarebbe già sulla porta con lo zaino in spalla (ma intanto, anche per aggirare l'ostacolo denaro, aspetta fiduciosa che passi il Dottore a offrirle un giretto sul Tardis). Il sogno nel cassetto è il coast-to-coast degli Stati Uniti [check, in versione ridotta] e mangiare tacchino il giorno del Ringraziamento [working on it...]. Tendente al logorroico, va forte con le opinioni non richieste, per questo si butta nell'allegro mondo delle recensioni. Fa parte dello schieramento dei fan di Lost che non hanno completamente smadonnato dopo il finale, si dispera ancora all'idea che serie come Pushing Daisies e Veronica Mars siano state cancellate ma si consola pensando che nell'universo rosso di Fringe sono arrivate entrambe alla decima stagione.

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