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Minority Report | Recensione 1×09 – Memento Mori

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Minority Report | Recensione 1×09 – Memento Mori

Carissimi addicted, alla fine siamo giunti al penultimo appuntamento con una serie che, adesso che è quasi arrivato il momento fatidico del bilancio finale, sono incline a giudicare alquanto positivamente. Certo, non sono mancati un paio di episodi un po’ lenti, ma sono stati più che compensati da altri, come quello di ieri sera. Non si tratta certo di un prodotto da piazzare nell’Olimpo delle serie più amate e venerate dai telespettatori di tutto il mondo, ma è stato sicuramente godibile e appassionante.
Dico è stato perché siamo tutti ormai rassegnati da tempo al fatto che il decimo episodio farà sia da season che da series finale e la mia unica speranza è che la Fox riesca in qualche modo a dare alla storia una chiusura decente. In teoria dovrebbe essere possibile condensare la soluzione della storyline dell’organizzazione Memento Mori e la fuga dei precog in quaranta minuti, in modo da evitare spiacevoli e indesiderati cliffhanger.
Quasi sicuramente rimarrà irrisolto il mistero dell’omicidio del padre di Vega, ma mi sento di poter tranquillamente affermare che nessuno di noi perderà il sonno per questo… in fin dei conti non si può avere tutto dalla vita.
Ma bando alle ciance e alle predizioni funeste, smettiamola di indugiare e tuffiamoci nell’episodio.

Eviterò volutamente di commentare il siparietto simpatia/karaoke con i nostri eroi riuniti felicemente nel salotto di Vega a fare comunella come se fossero amici dai tempi della scuola e non fossero braccati dal novanta per cento delle organizzazioni governative.
Lo prendo però come spunto per cominciare a parlare di uno dei nodi focali di tutta la puntata, il contrasto tra Vega e Blake e il dibattito sull’eterno dilemma: è giusto esigere il sacrificio del singolo se questo può significare la salvezza di molti?
Secondo Blake tenere il segreto del potere di Dash confinato a un gruppo limitato di persone ne diminuisce drasticamente le possibilità. Da un certo punto di vista la sua riflessione può anche risultare corretta, ma il fatto è che in tutte le sue arringhe, nella sua indifferenza alle sofferenze che i precog dovrebbero soffrire qualora finissero di nuovo nelle mani sbagliate, il tenente dimostra chiaramente di considerare Dash alla stregua di un oggetto o di una cavia da laboratorio, più che di un essere umano suo pari. Rimane da chiarire se ciò sia dovuto alla paura innata per tutto ciò che è altro, che è diverso o se deriva soltanto da un senso di giustizia tanto radicato e cieco da aver perso il contatto con il suo stesso significato più profondo.
Vega, d’altro canto, difende la posizione opposta: secondo lei Dash ha già fatto abbastanza e, forse in virtù del differente rapporto umano che li lega, non se la sente di chiedergli di sacrificarsi e ridursi in una condizione di schiavitù allucinante e malata per salvare la vita a degli sconosciuti di cui non ha mai neppure visto il volto.
Forse Blake è troppo cinico, forse Lara è troppo egoista, sta di fatto che, secondo me, giusto o meno, a Dash dovrebbe essere data la possibilità di scegliere, dovrebbe essere lui a prendere la decisione finale. E’ un fardello troppo oberante perché siano altri ad arrogarsi il diritto di sentenziare, anche se il peso di un dilemma simile potrebbe portare il singolo individuo all’annientamento più totale. Da quel che ho potuto vedere nel corso degli ultimi dieci episodi, se al precog fosse stata data una possibilità di scelta, sia pur con qualche comprensibile esitazione, alla fine avrebbe scelto di mettere il suo talento al servizio di un bene superiore, schiavo non tanto di un’organizzazione quanto di un’ineluttabile responsabilità morale.

Altro tema interessante della puntata sono stati gli svantaggi di un mondo fondato interamente sulla tecnologia.
In un sistema basato interamente su una rete complessa, se non si fa uso della suddetta rete si diventa di fatto invisibili, inafferrabili, dei fantasmi che camminano in mezzo alla folla, rilevabili ma non riconoscibili, totalmente al di fuori del raggio dei radar. Questo rende l’utopia (o la distopia, dipende un po’ dai punti di vista) del controllo totale solo un’illusione effimera: ci sarà sempre un modo di agire e di pensare al di fuori degli schemi prestabiliti.

Un dilemma etico non da poco posto nel corso dell’episodio è quello legato alle tecniche mediche pionieristiche che il continuo progresso tecnologico sta inevitabilmente portando con sé. E’ giusto osare e spingersi oltre i limiti finora conosciuti o sarebbe peccare di arroganza, come se l’uomo giocasse a fare Dio? Ciò che nasce con uno scopo nobile potrebbe essere usato per fini più frivoli o addirittura con l’intento di nuocere al prossimo, ma potrebbe al contempo riuscire a salvare decine di migliaia di vite. Dite quel che volete di Minority Report, ma di certo non ci è andato leggero con le tematiche di attualità affrontate, riuscendo comunque ad astenersi, almeno secondo me, dall’esprimere giudizi troppo netti, condannando i metodi, ma non l’ideologia in sé e lasciando ai telespettatori il diritto e l’onere di trovare da soli la risposta al dilemma ideologico di fondo.

Ultima perla di questa puntata densissima: Agatha. Ne parliamo? Ha sfracellato i maroni per nove episodi a chiunque le capitasse a tiro sul fatto che Dash e Vega li avrebbero portati alla rovina e poi è lei la prima a farsi rintracciare come un’imbecille? Io non ho veramente parole, avevo voglia di battere la testa contro il muro.

Detto ciò vi do appuntamento alla prossima settimana con il season/series finale, di cui vi lascio il trailer.

Arthur: “I’m not part of the team […] but I do look after them.”

(Arthur, come potevo dimenticarti anche solo per un episodio!)

 

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Nata come Elisa, fin da bambina dimostra un’inquietante e insopprimibile attrazione per i telefilm e per il bad boy di turno. Le domeniche della sua infanzia le trascorre sfrecciando con Bo e Luke per le stradine polverose della sperduta contea di Hazzard. Gli anni dell’adolescenza scivolano via fra varie serie, senza incontrarne però nessuna che scateni definitivamente il mostro che dorme dentro di lei. L’irreparabile accade quando un’amica le presta i DVD di Roswell: dieci minuti in compagnia di Michael le bastano per perdersi per sempre. Dal primo amore alla follia il passo è breve: in preda a una frenesia inarrestabile comincia a recuperare titoli su titoli, stagioni su stagioni, passando da “Gilmore Girls” fino ad arrivare a serie culto quali “Friends” ed “ER”. Comedy, drama, musical… nessun genere con lei al sicuro. Al momento sta ancora cercando di superare il lutto per la fine di “Sons of Anarchy”, ma potrebbe forse riuscire a consolarsi con il ritorno di Alec in quel di Broadchurch…

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