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Legends of Tomorrow | Recensione 1×13 – Leviathan

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Legends of Tomorrow | Recensione 1×13 – Leviathan
DC's Legends of Tomorrow -- "Leviathan"-- Image LGN113a_0147b.jpg -- Pictured (L-R): Sharon Taylor as Rebel Leader, Brandon Routh as Ray Palmer/Atom and Arthur Darvill as Rip Hunter -- Photo: Dean Buscher/The CW -- © 2016 The CW Network, LLC. All Rights Reserved.

Hola, legends!
Ricordate quell’episodio pieno di azione e coerenza narrativa che speravo arrivasse sui nostri schermi, prima o poi? Ecco, il giorno è giunto! Finalmente una puntata in cui i nostri eroi non hanno incasinato la linea temporale – non più del solito, almeno – e in cui gli eventi non si sono rivelati fini a se stessi. Non mi sembra vero. Non ci speravo più.
Ma andiamo per gradi e, come sempre, analizziamo i personaggi e le situazioni che li hanno visti protagonisti.

Rip Hunter aka l’universo mi odia, quasi quasi erano meglio gli Angeli Piangenti che almeno mia moglie, alla fine, me l’hanno fatta rivedere.
Il mio odio e la mia insofferenza nei confronti di Rip vanno via via ridimensionandosi. Non mi piace detestare a priori un personaggio dal passato così tragico, anche se, parliamoci chiaro, certe scelte da lui prese sono state comunque alquanto discutibili e ingiustificabili.
Numerosi film e serie tv ci hanno regalato una versione un po’ distorta e variabile dei viaggi nel tempo, lasciandoci sostanzialmente con una domanda: fino a che punto è possibile modificare il proprio passato? Non esistendo una risposta univoca alla domanda, non ho potuto fare a meno di chiedermi perché Rip non avesse provato a salvare la famiglia tornando indietro nel tempo a una settimana, un giorno, un’ora prima della loro morte. La risposta arriva puntuale in questo episodio, perché Rip, un Time Masters, un uomo che conosce le implicazioni dei viaggi nel tempo, ha davvero tentato di salvare la sua famiglia, con la conseguenza terribile di vedere i suoi cari morire ogni volta, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Ad un certo punto, riesco a capire la sua stanchezza e la sua mancanza di fede: quando l’universo ti rema contro non hai nemmeno più la forza di sperare che le cose cambino.
Azzeccato risulta quindi l’intervento di Ray – ancora una volta le interazioni tra i personaggi si rivelano l’aspetto meglio costruito dell’intera serie – che, dal canto suo, sa perfettamente cosa significhi combattere contro un destino che pretende che le cose vadano in un certo modo.
A questo punto Rip non può fare altro che affidarsi totalmente al team: ha creato il gruppo, gli ha affidato un compito, e ora deve credere che avranno successo.

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Ray Palmer e Jax Jefferson aka quella volta in cui abbiamo visto una versione di Rocky interpretata dai Transformers.
Tralasciamo subito il #mainagioia che sembra perseguitare il povero Ray.
Tutti sembrano essere colpiti da una maledizione: Kendra è destinata a morire o vedere l’uomo che ama morire; Rip è destinato a vedere morire la propria famiglia over and over again; Ray è destinato al mai ‘na gioia nella sua accezione più pura.
L’origine di questa maledizione? Dobbiamo tornare indietro nel tempo, esattamente dobbiamo tornare indietro di dieci anni, quando Brandon Routh si disse che accettare il ruolo di Superman in Superman Returns fosse un’ottima idea. La maledizione era in agguato, scritta a piè di pagina nel contratto:

non interpreterai altro supereroe all’infuori di questo, pena il mai ‘na gioia perpetuo dei tuoi futuri personaggi, e poco importa che questo film a cui stai consacrando la tua anima sia una merda colossale. Per i poteri conferitimi dalla DC Comics, io ti maledico!

Lo so, sembra assurdo, ma posso assicurarvi che la maledizione esiste davvero! Anche la Marvel ne ha una versione pressoché identica, chiedetelo a Chris Evans. Chiedetegli quante gioie ha avuto Captain America nella sua vita. Ecco, appunto.
Ora, credo che il mai ‘na gioia di Atom sia leggermente più acuto, vuoi per gli eventi, vuoi perché Brandon Routh continua a scontare la vergogna derivante dalla partecipazione a Dylan Dog – disastro mondiale che cerchiamo di dimenticare – in tutta onestà inizia a farmi un po’ pena.

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Non solo passa l’intero episodio a farsi scazzottare da un Power Ranger gigante e lentissimo [piccola nota: ma non sarebbe stato meglio affrontarlo nelle dimensioni ridotte e attraversarlo più e più volte a mo’ di proiettile?] ma quando vince e raggiunge la sua amata, ecco che si sente rivolgere la frase peggiore per eccellenza, quel “dobbiamo parlare” che distrugge sogni e speranze e che, in questo specifico caso, non è che il riassunto del più complesso “il mio ex è vivo, gli ho salvato la vita e volevo stare con te perché pensavo che lui fosse morto, ma dato che è qui ed è vivo… CIAONE”.
Sul serio, c’è un limite alla sfiga che un personaggio può subire.
Quindi propongo una petizione: “date ad Atom una gioia” con allegato “impedite a Brandon Routh di interpretare un altro supereroe”.
Piccola menzione anche per Jax, che passa il tempo ad incitare e incoraggiare Ray, nonostante l’altro sia svenuto e non possa, per ovvie ragioni, sentirlo.
“No Ray, non arrenderti. Alzati Ray.” ma Ray è svenuto.
“Daje Ray, dicevi che la vita è una questione di scelte. Alzati, dai!” e Ray si risveglia e vince.
Insomma, grandi momenti di pathos estremamente casuale.

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Kendra Saunders aka salviamo Carter che già che lo abbiamo perso nel primo episodio fa brutto, e poi lo vogliamo a petto nudo sulla Waverider in versione Padre Natura di Ciao Darwin.
Naturalmente anche Kendra è affetta da una forma spiacevole di mai ‘na gioia, e la comprendiamo. Aspettavo con ansia il ritorno di Carter, e diciamo che la conversazione tra Mick e Kendra era un po’ telefonata sotto questo punto di vista: ogni volta che un personaggio dice all’altro “quando arriverà il momento, riuscirai a fare questa cosa?” e l’altro risponde di sì, ecco che sai già che quel personaggio non ce la farà. E un po’ la conversazione tipo che annuncia il fallimento totale, alla stregua di “non preoccuparti, cara. Non appena finirò questa missione, costruirò la casetta sull’albero per i bambini” che, come tutti sappiamo, è sinonimo di morte prematura.
Ora, Kendra ha preso la decisione giusta? Avrebbe dovuto uccidere Savage? Nì. Insomma, nella mentalità del supereroe, mettere a repentaglio la vita di miliardi di persone per salvarne una sola è molto egoista. D’altro canto uccidere Savage con la consapevolezza di avergli comunque regalato quell’unica e grande vittoria – in fin dei conti, obiettivo di Savage è sempre stato quello di conquistare Kendra o, in mancanza, ferirla attraverso Carter – avrebbe comunque lasciato l’amaro in bocca. E non dimentichiamo che mancano ancora tre episodi al season finale, quindi in questo caso sono #TeamKendra. Dopotutto, hanno Savage sotto chiave e tutto il tempo per capire come risvegliare la coscienza di Carter (disse quella che ha già visto il promo del prossimo episodio…mhe.)
La ricomparsa di Carter porta inevitabilmente con sé dei problemi per la coppia Kendra/Ray. Non so sinceramente cosa aspettarmi… vorrei che Kendra alla fine scegliesse Ray. E no, non lo dico da shipper della coppia, lo dico da fan della serie che non vuole assolutamente sorbirsi questa coppia per un’altra stagione.

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Qualche breve considerazione anche sul resto del team:

Mick, nonostante abbia acquistato ex post una coscienza tutta nuova dai Time Masters, riprende ad ostentare quel tipico comportamento da pazzo criminale che consiste nel tagliare le dita alle persone e spedirle ai padri. Tutto molto bello e delicato, insomma.
Leonard si è trasformato nella bussola morale dello show: è quello che fa riflettere le persone. Fa ricredere la figlia di Savage sulle reali intenzioni del padre e dimostra ancora una volta che non esiste personaggio della serie con cui Snart non abbia affinità sessuale. Deve essere un dono.

Il momento migliore della settimana

Mick Rory e l’amore per i gioielli.

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Con un po’ di ritardo, Legends of Tomorrow torna sui binari giusti. A tre episodi dalla fine, speriamo in molta azione e interessanti colpi di scena. Come sempre, vi lascio con il promo del prossimo episodio.

Alla prossima settimana!

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Classe 1992, messinese, ha viaggiato molto durante la sua vita pur non avendo staccato gli occhi dal computer: ha passato un certo periodo a San Francisco con le sorelle Halliwell e ha frequentato il liceo di Sunnydale; ha bazzicato per un po' al Sacro Cuore, è precipitata su un'isola sconosciuta e ha passato parte dei suoi anni on the road a bordo di una Chevy Impala del '67. Deve alle serie tv la sua felicità attuale e la sua più che certa infelicità futura (sa fin troppo bene di non poter incontrare un Klaus o un Dean Winchester dietro l'angolo, purtroppo). È ossessionata dagli angeli, da Leo di Charmed ad Angemon dei Digimon; da Angel di Buffy (che non è un angelo ma... who cares?) a Castiel di Supernatural, e spera di cuore che arrivi a salvarla dalla perdizione telefilmica, almeno quel tanto che basta da farla laureare senza problemi in tempi accettabili.

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