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I migliori personaggi del 2016

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I migliori personaggi del 2016

Ben ritrovati, Addicted, al secondo appuntamento della nostra rubrica che celebra gli aspetti migliori dell’anno appena passato nel mondo telefilmico, almeno secondo noi dello staff. Oggi scegliamo di soffermarci sui personaggi nella loro individualità, quei protagonisti che con le loro storie e loro gesta ci hanno emozionato, entusiasmato e hanno reso il nostro 2016 memorabile al fianco dei nostri “eroi” seriali. Di seguito quindi, i prescelti di Telefilm Addicted!

Juliana Crain (The Man In The High Castle)

“But you were always you.
You and your unnatural consistent mind […]
a woman who would bet on the best on us,
who bet on people no matter what the world said about who they were”

Ho conosciuto e in seguito ritrovato Juliana Crain alle battute finali del 2016, ma in pochi episodi questo personaggio ha dato senso e valore al mio intero anno da addicted. La sensazione che ho provato guardando la seconda stagione di “The Man In The High Castle” è difficile da spiegare, si è trattato di pura emozione scaturita dall’essenziale e autentica bellezza della serie. È stata per me quasi una forma di estasi catartica che avverti di fronte a un’opera d’arte o a un panorama paesaggistico che si rivela improvvisamente davanti ai tuoi occhi quando meno te lo aspetti. E nonostante siano due i personaggi che più di tutti si sono fatti portatori di questa ondata di sensazioni travolgenti soprattutto nella seconda stagione della serie, scelgo di parlarvi di Juliana Crain perché mi ha colto alla sprovvista più di chiunque altro, in quanto sebbene sia stata la vera costante di una realtà in perenne trasformazione, di un mondo soggetto a continui cambiamenti derivanti da una singola scelta, da una sola decisione in grado di capovolgere le sorti dell’umanità, c’è stato un momento in cui non riuscivo ancora a decifrare il personaggio. Ma quel momento è probabilmente svanito nell’istante in cui l’ho vista chiedere asilo al Greater Reich nazista stanziato a New York. La potenza emotiva di quella scena ha, secondo me, pochi termini di paragone nel 2016. Col senno di poi, con la consapevolezza derivante dal finale di stagione, un momento del genere diventa la chiave di lettura dell’intera serie, ma soprattutto si rivela come il più intimo monito dell’importanza del personaggio di Juliana Crain. In una realtà bipartita in cui entrambi gli schieramenti rappresentano due facce dello stesso incubo, Juliana Crain si ritrova nell’esatto mezzo, minacciata contemporaneamente alle sue spalle e davanti ai suoi occhi, inseguita e ricercata da più forze di quante possa affrontarne un’unica persona, fondamentalmente sola. Ma nonostante tutto, nonostante la possibilità concreta di essere sul punto di vivere i suoi ultimi istanti di vita, Juliana continua a camminare, senza guardarsi indietro, senza fermarsi, fuggendo dalle grinfie di un nemico e cadendo infine in ginocchio sulla linea di confine, per consegnarsi volontariamente tra le fauci di un nuovo nemico dal volto in fondo sconosciuto. Juliana abbraccia la sua missione con pura e profonda dedizione, entra in un mondo più affascinante e coinvolgente di quanto credesse, accetta il cambiamento, le condizioni, le bugie, il pericolo costante eppure riesce ad essere se stessa anche in una realtà o meglio, in un’ideologia che non la rispecchia ma il suo sguardo va anche oltre ciò che il mondo intero vede in quel credo politico, non so come ma Juliana riesce a vedere l’uomo oltre il nazista, riesce a vedere l’umanità anche in quel nome che è diventato nella storia il simbolo dell’intolleranza. Al di là dello spionaggio, al di là delle promesse o degli accordi con la Resistenza, Juliana mostra un’autentica parte di sé anche nella comunità del Reich, mostra compassione, bontà incondizionata, a volte quasi rispetto e affetto per le persone e non per quello in cui credevano. Juliana Crain diventa una spia a tutti gli effetti nella disperata ricerca della chiave che avrebbe cambiato e salvato il suo mondo, non riuscendo mai a rendersi conto di essere lei stessa quella chiave, di essere l’unica in grado di mettere in moto un domino di azioni che avrebbero alla fine evitato una guerra dalle proporzioni esorbitanti. La forza dell’umanità che Juliana dimostra assume sfumature epiche man mano che ci avviciniamo al secondo season finale della serie, nel momento in cui notiamo quanto lei sia l’unico aspetto di quella realtà a non essere mai davvero cambiato, quanto radicata e profonda sia la sua personalità, quanta forza riesca a dimostrare una donna che pochi anni prima, invece, aveva cercato di togliersi la vita perché vittima di un mondo in cui era profondamente e tragicamente sola. Eppure, proprio in quel momento, lei aveva trovato una ragione per rialzarsi, un motivo per sperare ancora. E adesso quella speranza riesce a cambiare e a salvare il suo mondo, la speranza che ci sia del buono anche in un ragazzo malato che merita la possibilità di vivere il suo futuro nonostante cresca nel nome e nel credo di un mostro, la speranza che alla fine l’umana bontà prenderà il sopravvento sull’ideologia. Senza rendersene conto, nell’esatto momento in cui crede di essere soltanto una pedina in un gioco più grande di lei, Juliana scopre di esserne l’unica protagonista, un ruolo in cui ritrova quella solitudine che l’ha quasi annientata precedentemente, ma che adesso invece riporta nella sua vita una presenza che credeva persa per sempre. Juliana Crain è il MIO personaggio del 2016 [Vagonata di Emmy per Alexa Davalos, please] perché in questa così come in tutte le altre possibili realtà, lei non soltanto non cambia il suo modo di essere ma influenza anche tutti coloro con i quali entra in contatto, lottando ogni giorno controcorrente per salvare un’umanità sull’orlo del precipizio.

WalkeRita

Leo Fitz (Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.)

Tra i migliori personaggi del 2016 mi son sentita di aggiungere Leopold Fitz, perché trovo che in questo anno appena trascorso il suo personaggio sia cresciuto molto rispetto alle prime due stagioni dello show.
Personalmente mi riconosco in questo giovane scienziato dello SHIELD come mi è successo poche volte nella mia vita da Telefilm Addicted; al momento direi che è il personaggio che più riesco a comprendere nel suo modo di pensare ed agire, con cui più sono riuscita ad identificarmi, in pratica è il mio spirit animal. Tranne per il fatto che lui è un genio che lavora per lo SHIELD e io ovviamente no.
Il nostro Fitz aveva iniziato come inesperto e innocente ingegnere coinvolto in un rapporto di co-dipendenza e simbiosi con la sua amica del cuore/cotta. Era un ragazzo timido, completamente terrorizzato all’idea di dover usare un’arma e spaventato da qualsiasi tipo di cambiamento, ma è finito col diventare un giovane uomo con una certa esperienza sul campo ormai alle spalle, mostrando molto più coraggio e determinazione di quanto egli stesso pensasse di possedere.

 

E poi diciamocelo, è anche diventato un discreto pezzo di manzo scozzese:

Nel corso di questo 2016 appena trascorso, Leo Fitz ha raggiunto nuovi traguardi, sia dal punto di vista personale che lavorativo: è riuscito a salvare Jemma (l’amore della sua vita) contro ogni previsione, ha messo da parte motivazioni personali per cercare di salvare una persona che avrebbe potuto portargliela via, ha ricostruito il suo rapporto con lei superando una disavventura dopo l’altra e ha ottenuto il suo amore senza farle alcun tipo di pressione. Nel ruolo di ingegnere lo abbiamo visto creare cose fighissime come la protesi e lo scudo olografico in stile Captain America di Coulson e la pistola invisibile, tanto per citarne alcuni.

 

Fitz ha affrontato tutti gli imprevisti e le difficoltà che la vita gli ha fatto trovare sul suo cammino, uscendone sì inevitabilmente segnato, ma anche cresciuto e rafforzato. Il tutto senza però tradire la sua essenza di adorabile, imbranato e sarcastico Grumpy Cat, in perfetto abbinamento con la sua tazza preferita.

Bornwithoutamask

Sansa Stark (Game of Thrones)

Agli inizi di Game of Thrones, mai avrei pensato di ritrovarmi a indicare Sansa come uno dei personaggi migliori del panorama telefilmico.
La giovane ragazza Stark, però, è stata in grado di sorprendermi in svariate occasioni fino a partire dalla seconda stagione e ha intrapreso un processo di maturazione e di crescita personale culminato in questa sesta stagione.
Pur segnata dagli abusi subiti ad opera di Ramsay, Sansa non si è arresa, non si è lasciata schiacciare e, anziché limitarsi a fuggire con la coda fra le gambe, non ha avuto paura di sobillare una ribellione ed è stata pronta a scendere a patti e a lasciare il comando al fratello, nascondendosi nell’ombra e rinunciando a ogni forma di riconoscimento e gloria.

Due scene hanno forse rimarcato maggiormente la maturazione e l’indurimento di questa ragazza, costretta a passare in un soffio dalla fanciullezza ad un’età adulta e cruenta.
La prima è quella in cui Sansa scende in campo accanto a Jon sul campo di battaglia, fronteggiando a testa alta l’uomo che ha passato gli ultimi mesi a umiliarla e ferirla, senza tremare nemmeno di fronte a un immenso esercito schierato in battaglia.
La seconda è senza dubbio quella del suo confronto finale con Ramsay, che mostra un suo nuovo lato, cinico, feroce e assolutamente letale e che la porta forse per la prima volta a prendere attivamente parte al gioco del trono.

Questa nuova Sansa, matura, silenziosa e riflessiva, non fa una piega nemmeno quando i vassalli del nord decidono di ignorare il suo diritto di successione e scelgono invece di eleggere Jon come signore di Grande Inverno e Re del Nord.
Che poi davvero decida di non fare nulla al riguardo, questo è ancora tutto da vedere…

MooNRiSinG

Kate Beckett (Castle)

Mi rendo perfettamente conto che citare Kate Beckett come uno dei migliori personaggi del 2016 sia una scelta controversa, per via del fatto che è innegabile che, quale ne sia la causa – non mi interessa analizzarla in questa sede -, nell’ottava e conclusiva stagione non le è stata fatta giustizia. Si è anzi tentato in tutti i modi di metterla in ombra e di farcela perfino quasi odiare. Perché in primo luogo ha contravvenuto al primo e primordiale comandamento: “I Caskett non potranno mai separarsi nei secoli a venire, amen” e lei, invece, ha osato lasciare Castle per futili motivi (qualsiasi motivo sarebbe stato futile, comma 1.2), proseguendo si è ostinata a dare testardamente la caccia a un karma autoindotto che l’ha quasi distrutta e terzo, perché “You like being broken”. Sento ancora gli squali montarmi in spalla di fronte a questo giudizio lapidario, al quale non si può che rispondere con il garbo che ci contraddistingue: “A tua sorella piacerà essere broken, se proprio”.
Ma nessuno mette Beckett in un angolo (cit.) e quindi sono qui a proclamare ai quattro venti (*batte il pugno sul tavolo) che sì, le è stato indubbiamente fatto un immenso torto narrativo che non verrà mai perdonato, né soprattutto dimenticato (vedo già noi tutti da anziani a guardare i cantieri e ripercorrere in toni coloriti l’assurda ottava stagione di Castle), ma grazie alla sua formidabile personalità che nessun antidoto può far sbiadire in un cantuccio e la sua forza vibrante e indomita, Kate Beckett è stata una delle protagoniste telefilmiche del 2016. E, per me, un esempio.
Solo un personaggio del suo calibro poteva superare le condizioni avverse, la povertà stilistica e creativa e la presenza marginale, rimanendo indimenticabile, amato, e in grado di scatenare eserciti pronti a battersi per regalarle il suo happy ending (che, per inciso, ha avuto. Grazie fandom. Prego, Caterina).
È vero, all’inizio della stagione è sembrata scivolare di nuovo nella sua “ossessione”. Come ho sempre pensato e ripetuto nella recensioni, quando si supera una ferita psicologica di tale portata, che lei sembrava aver affrontato con successo mettendosela alle spalle, non significa (per me e per la  mia esperienza) che la porta sia chiusa e sigillata per sempre. Può succedere, in un movimento a spirale verso l’alto, che qualche aspetto del problema torni a farci visita, anche solo per farci capire se siamo davvero in pace con esso.

Non è una regressione, non è una colpa, soprattutto. Kate Beckett si è trovata nuovamente di fronte al suo demone interiore, che negli anni non aveva semplicemente addomesticato, ma che, anzi, era riuscita a trasformare in forza. Alcune persone, che facevano parte del suo vecchio team a DC, sono morte a causa sua, indirettamente. E, per come si erano messe le cose, nessuno si sarebbe occupato del vero colpevole. Possiamo veramente credere che Beckett se ne sarebbe stata in disparte a godersi la sua vita, lasciando libero nel mondo un cattivo tanto potente? Non sarebbe stato giusto, e non sarebbe stato conforme agli insegnamenti di sua madre.

Sicuramente si è immersa a spron battuto nella sua nuova missione di giustizia nel suo solito modo dicotomico di vedere la realtà, che le fa perdere di vista le sfumature e le soluzioni più semplici (fingere la separazione insieme a Castle), ma non mi sento di dire che si sia trattato di “ossessione”. Non poteva fare altrimenti, se avesse voluto continuare a essere quel personaggio che ha fatto dell’integrità e della giustizia i pilastri fondamentali della sua vita. Inoltre, invece di andare avanti a dare testate di ariete ai portoni, si è resa conto molto in fretta che aveva bisogno di suo marito. Ha capito l’importanza dell’unità entro la quale vanno a includersi due persone che si amano e che spazza qualsiasi altra considerazione.

Non è andata blaterando in giro che “It’s my life, Castle. Mine. You don’t get to decide”, cacciandolo fuori dal suo appartamento e dalla sua vita. Ha tentato di proteggerlo, animata da buone intenzioni, ha cercato di amarlo comunque, dalla distanza che alla quale si era costretta, e che la faceva soffrire tanto quanto lui e, alla fine, ha capito di aver sbagliato. E lo ha ammesso. Da lì in avanti è riuscita a godersi la felicità coniugale e ad aprirsi a una nuova condivisione, a un nuovo e più profondo significato di “noi”. Certo, avrebbe potuto capirlo prima, agire diversamente, essere meno muflone. Ma Kate Beckett non ha mai voluto mostrarsi perfetta. Ha sempre però avuto il coraggio di farsi carico delle sue imperfezioni per migliorare se stessa, grazie a un duro lavoro di analisi interiore, per raggiungere quella felicità che doveva solo convincersi di meritare.
Quindi, sì, per me la parabola di Kate Beckett nel 2016 è stata esemplare e significativa. Non smetterò mai di essere grata per ogni singolo insegnamento che mi ha lasciato. Lov u, Beckett.
   
Syl

Lenny Belardo (The Young Pope)

We love God because it is so painful to love other men and women. You and I have renounced our fellow men, and women, because we don’t want to suffer, because we’re incapable of withstanding the heartbreak of love.

Because we’re unhappy. Because we’re cowards.  Like all priests and all nuns

Quando penso ai migliori personaggi di quest’anno appena passato la mia mente viaggia inevitabilmente a varie figure che hanno animato il 2016 e tra queste spicca fortemente quella di Lenny Belardo. Apparso sullo schermo per la prima volta proprio in questi ultimi mesi, in soli 10 episodi, questo complesso, combattuto, inafferrabile personaggio è riuscito di prepotenza a catturare la mia attenzione.

Lenny Belardo è the Young Pope, il giovane e all’apparenza mite cardinale eletto a pontefice della chiesa che Paolo Sorrentino ha voluto creare per la sua serie. Un religioso americano, abbandonato dai genitori in tenera età e scelto per ricoprire la posizione di Papa per essere manovrato a proprio piacimento. Questa è la breve descrizione OGGETTIVA che si può dare di questo personaggio, questa è forse anche l’unica cosa di cui son assolutamente sicura quando si parla del protagonista di una delle serie meglio riuscite e più interessanti uscite lo scorso anno.

Ma Lenny è molto, MOLTO più di questo. Lenny è un intero mondo. Lenny è Pio XIII, è un bambino che soffre per l’abbandono dei genitori, è un uomo manipolatore, è forte, è fragile, è imperscrutabile e inattaccabile ma allo stesso tempo si lascia spesso andare alle sue paure, ai suoi sentimenti. Lenny è un uomo di chiesa che pare non credere in Dio ma il suo mondo ruota intorno alla sua figura, non vuole farsi vedere ai suoi fedeli, ne farsi fotografare, vuole restare nel mistero. Appare come cinico, disinteressato, controverso e oscuro, ma anche buono, caritatevole, indifeso. E vi chiederete, come può un personaggio essere tutte queste cose insieme? Bene, NON LO SO.

Se c’è una cosa che mi ha colpito di The Young Pope è proprio il fatto che per più della metà della stagione Lenny è per me SEMPRE stato un mistero. Era una contraddizione vivente, faceva del bene e allo stesso tempo del “male”, non mi pareva ragionare nel modo corretto, non riuscivo a comprendere alcune delle azioni che compiva, si mostrava forte, deciso, potente e allo stesso tempo faceva vedere a pochi altri personaggi un lato di sé che non pareva potesse esistere. Penso di aver cominciato a capire veramente Lenny nel corso degli ultime puntate, e allo stesso tempo quel personaggio che mi ritrovavo davanti non era lo stesso che era apparso in apertura di pilot. Il giovane Papa era cambiato, era mutato, si era fatto plasmare dagli eventi ma allo stesso tempo aveva conservato se stesso, semplicemente ci erano mostrati alcuni lati della sua persona per avere, solo nel finale, un quadro completo del GRANDISSIMO PERSONAGGIO che ci ritrovavamo ora davanti.

Dobbiamo assolutamente ringraziare Jude Law per una delle interpretazioni migliori della sua carriera, per aver creato un personaggio così profondo e complesso in grado di smuovere qualcosa nelle persone, in grado di farci dubitare delle nostre stesse convinzioni. Jude Law da vita ad personaggio che difficilmente sarà dimenticato per quanto REALE davvero sia. Perché Lenny è sì, il Papa, e detiene grande potere, ma allo stesso tempo Lenny è umano. Commette degli errori, ha una propria personalità, un proprio carattere, ha dei sentimenti e delle emozioni contro le quali combatte ogni giorno.

A priest never grows up, because he can never become a father. He’ll always be a son.

Lenny Belardo è solo un giovane uomo malinconico che ama, che soffre, che lotta contro i propri demoni, contro il proprio passato, contro un abbandono e una vita difficile, ed allo stesso tempo ci viene quasi rappresentato come un santo, un uomo in grado di compiere miracoli e azioni incredibili. La sua crescita è lenta, graduale ma POTENTE, Lenny passa da pecora smarrita, da inesperto Papa che allontana i fedeli e si inimica buona parte del clero, bisognoso di una figura amica e materna al suo fianco come quello di Sister Mary, a vera e propria GUIDA della Chiesa, in grado di portare sulle spalle il peso delle proprie decisioni, della sua casa, conquistandosi il rispetto, il supporto e l’amore delle persone che gli stanno intorno.

Lenny è TUTTO e NIENTE, lo si AMA o lo si ODIA (per poi tornare ad amarlo nella scena successiva), una grande contraddizione in grado di conquistare con la profondità dei propri discorsi, dei propri pensieri e la complessità del proprio Io, l’attenzione e il favore del pubblico con il proseguire della serie. Insomma, per me, Lenny Belardo è stata la vera RIVELAZIONE del 2016.

Claw  

Miss Quill (Class)

“Whoever you are, I am what waits for you and I am war itself”

 
 

Class” era un’incognita per me, un dubbio talmente di spessore che in tutta onestà, in un primo momento avevo anche scartato la possibilità di guardarlo. In seguito però la curiosità cominciò a prendere il sopravvento e l’idea che questo ultimo spin-off del “whoniverse” fosse ambientato alla Coal Hill aveva indubbiamente il suo fascino e una presa a cui non opposi in fondo neanche troppa resistenza per evidenti ragioni “personali”. Ma i trailer ufficiali delle serie tv sono creature infime e subdole perché non appena si rendono conto che stai abbassando la guardia, ti colpiscono nel punto più debole e ti precludono ogni potenziale via di fuga. E infatti prima ancora di capire o conoscere le dinamiche della serie e dei suoi protagonisti, mi bastò ascoltare quella frase trascritta all’inizio del mio pezzo per accorgermi che avevo già perso la testa per un’altra insegnante della Coal Hill Academy [tutte così in quella scuola eh?]. In realtà, adoro ripensare o riguardare i trailer quando la stagione è ormai terminata perché riesci davvero a capire se effettivamente quel promo sia stato la presentazione migliore che si potesse fare della serie e per quanto riguarda “Class” ma soprattutto per ciò che concerne il personaggio di cui mi accingo a parlare, io credo che non potesse essere operata selezione migliore sia delle scene che delle parole dal momento che non penso si possa descrivere Miss Quill con maggiore totalità e consapevolezza di quanto faccia quella sua stessa citazione. Beh, ci sarebbe anche “Leave us, we are DECORATING” che è piuttosto iconica ma temo che il posto più alto del podio sia ormai occupato.

E lo è perché quelle parole descrivono perfettamente l’autentica essenza del personaggio, ma solo alla fine della prima stagione puoi davvero capire QUANTO questa affermazione sia vera. Miss Quill è fondamentalmente una guerriera, è l’anima stessa della guerra, è la personificazione dell’ideale, giusto o sbagliato che sia, è la testimonianza più profonda delle ragioni e delle conseguenze, entrambi aspetti che miss Quill accetta e abbraccia con passione, ira, stoicismo.


Oltre il suo cinismo irresistibile, al di là di quel fascino senza paragoni e della scarsa sopportazione del genere umano (come darle torto!), miss Quill è un personaggio dalla profondità talmente sconfinata da diventare, episodio dopo episodio, DEGNA di far parte del mondo di “Doctor Who”, con tutte le carte in tavola per entrare di diritto anche in quel TARDIS a cui si era quasi avvinghiata nel pilot nella speranza di fuggire dalla sua “prigione” sulla Terra [tipico delle insegnanti della Coal Hill, non possono vedere un TARDIS che perdono la testa!].

Per quanto credo che si possa evidentemente parlare di colpo di fulmine, ciò che più ho amato di questo personaggio è stato proprio conoscerlo, capirlo, girarci intorno come con una statua a tutto tondo, perché in lei mi sembrava di riconoscere sfumature e sfaccettature emotive troppo evidenti per non essere un promemoria di colui che era esattamente come lei e che adesso non è più. Se infatti dal punto di vista del carattere, miss Quill appare adorabilmente simile a Missy e alla sua stravaganza, credo che più intimamente lei condivida con il Dottore il suo momento più difficile, il suo errore più grande, il suo lato più oscuro. Mentre Charlie rappresenta forse ciò che lui è diventato in seguito, durante quel percorso di guarigione che le sue companion hanno preparato per lui, miss Quill incarna ciò che il Dottore è stato durante l’ultima Guerra del Tempo. Appartenente anche lei a una razza nata per combattere, miss Quill in fondo non ha mai conosciuto altri obiettivi nella sua vita, non ha mai creduto di essere destinata ad altro se non alla guerra, una guerra giusta ai suoi occhi (e quando non lo è), una guerra per liberare il suo popolo dall’oppressione e dalla schiavitù imposta dai Rhodia, una guerra in cui ucciderne 100 per salvarne 1000 è per lei un sacrificio probabilmente necessario. Ma proprio come è successo al Dottore, le ferite che quella guerra ha lasciato su di lei sono più profonde e ancora vive di quanto le sue cicatrici sembrano suggerire.

La rabbia incandescente, la vendetta come unica missione rimanente, il dolore lancinante chiuso in una scatola per evitare che la distrugga, sono tutti aspetti ed emozioni facili da riconoscere per chi come noi le ha già viste e vissute con “l’ultimo” Signore del Tempo, ma ciò che più mi spinge a provare empatia, trasporto e affetto per miss Quill è notare quanto purtroppo lei non abbia avuto la sua stessa fortuna di incontrare sulla sua strada una “Rose” che le permettesse di guarire o una “Clara” che le impedisse di compiere i suoi errori e che le mostrasse un’altra possibilità. Miss Quill non ha avuto altre possibilità, è stata sola ad affrontare la sua ultima guerra, e proprio in quella guerra si è riconosciuta pienamente.

Quando Miss Quill afferma “I am War itself”, lei si definisce meglio di quanto possa mai fare chiunque altro, ma il modo in cui incarna l’essenza della guerra è quasi d’altri tempi, sembra quasi appartenere a una cultura samurai, perché in lei sopravvive il rispetto per la battaglia, la lealtà per il compagno, l’onore più profondo per lo sconfitto e per la sconfitta, tutti lati che mostra apertamente nel suo rapporto con Ballon, che rifiuta di combattere se fino a pochi minuti prima aveva lottato al suo fianco e lo aveva amato. Miss Quill è l’emblema di quella che è l’ideologia della guerra, ma conoscendola ti rendi conto inevitabilmente di quanto lei sia anche molto di più di questo.

 

Nonostante sembri detestare quei ragazzi con cui il Dottore l’ha praticamente intrappolata, nonostante quasi disprezzi la sua vita sulla Terra e soprattutto a scuola, a volte sembra quasi che anche lei, intimamente, ammetta di non voler essere definita soltanto tramite quella guerra che la riempie ma di poter essere guardata magari come Ram, Charlie, April, Matteusz e Tanya guardano l’un l’altra, tornando a far parte magari di un gruppo, di una squadra, come lo erano i Quill sul suo pianeta. Più afferma di volersene liberare, più miss Quill si ritrova a salvare la vita di quei ragazzi, anche di colui che rappresenta tutto ciò che più detesta e in un certo qual modo secondo me cresce dentro di lei una primitiva forma di rispetto, per il coraggio che dimostrano ogni giorno, per i sentimenti che abbracciano anche quando sanno con certezza che faranno male, per la forza che hanno nel rialzarsi dopo ogni caduta.

In April riconosce la responsabilità [“April is in charge, of course”], di Tanya non può fare a meno di ammirare la ribelle determinazione, e persino di Charlie riconosce il simile, tragico destino, soprattutto nei momenti finali in cui lui diventa effettivamente più simile a lei di quanto abbia mai voluto.



8 episodi (o forse è bastato solo un promo) e miss Quill si è imposta come uno dei MIEI personaggi preferiti del 2016 perché è sempre di più di quanto mostri eppure ciò che ti mostra è già abbastanza, è travolgente ed è unico nel suo genere. E in tutto questo, giù il cappello per un’interpretazione sempre geniale, sempre sublime di un’inedita (per me) Katherine Kelly che possiede la scena in modo magistrale.



WalkeRita

Lucifer Morningstar (Lucifer)

Ebbene ragazzi, come si suol dire in quel poco famoso libro che è la Bibbia, “gli ultimi saranno i primi” e niente, direi che questa cade proprio a fagiolo, ma non credo che chi sta ai piani alti apprezzerà l’accoppiamento proprio di questa frase a colui che rappresenta il Signore degli Inferi; ma cosa ve lo dico a fare, se avete visto Lucifer non potrete che concordare con me.

Attenzione, alcune immagini potrebbero essere spoiler se non avete visto la seconda stagione!

Ora, lo ammetto, il fatto che Tom Ellis sia un figo da PAURA (no, non PAURA perché è Lucifero, no no, semplicemente perché è davvero INCREDIBILMENTE SEDUCENTE) non ha in alcun modo influenzato il mio giudizio quindi non saltate a conclusioni affrettate (credeteci proprio, ma dico io, l’avete visto?!?).

Questa prima parte di stagione, la seconda, ha tirato fuori – molto più della precedente – la componente emotiva di Lucifer: una creatura potente, forse seconda solo a Dio in questo, ma che ha saputo trasmettere (almeno a me) tutta la sua debolezza interiore, tutta la sua UMANITA’.

Lucifer ci è sempre stato presentato come ironico, ma proprio dietro alla sua ironia ha sempre nascosto i suoi reali sentimenti. TUTTI. Sicuramente il suo essere poco avvezzo ai modi “umani” lo rende unico e un po’ naif, strambo perfino: lui sta imparando, piano piano sta immagazzinando informazioni, dettagli, sta VIVENDO. E in questo suo percorso si sta auto-psicoanalizzando: certo, lui va apposta da Linda la psicologa, ma se ci avete fatto caso lui ogni volta prende quello che gli serve e lo rielabora con i fatti del suo passato, ed è solo a fine giornata che, sempre lui, torna dal suo “dottore” a dirle quello che finalmente ha capito con l’esperienza vissuta; poco importa se era quello che lei gli aveva detto qualche ora prima (senza ovviamente colpire nel segno in quel momento).

Lucifer è come un neonato: impara con l’esperienza diretta. E questo è meraviglioso, ci permette di vivere insieme a lui, di vedere la sua personalità che cambia forma, il suo carattere che si plasma; ma un angelo millenario parte già da un retaggio storico bello corposo, per questo quello che succede è che vediamo il nostro amato primo peccatore e “punisher” CAPIRSI E LEGGERSI DENTRO. Certo, la maggior parte delle volte non in modo diretto.

E allora diciamocelo, quello che ognuno di noi vuole è essere amato, e amare. Lucifer incluso. Ed è bellissimo scoprirlo insieme a lui. Cosa vuol dire essere amato? Vuol dire avere qualcuno che crede in te, che ti vede per quello che sei e TI PRENDE LO STESSO, TI SCEGLIE NONOSTANTE I TUOI DIFETTI, PERCHE’ IN FONDO GLI VANNO UN PO’ BENE ANCHE QUELLI. E questo è esattamente quello di cui ha bisogno Lucifer, non a caso la sua paura più grande è mostrarsi a Chloe per colui che davvero è, perché lei è riuscita a leggergli dentro, come potrebbe reagire sapendo CHI LUI E’ DAVVERO?

Ma la differenza non dovrebbe essere proprio questa? Lei lo conosce, lei ha imparato a fidarsi di lui e io non credo che l’identità di Lucifer le farebbe cambiare la sua percezione di lui. E nemmeno il vedere il suo aspetto. Spero. Insomma dai, non può che essere così. Certo, diciamo anche che dopo la bomba sganciata nel midseason sull’identità di Chloe…tutto può essere. PURTROPPO.

E insomma, la verità è che quando ti lasciano con un finale così…con il tuo personaggio preferito che FORSE, e dico FORSE, si sta lasciando andare ai SENTIMENTI, non puoi che gridare “AVADA AFFANCULO Bloody Hell” e prendere a testate il muro. Detto questo, se ancora non avete visto la serie, correte a vederla, vi farà amare la Stella del Mattino.

– gnappies_mari

E invece, quali sono stati i vostri personaggi preferiti in questo 2016 seriale? Correte a dircelo nei commenti, non vediamo l’ora di scoprire se alcuni dei nostri preferiti sono anche i vostri!

1 COMMENT

  1. Ma quale scelta controversa, non scherziamo! Al contrario, nonostante l’abbiano appunto penalizzato e mica poco, il personaggio ne è uscito alla grande, infischiandosene delle porcherie che le hanno affibbiato e che avrebbero dovuto in qualche modo limitarlo.
    Anche e soprattutto grazie all’immensa interprete. Non comincio neanche a magnificare la bravura artistica di Stana (mi scusi, signora, posso chiamarla confidenzialmente così?) altrimenti non la finisco più.
    Ormai ne ho la certezza: quei due lì mi mancheranno troppo. Sempre.

    Caskett, dove siete?

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