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I 10 show che ci mancano di più

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I 10 show che ci mancano di più

Perdere una serie tv è sempre traumatico per noi addicted. A volte ci lasciano troppo presto [ah, sono sempre i migliori ad andarsene!], non concedendoci neanche il tempo di crescere al loro fianco, altre volte compiono il percorso più adatto a loro e lasciano la scena da protagonisti, consapevoli di aver scritto una pagina importante nella storia delle serie tv. Che siano meteore o supernova, che abbiano avuto 1 o 8 stagioni, che siano terminate da un anno o dieci, tutti questi show hanno un aspetto in comune ed è che in fondo non finiranno mai per davvero fin quando resteranno vivi nel nostro animo da addicted.

Io, Syl e WalkeRita abbiamo quindi deciso di presentarvi una nostra personalissima selezione delle 10 serie tv di cui più sentiamo la mancanza e per cui saremmo disposte ad accordarci con Lucifer e Rumplestiltskin pur di riaverle indietro!

Dawson’s Creek

Ainouannaweiiiii! Devo ammetterlo, ogni tanto lo sento ancora echeggiare nel cuore della notte. Prima di Gossip Girl e prima di O.C. c’erano loro, i figli della serva, i cugini pezzenti relegati a marcire in una puzzolentissima palude che avrebbe richiesto una bonifica e una disinfestazione massiccia (quanti episodi passati a sperare che un alligatore zompasse fuori dall’acqua e divorasse Joey mentre remava su quella stramaledetta barchetta, avrebbe risparmiato a tutti anni di patemi e preoccupazioni).
Infarcito di tira e molla, triangoli e struggimenti random, questo telefilm ha rappresentato una pietra miliare nell’educazione sentimentale di buona parte della mia generazione… c’è da meravigliarsi, poi, se siamo cresciuti emotivamente instabili e disturbati?
Eppure un po’ ancora mi mancano i pomeriggi passati stravaccata sul divano a insultare i personaggi per la loro evidente incapacità di intendere e di volere, la voglia di prendere a schiaffi quel gatto nero attaccato ai maroni di Joey ogni volta che si atteggiava con una delle sue smorfiette e i tentativi di capire la psicologia contorta e indubbiamente masochista di Dawson… che sia diventata un po’ masochista pure io?

Buffy/Angel

Li metto insieme perché alla fine sono un po’ figli della stessa parrocchia, con personaggi che saltellavano dall’uno all’altro con la scioltezza di un campione olimpionico.
Buffy è stato forse il primo telefilm a riuscire a fondere con successo due generi tanto diversi, il teen drama e l’horror, ed è probabilmente a lui che dobbiamo l’esistenza di show come The Vampire Diaries e Teen Wolf.
Di questo show mi manca la commistione di tematiche affrontata con naturalezza e leggerezza, senza mai cercare di darsi troppa importanza, pur senza rinunciare a una trama orizzontale spesso valida e appassionante (magari stenderei un velo pietoso su Adam e sull’Iniziativa).

Il discorso è decisamente diverso per Angel, che fin dai primi episodi ha dimostrato di essere orientato in una direzione decisamente più dark e matura rispetto alla serie che l’aveva generato, forse per soddisfare quei fan che insieme a Buffy ci stavano praticamente crescendo.
Il punto di forza di Angel è rappresentato, a mio parere, dall’intensità e dalla forza della caratterizzazione dei singoli personaggi e delle relazioni intrecciate fra di loro. Impossibile dimenticare la struggente storia fra Wesley e Fred e il successivo rapporto conflittuale dell’uomo con Illyria, così diversa eppure per certi versi così odiosamente somigliante alla donna amata. Il mio cuore ancora soffre per queste ship devastate e devastanti e penso che nessun telefilm riuscirà a ridurmi di nuovo in simile stato di annientamento (leggi Ondeggiare sul posto per ore rifiutando di ammettere che la scena a cui si è appena assistito sia reale).

Scrubs

Devo ammetterlo, all’epoca seguii Scrubs in maniera molto frammentaria e discontinua. Ultimamente, complice la passione del mio ragazzo per la serie, mi sono concessa di recuperarlo come si conviene con una folle supermaratona che mi ha impegnato per parecchie settimane.

Che posso dire? Posso dire che ho amato ogni singolo secondo e sfumatura, ogni battuta, ogni momento nonsense e ogni malinconia. Proprio questo è, secondo me, il vero punto di forza di Scrubs, quello che a distanza di anni fa ancora inclinare la testa ai fan come avrebbe fatto J.D. per perdersi nelle fantasticherie e nella nostalgia, quel suo sapere accostare momenti di un’ilarità devastante a piccoli, interminabili istanti in grado di toccarti profondamente e di farti piangere come una fontana (le due puntate finali mi hanno letteralmente drenata).

Nel corso degli episodi, abbiamo accompagnato il dottor Dorian nella sua crescita tanto professionale quanto emotiva, abbiamo goduto dell’amicizia vera con Turk e Carla e dell’amore estenuante e splendidamente imperfetto con Elliot, abbiamo assistito alla forza di un’amicizia che se ne frega di battute e pregiudizi e abbiamo imparato che le scelte giuste sono, spesso e volentieri, le più difficili.

Per questo mi mancherà Scrubs, anche se in maniera postuma, per questo suo addolcire ogni sconfitta con una piccola vittoria o con una nuova lezione da imparare, per il coraggio di credere in se stessi contro tutto e tutti e di decidere di aprirsi agli altri, per quanto spaventoso possa sembrare.

Firefly

“Take my love, take my land.
Take me where I cannot stand.
I don’t care, I’m still free.
You can’t take the sky from me.”

Con queste parole aveva inizio, ormai quasi quindici anni fa, la ballata che faceva da apertura a Firefly, una serie verso cui i fan, nonostante sia passato davvero molto tempo e gli episodi andati in onda all’epoca fossero solo quattordici, mostrano ancora oggi un attaccamento che si potrebbe solo definire feroce.

Joss Whedon, reduce dai successi di Buffy ed Angel, aveva avuto la fortuna incredibile di riunire sotto la stessa bandiera un cast meraviglioso e assolutamente azzeccato, comprendente nomi che, a distanza di anni, sono diventati figure assolutamente di spicco nel panorama telefilmico americano (Nathan Fillion e Morena Baccarin, tanto per citarne due).
Le storie sono incentrate sulle avventure dell’equipaggio della Serenity, una nave da trasporto di classe Firefly, impegnato di volta in volta in traffici più o meno leciti e dall’etica discutibile. Gli episodi non risultano mai noiosi e le parti di azioni sono molto ben bilanciate da una componente umoristica molto spiccata.

Il perché questa serie sia fallita rimane ancora oggi un piccolo, grande mistero, ma gli spettatori hanno avuto almeno la soddisfazione di vedergli dare un finale più o meno degno grazie alla pellicola cinematografica Serenity, creata proprio per dare una chiusura a tutti quegli appassionati che erano rimasti con la curiosità di scoprire il mistero celato dietro alla strana e impenetrabile River.

Chiusura o meno, se annunciassero un revival anche domani penso che correrei in strada urlando al miracolo… sì, Netflix, mi hai sentita, sto parlando proprio con te!

 

Forever

Forever è l’esempio classico di un telefilm molto sfortunato. In sintesi, non gliene è andata bene una. Prima di tutto il network l’ha pubblicizzato sperando di utilizzare il fandom di Castle, azione sempre molto sottovalutata (o sopravvalutata, a seconda) da ABC e che non porta storicamente mai a niente di buono. Poi ha scelto, per farlo debuttare, il lunedì di settembre tradizionalmente assegnato alla premiere di Castle, per l’appunto. Si trattava inoltre di telefilm molto simili (se guardate il pilot moltissimi elementi, inquadrature e dialoghi sono identici, poi per fortuna Forever si è sviluppato in autonomia): due procedurali fatti della stessa sostanza che vedevano al centro dell’azione la coppia formata da una detective by the book ligia al dovere e con un passato doloroso e un componente maschile piuttosto sui generis, molto affascinante e carismatico. A New York.

Si aggiunga anche il fatto che due prodotti con delle premesse molto simili andavano in onda in due giorni contigui. Con il tempo, hanno iniziato a divergere, fino a diventare due prodotti distinti, ma credo che il problema sia che la gente non abbia voluto dargli una chance, fin dall’inizio. Nonostante questo, io continuo a pensare che sia stata una clamorosa occasione sprecata. La storia era intrigante, il personaggio di Henry decisamente interessante e il rapporto con Abe la carta vincente dello show, insieme all’idea di base dell’immortalità del protagonista, che hanno saputo gestire senza far diventare ridondante il ciclo di morte e rinascita. Ioan Gruffudd ha saputo dare al suo personaggio grande spessore, distinzione ed enorme signorilità. Nonostante gli ascolti bassi (ascolti che adesso ABC pagherebbe per avere), la cancellazione mi ha colto di sorpresa e mi ha lasciato un po’ di amarezza, che provo ancora. Non meritava di essere falciato in modo tanto impietoso. Era un telefilm di ottima qualità e di enormi potenzialità.

Life Unexpected

life-unexpectedLife Unexpected era un gioiellino. Ovviamente, come tale ha subito la sorte che di norma colpisce telefilm gentili e carini: il colpo di scure è arrivato dopo due sole stagioni, riuscendo comunque a regalarci un finale affrettato, ma almeno dotato di senso, tutto sommato. Era la prima volta che vedevo sullo schermo Kris Polaha e Shiri Appleby (mentre il resto del mondo la conosceva già dai tempi di Roswell) e sono rimasta incantata dalla loro straordinaria chimica, anche se ai tempi non conoscevo ancora la giusta definizione tecnica, mi limitavo a pensare: “Ma come sono carini, dovrebbero mettersi insieme” (certo, come se la maledizione WillTheyWont’They non fosse una delle Leggi Universali dei Telefilm. Ero ancora naïve, ai tempi). Non avevo ancora nemmeno scoperto che Kris Polaha è un attore poliedrico che riesce ad avere chimica con qualsiasi partner gli si metta accanto ed è anche molto galante e gentile (fine momento fangirl) e non potevo ancora sapere che Shiri Appleby avrebbe mostrato il suo notevole talento in UnREAL, davanti e dietro la macchina da presa. Per me erano, e saranno sempre Cate e Baze (più un terzo incomodo che non ricordo nemmeno come si chiamasse, tanto non è importante), a cui la vita viene sconvolta da un’adolescente volitiva e testarda che non è niente di meno che la loro figlia data in adozione da neonata, frutto di un “errore giovanile”. Amavo l’atmosfera da “dramma familiare classico” in cui accadono cose spiacevoli, o semplicemente la vita, ma dove tutti i personaggi, con i loro difetti e i punti di forza, si mettono in gioco per risolvere i problemi, rimediare agli errori, con umanità, vari gradi di consapevolezza e con l’intento di fare del proprio meglio per far star bene tutti. Mi manca il loro rapporto, avrei voluto continuare a vedere la costruzione di loro tre come famiglia e, soprattutto, mi manca l’Open Bar di Baze. E Baze, ovviamente.

Pan Am

So benissimo che questo telefilm l’avrò guardato solo io, ma è il primo che mi è venuto in mente vista l’impossibilità di citare Castle in questo articolo, dopo averlo già inserito nella lista di telefilm rimpianti, conclusi nel 2016 (qui).
Pan Am è stato uno show che a me è piaciuto molto e che ho seguito con interesse. Nemmeno da dire che è stato rimosso dopo un’unica stagione, anche perché andato in onda su ABC, dove o sei Shonda o non sei nessuno, ma io ancora non lo sapevo. Tra l’altro l’ho seguito nella programmazione italiana (erano sempre i tempi in cui avevo una vita e non mi facevo spezzare il cuore alzavo all’alba per essere in pari) e hanno anche fatto confusione con l’ordine delle puntate, per cui a un certo punto non si è più capito nulla. Come suggerisce il titolo, il telefilm trattava della migliore compagnia aerea presente sul mercato, con il suo equipaggio appositamente scelto tra giovani beneducati e di bell’aspetto. Erano tempi in cui oltre a essere un servizio e una necessità, viaggiare in aereo era un lusso e quasi un’avventura.

Ho apprezzato soprattutto l’ambientazione storica negli anni ’60, epoca pre-femminista, in cui scegliere di diventare hostess era per le donne quasi un atto di ribellione contro le aspettative conservatrici e borghesi della propria famiglia e della società, e anche un modo per uscire da una realtà ristretta e avere l’opportunità di vedere il mondo. È proprio quello che accade a Laura, che decide di intraprendere questa strada per sfuggire a un matrimonio indesiderato e alla presenza ingombrante di una madre autoritaria, seguendo le orme dell’emancipata sorella Kate. Nonostante sia l’ultima arrivata, viene scelta per apparire sulla copertina della rivista Life, diventando in breve il volto della Pan Am in tutto il mondo. (Sulla sorella non voglio spoilerare, ma ha una storyline inaspettata e molto intrigante). Tra tutti i componenti dell’equipaggio ricordo sempre con piacere Ted, interpretato da Michael Mosley, co-pilota congedato dalla Marina per colpa di un incidente aereo che ne ha compromesso la brillante carriera. Nonostante l’abbia rivisto con piacere nei temibili panni del triplo omicida in Castle, per me Mosley sarà sempre il pilota più interessante di Pan Am, il che, capirete, ha decisamente reso weird la visione delle puntate di Castle dedicate a questa storyline, tenendo conto di quanto l’attore sia stato bravo a interpretare uno dei migliori villain della storia televisiva. Tra gli altri attori vorrei citare Christina Ricci, Colin Donnel (Tommy di Arrow) e Goran Višnjić (dottor Kovac di Er).

 

Revenge

Di Revenge mi mancano tanti aspetti. Mi manca vedere Emily VanCamp ogni settimana sul mio schermo dopo averla seguita praticamente no-stop tra Everwood, Brothers & Sisters e infine proprio Revenge; mi manca Jack Porter, la sua lealtà, lo sguardo buono, il coraggio, l’amore costante per Amanda, Emily e per qualunque nome lei scegliesse di portare; mi mancano Nolan e i nolanismi, le perle di saggezza dispensate con parsimonia al contrario dei colori pastello dei suoi costumi indossati senza moderazione; ma ciò che più mi manca da quasi due anni ormai è l’attesa, mi manca aspettare il ritorno di Revenge ogni settembre. Nonostante abbia avuto un percorso relativamente breve, nonostante gli alti e i bassi che la serie abbia inevitabilmente riscontrato, Revenge era diventato una delle mie tradizioni preferite, uno dei motivi principali per cui valeva davvero la pena auspicare l’arrivo dell’autunno con un countdown degno dell’autorità dei lanci spaziali della NASA. Questo perché Revenge infatti aveva la “graziosa” abitudine di terminare ogni sua stagione con il miglior cliffhanger che si possa immaginare, sapeva bene come rialzare le sorti di una stagione magari a tratti debole ma che nell’ultimo episodio si riappropriava di tutte quelle caratteristiche che avevano reso lo show un’autentica … Addiction e che riuscivano a lasciarti in balia di talmente tante domande, dubbi e feels da rendere i quattro mesi successivi un vero incubo. E in un atteggiamento quasi masochistico, era proprio questo che più mi entusiasmava e di cui più ho nostalgia, quella sensazione elettrizzante derivata dall’attesa, dalla bramosia del primo promo (e quelli di Revenge erano sempre i migliori), dalle prime scene, dalla consapevolezza che giorno dopo giorno si avvicinava il ritorno di Emily Thorne. Ogni settembre, ancora oggi, io avverto la mancanza di Revenge, della serie che più aspettavo, dello show che, per quanto potesse farmi sbraitare, emozionare e infuriare, non vedevo l’ora che tornasse perché il suo fascino era ormai la tentazione a cui non volevo resistere.

 

 SMASH

“Just give them Big Finish
and leave them wanting more …”

Smash” rappresenta per me uno dei più grandi rimpianti del mondo seriale perché poteva scrivere una pagina inedita nella storia del suo genere e invece si è trasformato, davanti agli occhi di tutti, in una meteora condannata a cadere facilmente nel dimenticatoio. Personalmente ho sempre creduto che lo show fosse nato sotto la “buona stella”, una stella di nome Steven Spielberg (nel ruolo di uno dei produttori esecutivi dello show) che aveva forse intuito l’incredibile potenziale che la serie aveva mostrato nelle sue premesse, ma con una rapida parabola discendente purtroppo, complici decisioni sbagliate e una buona dose di sfiducia da parte di una NBC all’epoca pronta a cancellare più di un Cyberman, “Smash” si è rivelato ben presto in tutte le sue debolezze strutturali, scivolando rovinosamente verso la sua fine dopo sole due stagioni. Il valore più grande che a mio parere quella serie ha dimostrato l’ho sperimentato sulla mia pelle in quanto prima di “Smash”, in maniera innegabilmente “ignorante”, il mio atteggiamento nei confronti del musical era di assoluto e convinto rifiuto. “Smash” mi ha aperto gli occhi su un genere di cui non sapevo in fondo praticamente nulla se non pregiudizi di partenza, mi ha mostrato il processo che si svolge dietro le quinte del palco di uno spettacolo musicale, mi ha “istruito” nel suo piccolo su un mondo che unisce svariate sfumature artistiche in un connubio musicale armonizzante. Non posso negare che il mio interesse per il genere si sia anche un po’ arrestato proprio con la fine della serie ma ciò che questo show mi ha lasciato è una nuova consapevolezza che adesso tengo stretta. “Smash” era diverso, originale, adulto, ha portato sulla scena una gamma variegata di talenti emergenti, riconosciuti e veterani in ambito recitativo e musicale, e ha portato nel mio mondo l’emozionante voce di Katharine McPhee (“Scorpion”) che mi ha permesso di appassionarmi più di quanto avessi mai immaginato alla serie e a una selezione corposa di numeri, canzoni originali e straordinarie cover che ancora oggi riascolto a intervalli regolari di tempo. Nonostante la dèbacle innegabile delle storie e dei personaggi nella seconda stagione (per non parlare del mio più grande rimpianto da shipper … i Cartwills!), mi manca ciò che “Smash” poteva essere (magari con Theresa Rebeck di nuovo al timone), mi manca l’alto livello qualitativo del cast, mi mancano quei numeri musicali che creavano dipendenza e che da una totale indifferenza nei confronti del genere, mi conducevano lentamente a un … “and then 5,6,7, 8, Action!!”.

 

Downton Abbey

Vorrei poter dire che dopo sei anni di amore e lealtà nei confronti della serie, perderla nel 2015 è stato un duro colpo dal quale non mi sono ripresa; vorrei poter ricordare il percorso graduale compiuto accanto a tutti i personaggi nel corso delle stagioni; vorrei esserci stata fin dall’inizio per poi guardarmi indietro e vedere la strada fatta insieme alle storie, ai cambiamenti, ai fan, ma purtroppo non posso dirlo perché la mia conoscenza con la serie è durata circa un mese e mezzo ed è avvenuta immediatamente dopo la sua conclusione con quella che in gergo definiamo “maratona”. Eppure, nonostante io sia mancante dunque di fasi intermedie che spesso reputo fondamentali per il rapporto che personalmente costruisco con una serie tv, considero senza ombra di dubbio “Downton Abbey” una parte di me di cui non sapevo di aver bisogno, un modello che si è imposto all’improvviso tra le mie preferenze e ha segnato uno standard oggi difficilmente raggiungibile, l’esempio migliore di un genere come il period drama che non credevo potesse essere nelle mie corde e che adesso invece ricerco come elemento caratterizzante per una serie potenzialmente favorevole ai miei gusti. “Downton Abbey” mi ha conquistato con l’aroma profondamente british della sua atmosfera elegante e raffinata; con il fascino innegabile di un periodo storico caratterizzato da aspetti contrastanti e ossimorici che si sposano in un quadro reso vivo e interessante proprio dalle differenze; con una storia sempre intensa, sempre profonda, scritta con straordinaria maestria da uno showrunner (Julian Fellowes) che ha saputo come colpire, emozionare, superare gli imprevisti e gli ostacoli e poi ha anche saputo quando fermarsi; e infine con personaggi di cui adesso non posso più fare a meno. A un anno dalla prima volta in cui ho posato i miei occhi su questa serie, posso affermare con consapevolezza che a mancarmi tremendamente è il cuore più autentico e puro di quello show, è una famiglia che è cresciuta con l’evolversi dei tempi, è una casa in cui le differenze sociali sembravano così marcate inizialmente per poi rivelarsi inesorabilmente, episodio dopo episodio, in tutta la loro labilità e dispiegarsi in travolgente umanità. E poi mi manca Lady Mary Crawley, quanto mi manca Lady Mary Crawley!!

 

Noi ci siamo lasciate cullare dalla nostalgia, ma adesso tocca a voi, addicted, confessarci per quali serie tv ancora vi struggete! I commenti (e i fazzoletti) vi aspettano!

 

 

 

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Nata come Elisa, fin da bambina dimostra un’inquietante e insopprimibile attrazione per i telefilm e per il bad boy di turno. Le domeniche della sua infanzia le trascorre sfrecciando con Bo e Luke per le stradine polverose della sperduta contea di Hazzard. Gli anni dell’adolescenza scivolano via fra varie serie, senza incontrarne però nessuna che scateni definitivamente il mostro che dorme dentro di lei. L’irreparabile accade quando un’amica le presta i DVD di Roswell: dieci minuti in compagnia di Michael le bastano per perdersi per sempre. Dal primo amore alla follia il passo è breve: in preda a una frenesia inarrestabile comincia a recuperare titoli su titoli, stagioni su stagioni, passando da “Gilmore Girls” fino ad arrivare a serie culto quali “Friends” ed “ER”. Comedy, drama, musical… nessun genere con lei al sicuro. Al momento sta ancora cercando di superare il lutto per la fine di “Sons of Anarchy”, ma potrebbe forse riuscire a consolarsi con il ritorno di Alec in quel di Broadchurch…

4 COMMENTS

  1. Mi permetto di aggiungere alla lista “One Tree Hill”, non fosse altro per la coppia Nathan & Haley una delle rarissime che è rimasta insieme (salvo un breve periodo di distacco in cui, comunque, nessuno dei due ha messo le corna all’altro, altro evento a dir poco raro!) sin dalla prima stagione. Se non merita una menzione questo, cosa allora? E poi, per lei: Brooke Davis, una perla di saggezza ambulante proprio perchè la più imperfetta delle creature.
    Detto questo, come sempre, approfitto biecamente per salutare la mia amica WalkeRita, non so se ci sia la tua firma sotto ad altri telefilm della lista, ma “Revenge” grida il tuo nome (ps: in più, condivido tutto quello che c’è scritto, altro segnale questo a riprova della mia tesi), e la tua fedele fellow risponde!

    • SAAAAAAAAM!!!!!!! Speravo lo leggessi!!!! Stavo appunto per scrivere “mi manca Jack Porter perchè … #UnJackPorterèPerSempre!!!! xD Comunque avrei aggiunto anch’io OTH più che altro perchè … è soltanto la mia serie tv preferita in assoluto ma “niente di serio”! Non l’ho fatto semplicemente perchè credo che sia una delle poche serie tv al mondo ad aver avuto un percorso talmente degno che forse non aggiungerei nulla (al massimo avrei gradito sicuramente Lucas & Peyton nel finale ma mi piace credere che i magnifici 5 originali si siano riuniti a un certo punto delle loro vite)!

      p.s. “nessuno dei due ha messo le corna all’altro” … IO TI VOGLIO BENE! I Naley sono di un altro pianeta!

  2. Quanta nostalgia! Concordo su ogni scelta, almeno per gli show che ho seguito, e su tutti Downton Abbey che per me è stato un addio straziante. Grazie per avermi ricordato quella piccola chicca di Life Unexpected 🙂
    Se dovessi fare un’aggiunta, sarebbe assolutamente ALIAS, per me imprescindibile, da sempre nella mia top10 delle migliori serie: cinque meravigliose stagioni, ma ne avrei volute altre cento, altri mille travestimenti improbabili di Sydney Bristow, altri mille risvolti delle geniali predizioni e invenzioni di Milo Rambaldi, ancora e ancora e ancora… Alias manca davvero

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