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Doctor Who | Recensione 9×09 – Sleep No More

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Doctor Who | Recensione 9×09 – Sleep No More

Per la prima volta in questa stagione, ho sperato con tutta me stessa che a “Sleep No More” seguisse la settimana prossima la sua seconda parte perché se è vero che i cliffhanger uccidono, un finale aperto, terrificante e senza seguito è la realizzazione di un incubo vissuto ad occhi aperti (per restare in tema) perché al di là di tutte le nostre aspettative, non abbiamo ottenuto una vera risposta, sorprendentemente il Dottore non ha risolto il suo enigma regalandoci così l’ennesima speranza che alla fine andrà tutto bene e in maniera del tutto inedita ci hanno lasciato in sospeso, avvolti in quella sensazione di incompletezza che ci inquieta perché non esiste nulla di più oscuro dell’ignoto, di ciò che non sappiamo ma che siamo costretti ad affrontare, privi di quel baluardo di difesa che è la conoscenza. Mark Gatiss ha raccolto la penna per la prima volta in questa stagione e l’ha fatto stravolgendo perfettamente alcuni dei punti cardine di questo show, partendo dalla sigla, per la prima volta nella storia sostituita da una criptica schermata che nasconde in bella vista i nomi “Doctor Who” e “Clara Oswald”; passando per la regia, totalmente affrontata come spezzoni di video amatoriali ritrovati per caso e arrivando infine alla conclusione, al mancato happy ending, alla consapevolezza che per una volta, il Dottore possa aver davvero perso la sua battaglia. Geniale e innovativo, l’episodio per quanto mi riguarda ha tenuto fede ad una sola costante di questa stagione: lo stravolgimento delle leggi della natura, la creazione di qualcosa di nuovo e per questo imprevedibile e spaventoso, qualcosa tipo… un ibrido.

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Personalmente devo ammettere che mi ha sempre affascinato la leggenda dell’Uomo dei Sogni e per quanto all’origine fosse circondata da sentimenti positivi e pacifici, è innegabile che siano le sue accezioni più dark a intrigare per davvero, rendendo quindi questo mito un ottimo soggetto da cui prendere spunto per storie ed episodi di serie tv che fanno propria la leggenda di questa creatura che soffia la sua sabbia magica nei nostri occhi per indurci in uno stato onirico. L’ultima volta che ho incontrato in un telefilm una trasposizione del cosiddetto Sandman è stato in Sleepy Hollow con il nome di Rokorontis, visto quasi come una sorta di giustiziere che costringeva le sue vittime ad affrontare nei loro sogni quelle colpe di cui si erano macchiati e per cui non erano mai stati puniti.

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Ancora una volta però, in Doctor Who, la ripresa di miti o figure leggendarie non è fine a se stessa ma diventa come sempre un mezzo per raccontare una storia, letteralmente questa volta, uno strumento che veicola un nuovo significato, più profondo, che si sposa perfettamente con quelle tematiche che percorrono la serie nella stagione corrente, un po’ com’è stato per i fantasmi tra Under The Lake e Before the Flood. Ricordare questi episodi non è casuale per me perché, come vi anticipavo, uno dei temi che sembrano ripetersi costantemente in questa stagione è proprio la rottura delle leggi della natura, il desiderio umano o alieno che sia di andare oltre, di profanare anche i più sacri tra i momenti: la morte, ad opera del Fisher King che utilizzava le sue vittime come trasmettitori di un messaggio, e il sonno, ad opera di un uomo di scienza come Rassmussen e come sappiamo, non c’è nessuno che sappia spingere sempre un po’ più in là i propri limiti come uno scienziato, come un uomo immerso in una tecnologia che avanza pesantemente diventando sempre più forte sino a raggiungere, nel 38esimo secolo, livelli dai quali non si torna più indietro.

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Il video messaggio introduttivo all’inizio dell’episodio ne imposta innegabilmente le coordinate, preparando le basi del racconto in maniera subdola e per questo estremamente geniale, supplicando di non andare avanti nella visione ma proprio in questo modo accrescendo l’irrefrenabile curiosità insita nell’uomo di sapere e al tempo stesso di infrangere consapevolmente tutti i divieti che gli vengono posti davanti.

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Quello che si crea dunque è un crescendo di emozioni e di tensione che è destinato inevitabilmente ad aumentare sempre di più sino a raggiungere il suo punto di rottura ma il climax a cui assistiamo è graduale e ci permette di assaporare ogni sua fase, a partire dai primi passi, dal momento in cui tutto doveva ancora cominciare, o almeno così sembrava. Anche il modo di rapportarsi del Dottore e Clara di fronte a questa nuova realtà è all’inizio stranamente leggero, quasi come se fosse tutto terribilmente ordinario per entrambi, travolti come sempre dal desiderio di conoscere e affrontare la novità, l’impossibile, la meraviglia. Ma la situazione diventa progressivamente più cupa nel momento in cui il Dottore e Clara, seguiti dal team di salvataggio inviato sulla stazione in orbita intorno a Nettuno, si scontrano letteralmente con la ragione stessa dell’esistenza di quella stagione, con il suo scopo ultimo, con la causa principale di quel pericolo che adesso incombe su di loro ma che non riusciranno a riconoscere prima della fine, come fumo (o sabbia) negli occhi. L’intero episodio ruota intorno a una tecnologia creata dal dott. Rassmussen che permette di beneficiare di tutti i vantaggi del sonno tramite una semplice macchina, chiamata non a caso MORFEO, che in pochi minuti riesce a cambiare parte della composizione del cervello in modo da supplire al bisogno di sonno e risparmiare in questo modo il tempo necessario per eccellere in qualsiasi contesto lavorativo.

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Il futuro all’avanguardia, che viene involontariamente sperimentato dalla stessa Clara attratta quasi magneticamente per pochi secondi in una delle suddette macchine, dimostra ben presto il proprio lato più negativo, inglobando momento dopo momento il proprio ospite, rilasciando così quella sabbia che dovrebbe trasportarci nell’oblio del sonno e che invece lentamente cresce dentro colui che supera le leggi della natura e si allontana sempre di più dalla sua umanità, trasformandosi infine in uno dei mostri di sabbia da cui adesso tutti cercano di fuggire.

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In una situazione che a tratti richiamava un po’ gli episodi “Journey to the Centre of the Tardis” e “Last Christmas”, l’equipaggio che per primo ha costruito il mostro ne è diventato ora la prima vittima, cercando di primeggiare sull’umanità e ottenendo invece non solo l’effetto contrario ma subendo anche le sue conseguenze più drastiche, diventando così il simbolo di tutto ciò che avevano cercato di allontanare, l’emblema del sonno e di tutte le sue più vitali funzioni. Ancora una volta, la storia del mostro di Frankenstein sembra riaffermarsi così come il bisogno dell’uomo di mettersi costantemente alla prova, di dimostrarsi superiore non solo ai suoi simili ma anche a quelle leggi naturali che crede di poter conoscere e sovvertire con l’aiuto della scienza e della tecnologia. Ma come dicevo, nel suo stile più classico, Doctor Who utilizza ciò che sembra il protagonista dell’episodio come diversivo per coprire il vero mostro che in questo modo si nasconde e si confonde in bella vista, per portare a termine un piano che si svela quando ormai anche il tempo per poterlo fermare è inesorabilmente scaduto.

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Il creatore di questa nuova tecnologia si rivela quindi pienamente consapevole e cosciente dei risultati della sua impresa e tutto ciò che sembrava il traguardo disumano del suo progetto diventa in realtà soltanto un punto di partenza riconosciuto fin dall’inizio nel posto sbagliato perché se i mostri di sabbia rivelano alla fine le proprie debolezze, è invece proprio il messaggio iniziale la vera fonte del potere, l’evoluzione ultima del progetto Morfeo che riesce ora a codificare il suo obiettivo inserendolo nel video che adesso viene diffuso in tutto il sistema solare da ciò che ancora restava del dott. Rassmussen, oramai completamente integrato e inglobato dalla sua creatura.

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Il programma dunque prende il sopravvento sull’umanità. La storia raccontata diventa mero abbellimento della verità nascosta dalle parole, dalle paure, dai mostri fini a loro stessi, mentre il vero piano viene portato a termine tramite l’evoluzione della scienza, della tecnologia che assorbe l’uomo e il suo desiderio di abbattere sempre di più ogni limite, ogni barriera, ogni ostacolo che si interponga tra lui e il successo. Il tempo “perso” dormendo si trasforma quindi in una costante da eliminare e in quel momento diventa il loro nemico peggiore. Ma l’aspetto più strano e innovativo dell’intero episodio sta nell’attesa prolungata e ricca di tensione accumulata che raggiunge nel finale il suo apice più drammatico e proprio nel momento in cui solitamente arriviamo a quel punto di rottura che ci conduce poi alla conclusione tramite la soluzione geniale del Dottore che finalmente fa sua quella realtà, abbraccia la difficoltà per poi superarla e spiegarla anche noi, esattamente nel suo istante più catartico, l’episodio viene quasi troncato di fronte ai nostri occhi con la rivelazione del piano ormai riuscito e infine con i titoli di coda. Per la prima volta quindi il Dottore torna nel suo Tardis e fugge via dalla battaglia senza aver ottenuto le risposte a tutte quelle domande che si pone costantemente, senza aver agguantato la sua vittoria all’ultimo secondo, senza aver compiuto quel percorso di osservazione e indagine che lo contraddistingue da sempre quando affronta un mistero, senza aver dato libero sfogo alla sua deduzione conclusiva brillante e spettacolare, lasciando quindi un enorme spazio vuoto in una storia mancante del suo pezzo più importante: il suo lieto fine.

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Nel quadro generale di un episodio così diverso, per quanto mi riguarda, credo che anche le dinamiche del rapporto tra il Dottore e Clara abbiano trovato il loro giusto spazio tra novità e quotidianità. Ciò che infatti ho trovato stranamente rassicurante per una volta, e che rappresentava almeno all’inizio la controparte luminosa dell’oscurità che inondava l’episodio, è proprio la normalità abbracciata da Clara e dal Dottore nell’affrontare questo nuovo mistero, quella sorta di affascinante sicurezza che deriva dall’esperienza ma che più di tutto si nutre di un percorso che hanno trascorso insieme momento dopo momento e che li ha condotti ora a un punto in cui tutto sembra terribilmente facile e giusto, una fase del loro rapporto in cui non ci sono più dubbi o parole non dette e la conoscenza lascia il posto alla totale fiducia che ripongono l’uno nell’altra, affidandosi reciprocamente la loro vita. La novità che invece fa sorridere è quella sfumatura tremendamente leggera e divertente che circonda Clara da sempre e che, quando riesce ad emergere, la rende semplicemente irresistibile … anche agli occhi del Dottore.

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Con un episodio innegabilmente assurdo, che sembrava tanto un esperimento teso a rinnovare costantemente dall’interno l’assetto di una serie tv che fa del cambiamento il suo carattere essenziale, Doctor Who ritaglia quello che è probabilmente il suo primo e ultimo spazio individuale e distaccato dal complesso, prima di rituffarsi pienamente nella storyline centrale della stagione con un episodio, il prossimo, che sembra pronto a cambiare per sempre un aspetto di questo mondo che dura ormai da più di tre fantastici anni e che porta il volto e il nome di Clara Oswald.

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