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Da Wuthering Heighs a The Vampire Diaries – Un Amore che Consuma

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Da Wuthering Heighs a The Vampire Diaries – Un Amore che Consuma

Come di consueto eccoci qua per la nostra rubrica, che partendo dalla letteratura arriva alle serie TV, trovando fra loro quel file rouge, quel particolare tema che li accomuna e che rende tutto molto affascinante ai nostri occhi. Innanzitutto, Buona Domenica! La domenica è, di solito, il giorno della settimana in cui ci si dovrebbe riposare, e quale modo migliore di farlo se non leggere quattro righe? (ok, è vero, non saranno quattro righe… però, si fa per dire!). Dopo “The Lord of the Flies” vs “The 100” e “The Lord of the Rings” vs “Buffy” (incredibilmente mi accorgo solo ora che abbiamo iniziato quest’avventura con due Lord…di nome e di fatto in effetti visto che si tratta di libri che, almeno secondo me, sono dei capisaldi della letteratura del ‘900!) oggi cambiamo secolo, dal punto di vista letterario ovviamente.
Oggi vi porterò nella brughiera inglese, in particolare quella dello Yorkshire, che tra le fine del ‘700 e i primi anni dell’800 è stata teatro della storia d’amore più distruttiva che ci sia mai stata presentata: la storia di Heathcliff e Catherine, la storia di Wuthering Heighs (ovvero, Cime Tempestose).

Personalmente vi devo dire che non sono mai riuscita ad apprezzare appieno questo romanzo, un po’ perché preferisco di gran lunga il genere fantasy, un po’ perché lo stile narrativo mi sembrava davvero pesante, troppo lento (per i miei gusti ovviamente, diciamo che averlo letto dopo aver conosciuto Marion Zimmer Bradley e Ann Rice non mi ha aiutata per niente). Devo però dire che la trama, le tematiche e il modo in cui queste ci vengono proposte sono davvero geniali. Ecco, fondamentalmente è il modo in cui è scritto che non mi ha presa… Ma andiamo con ordine.
Wuthering Heighs è il primo, e unico, romanzo scritto da Emily Brontë (tra il 1845 e il 1846) e, quando uscì nel 1847, fu molto criticato: innanzitutto, perché si discostava molto dalla concezione di bene e male tipica dell’età vittoriana, secondariamente, perché aveva una struttura innovativa, non lineare. La storia inizia nel 1801 quando il signor Lockwood, presa dimora come inquilino nella residenza di Thrushcross Grange, decide di andare a far visita ai suoi vicini di Wuthering Heighs. Rimasto affascinato dalla particolarità delle persone che abitano quella tenuta, di ritorno a casa, si fa raccontare dalla governante la storia di questa famiglia. Inizia così un flashback che ripercorre circa 40 anni, durante i quali vediamo come, a causa di un amore così profondo da diventare odio verso chiunque lo ostacoli, un singolo uomo, Heathcliff, riesce a distruggere la vita di tutte le persone che gli stanno attorno, comprese quella della persona che crede di amare così tanto, Catherine, e la sua.
Non voglio tediarvi di particolari, un po’ perché credo che questo sia un libro da leggere almeno una volta nella vita e un po’ perché non ha molto senso ai fini di quello di cui vorrei parlarvi. Vorrei, però, porre l’accento su alcuni punti importanti. Nel corso della lettura di questo libro ci si rende conto che qualcosa non va: i narratori si danno il cambio, donando sì punti di vista differenti alla storia ma contribuendo anche a creare un’atmosfera instabile, quasi a richiamare, in questo modo, l’instabilità dei protagonisti della vicenda. Nei personaggi della Brontë troviamo un bipolarismo di bene e male, non è tanto un discorso incentrato sulla moralità: i protagonisti non tentano di opporsi alle loro passioni, non si pentono dei loro errori o delle loro azioni distruttive, in un certo senso è come se quelle stesse azioni fossero legittimate perché fatte per riportare la natura al suo giusto corso. E’ come se, Wuthering Heighs, fosse più un poema epico, una tragedia, che non un romanzo: tutta la storia è una continua dualità tra il selvaggio/crudele e il morigerato/gentile, fino a quando, nella seconda generazione delle famiglie protagoniste, questi caratteri sono plasmati l’uno con l’altro, quasi a trovare una sorta di redenzione o nuova possibilità. La bravura della scrittrice sta proprio nella sua capacità di non descrivere direttamente i paesaggi ma di farli costantemente riecheggiare attraverso le parole e le allusioni dei personaggi.

E’ interessante notare come tutto sia stato assolutamente scelto dalla Brontë, niente è messo a caso: Wuthering Heighs, la terra della tempesta, direttamente esposta agli eventi atmosferici, è la dimora degli Earnshaw, impetuosi, passionali ed indomiti. Non stupisce che Wuthering sia una variante dell’aggettivo scozzese whither, ad indicare il tumulto atmosferico a cui è soggetta la casa, metafora dell’agitazione interiore che scuote i suoi abitanti. Al contrario, Thruhshcross Grunge, collocata in una posizione più riparata e protetta, è la dimora dei Linton, descritti come animi calmi, gentili e riservati.

Credo che, anche nei nomi dei due protagonisti, ci sia molto di più di due semplici nomi. Heathcliff sembra (dico sembra perché cercando un po’ in rete non ho trovato alcun riferimento alla simbologia del nome) l’unione di due parole Heath e Cliff, che significano, rispettivamente, terra incolta e dirupo. E’ come se il nome fosse evocativo dell’uomo che ci verrà presentato: un dirupo che trascina verso il fondo tutto ciò che gli si avvicina (sinonimo della distruzione), una terra arida sulla quale è difficile far crescere qualunque cosa (l’odio che lo pervade, la furia della vendetta che non gli consentono di andare oltre). Mi verrebbe da dire che all’opposto sta Catherine, nome che, nella sua derivazione anglosassone, significa innocente, puro. In realtà non è all’opposto perché anche Catherine, per sua natura, è impetuosa e passionale ma la scelta di questo nome è complementare a quella di Heathcliff, come ad indicare il bene e il male che si fondono, che si cercano, che si vogliono e che fanno parte della nostra natura.

Perché tutto questo prologo? Perché Wuthering Heighs è semplicemente la storia di un amore che ti consuma. Sono un po’ fissata, lo so, ma cerco sempre di capire i significati delle cose. Quando si pensa alla parola consumare la nostra mente vi associa sempre un significato negativo: logorare, ridurre al nulla, finire a poco a poco. Ed in effetti, questa è proprio l’accezione giusta se si pensa a come il sentimento di amore viene vissuto nel romanzo della Brontë: una passione che travolge, che annebbia la mente e che, lentamente, ma altrettanto inesorabilmente, porta via la luce da tutto ciò che gli gravita attorno. Heathcliff, accecato dalla mancanza della donna amata (o, forse, di colei che impersona la sua idea di amore) si vota alla vendetta e non riconosce più la vita che gli appartiene e, nella spirale di eventi che si genera, trascina nell’oscurità e nel nulla, tutti quelli che hanno la sventura di essere sotto tiro, o di capitarci. E l’amore lo logora, lo priva di ogni ragione e di ogni sentimento perché alla fine, la sua è un’ossessione e, come tale, lo porta a scollegarsi dalla realtà.

Eppure, la parola consumare deriva dal latino consumare che gli ha dato il senso di “dare perfezione e compimento” (ovvero con/cum indica mezzo o strumento, e summa sta per fine, perfezione). Voglio dire, non è bellissimo tutto questo?!? No, non sono matta (ok, un po’ si), e ve lo posso provare. (Vi avviso: se non avete visto l’ultima puntata di TVD andata in onda negli USA, non continuate nella lettura… ci sono un paio di citazioni che arrivano proprio da lì!)

Siamo al finale della terza serie di The Vampire Diaries, Elena decide di tornare a Mystic Falls dai i suoi amici (ok anche da Stefan) e chiama Damon (miglia e miglia distante) per dirgli che lo lascia libero, che ama Stefan e che, forse, se si fossero conosciuti prima… e così Damon ricorda il loro primo incontro, effettivamente avvenuto ben prima di quanto Elena non (potesse ricordare) ricordasse. Quello era l’inizio ma, per noi, era solo una conferma. Ma questa, effettivamente è un’altra storia (ed io l’adoro!). The Vampire Diaries ci mostra l’amore tra Damon ed Elena, queste due creature, queste due anime così profondamente diverse all’apparenza eppure, così dannatamente simili. Un amore nato così, nella quotidianità, che si è nutrito di passione ma che è cresciuto nella consapevolezza della diversità dell’altro. Le parole di Damon sono profetiche perché, fin da subito, capisce l’animo di Elena, da subito lui la legge dentro e capisce quello che lei vuole: un amore che la consumi, passione, avventura e anche un po’ di pericolo. Ancora una volta la parola “consumare”.

E’ nella quarta stagione che il loro amore, il loro legame, si concretizza: tutta la stagione è un percorso volto a fugare il dubbio che aleggia attorno a questo amore, a rendere reale questo sentimento. Un percorso che si conclude con quel “You got the girl” che Alaric dice a Damon nel finale di stagione.

Ebbene, la tanto odiata quinta stagione (io personalmente l’ho apprezzata, forse non era ai livelli delle prime stagioni, sicuramente ha avuto una mitologia sconclusionata e imbarazzante, ma è stata piacevole e nelle ultime puntate ha avuto anche il suo perché), invece, vede i nostri due amati vivere la realtà del loro amore e, in questa realtà si scontrano, si stimolano, tirano fuori il meglio e il peggio di loro stessi.
Damon è un personaggio che non è né buono né cattivo, non è uno stinco di santo. Ogni volta che si scava nel suo passato c’è da rimanere inorriditi dalla spirale di violenza che porta con sé (quasi quasi mi ricorda qualcuno… Heathcliff?!?), di certo non esita a fare del male, non esita a sporcarsi le mani, se la situazione lo richiede, lo dice lui stesso a Klaus quando è rinchiuso nella cella dei Salvatore.

Eppure, Damon farebbe di tutto per le persone che ama. Di tutto. E odia se stesso per quello che fa, nonostante qualcuno debba farlo. Emblematiche sono le parole di Bonnie, nella puntata andata in onda questa settimana: ”Stai punendo te stesso. Hai detto che questo posto è il tuo inferno, ciò significa che provi del rimorso.”
Elena, invece, è l’icona della brava ragazza, non farebbe del male ad una mosca (peccato che in nome suo sia morta praticamente tutta la popolazione di Mystic Falls e peccato che anche abbia qualche peccato con cui convivere) eppure, in cuor suo, sa che le azioni di Damon, in un certo senso, sono corrette. Lei capisce quali sono le reali intenzioni del ragazzo, lei è riuscita a leggere dentro di lui e vedere quanto fosse disperato il suo bisogno di amore, a capire quanto profondo fosse il suo animo.

E così, nello scoprirsi l’uno con l’altra, si sono plasmati. Nell’episodio di questo giovedì è Stefan a spiegarcelo perfettamente: “Damon inspired you, he pushed you to own the darkest parts of yourself. And when you died he was the only one that could make you feel alive again and you made him feel human.”
In questo crescendo di sentimenti due persone, agli opposti, si sono trovate e sono riuscite a complementarsi. Insieme sono diventati un tutt’uno. Non è stato un percorso facile, ci sono stati momenti in cui il disagio di non riuscire più a trovare il proprio vecchio io (interiormente, da un punto di vista caratteriale e personale) era così opprimente da voler allontanare l’altra persona, da riconoscerla come estranea. Ma, in tutto questo, smettere di amarsi è impossibile.

Quello che conta, alla fine, è affrontare la realtà insieme, vicini. E così, accomunati da una comune necessità, affrontano insieme il loro destino. Anche nella morte si prendono per mano, certi di ritrovarsi dall’altra parte (o nell’Altro Lato… ma questi sono dettagli).

E poi, Damon muore. E con lui, quella parte di Elena che da lui era stata forgiata, perché è un buco dove dovrebbe trovarsi l’altro ma in realtà è il vuoto che si prova quando una parte di sé se ne va. E’ una parte tutta da ricreare, tutta da reinventare.

Non riuscendo a superare questo (eterno) dolore Elena chiede ad Alaric di farle dimenticare di aver amato Damon, ma ha anche pensato all’eventualità che qualcuno le dicesse la verità. Ecco le parole-testamento che Elena ha lasciato a se stessa, parole che le devono servire a non tornare indietro, a non far tornare i ricordi perché non ci può essere una fine al dolore, è troppo grande. E la cosa da fare adesso è ritrovarsi, ricrearsi, reinventarsi senza quella parte di sé che era il proprio baricentro.

“Dear me. If you are reading this then somebody has spilled the beans about your selective memory loss. My money on Caroline. Yes, you loved Damon. You loved him with a passion that consumed you. And then when Damon died, the void he filled was too deep, too dark. Facing an eternity without your soulmate, you went off the deep end, you turned into someone that you weren’t, a monster. Alaric can restore your last memories, all you have to do is ask. But I hope that you don’t. I tried it the other way and I didn’t see an end to the pain. I want you to rediscover yourself in the absence of the one who defined you. If you feel any hope for the future at all, then you already better off. You’ve been given a chance to start over. I want you to take it, I want you to be happy.”

Anche l’amore tra Damon e Elena è un amore che consuma, ma nella sua derivazione latina: è un amore che unisce,che completa e che rende perfetti. In questo modo l’altro diventa una parte di sé, o meglio, nell’altro ci si riconosce e ci si riscopre.

Seppur di significato diverso, l’amore tra Damon e Elena, e quello di Catherine e Heathcliff, ha una variante comune, si tratta di anime plasmate l’una con l’altra, di entità che si sono completate. Io credo che, nonostante la pulsione logorante e che consuma di Heathcliff, Catherine nutrisse per lui un amore che consuma, un amore che completa. E, proprio nelle parole di Catherine è il perfetto epilogo: “A che scopo esisterei se fossi tutta contenuta in me stessa?I miei grandi dolori in questo mondo sono stati i dolori di Heathcliff, io li ho tutti indovinati e sentiti fin dal principio. Il mio gran pensiero nella vita è lui. Se tutto il resto perisse e lui restasse io potrei continuare ad esistere; ma se tutto il resto durasse e lui fosse annientato, il mondo diverrebbe per me qualche cosa di immensamente estraneo: avrei l’impressione di non farne più parte. (…) Il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste ed immutabili, dà poca gioia apparente ma è necessario. Nelly: io sono Heathcliff! Egli è stato sempre, sempre nel mio spirito: (…) ma come il mio proprio essere. (…) ma perché lui è più di me stessa. Di qualunque cosa siano fatte le anime, certo la sua e la mia sono simili (…)”

Ecco, l’altro non è parte di sé, l’altro è se stessi. E’ necessario. Un po’ quello che prova Elena quando si trova senza il suo Damon. Senza la parte che l’ha completata.

Grazie per aver resistito fino a qui… spero vi sia piaciuta quest’analisi… non è stato semplice ordinare i concetti e tirare le fila… che dite, ce l’ho fatta? Alla prossima!

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Nata negli anni 80, grazie al suo papà clone di Magnum P.I., cresce a pane e “Genitori in blue jeans” (dove si innamora di Leonardo di Caprio che troverà poi in quei film tanto amati come "What's Eating Gilbert Grape" o “Total eclipse”), l’uomo da 6 milioni di dollari, l’A-Team, Supercar e SuperVicky. L’adolescenza l’ha trascorsa tra Beverly Hills 90210, Santa Monica e Melrose Place..il suo cuore era sul pianeta di Mork e alle Hawaii..anche se fisicamente (ahimè) era sempre e solo nella provincia bergamasca. Lettrice compulsiva fin dal giorno in cui in prima elementare le hanno regalato Labirinth è appassionata di fantasy (Tolkien è il suo re, Ann Rice e Zimmer Bradley le sue regine) e di manga (Video Girl AI in primis per arrivare a Paradise Kiss e Nana), anche se ultimamente è più orientata a letture propedeutiche pediatriche! Ama studiare (tra laurea, dottorato e master ha cominciato a lavorare a 28 anni!!) ed imparare, ma non fatela arrabbiare altrimenti non ce ne è per nessuno!

10 COMMENTS

  1. Ragazza io aspetto il tuo tag per leggere i tuoi articoli, che sono sempre perfetti, schietti, emozionanti e cosí precisi che non posso ogni volta darti ragione e dirti: BRAVA!

    • Grazie tesoro!!… Mi fai arrossire!nn mi merito tanto! Lo sai che sei una delle persone di cui aspetto sempre il parere! ❤️

  2. Hai preso due miei punti deboli. Cime Tempestose l’ho letto troppo tempo fa, ma ricordo che ne ero rimasta estasiata e che la loro storia mi aveva colpita, quindi penso proprio che dovrò rileggerlo anche alla luce di questo paragone telefilm che inutile da dirti mi sta a cuore particolarmente. Mi piace l’idea dell’essere l’altra metà della mela e visto che oltre a speculazioni teleefilmiche ci possiamo concedere a quelle letterarie è un po’il pensiero che Platone nel Simposio esprime per bocca altrui del mito della palla, l’uomo è diviso dall’altra sua metà che lo rendeva potente agli occhi di Zeus e in perenne ricerca di ciò da cui è stato separato. Mi sa che anche io devo trovare il mio Heartcliff, la mia terra incolta e il dirupo per il momento mi fermo all’essere pura XD. Complimenti Mari sempre sul pezzo con grande intensità un piacere leggerti alla prossima 🙂

    • Grazie Cate!! Cacchio il tuo link a Platone… Semplicemente perfetto, nn ci avevo davvero pensato!! Ammetto che cime tempestose è un libro davvero troppo distante dalle mie solite letture, al tempo nn lo avevo davvero apprezzato! In questi gg però mi sono trovata a rileggere alcune parti (più per esigenze legate all’articolo che per piacere..) e ne ho riscoperto l’autenticità.. Con il senno di poi è sempre tutto più facile direi!! Un abbraccio

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