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Cotte Telefilmiche | Killian Jones

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Cotte Telefilmiche | Killian Jones

All’inizio di questa rubrica, Mary ha posto la domanda fondamentale del ciclo vitale di quelle che chiameremo Phangirlus tele filmica vulgaris, (non lasciate mai a una biologa la possibilità di scrivere articoli, io ve lo ripeto sempre…), ovvero il tipo più comune di Fangirl esistente al mondo:

Cosa ci fa innamorare di un personaggio “immaginario”?

Personalmente, ho sempre avuto un grosso debole per alcune specifiche caratteristiche, sia fisiche che comportamentali, che mi rendono un personaggio apprezzabile fin dai primi fotogrammi o dalle prime pagine di un libro.

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Nel 90% dei casi questo personaggio deve:
Avere un’intelligenza acuta e fuori dal comune.
Avere lo sguardo magnetico (Non importa il colore degli occhi,ma devono essere occhi che ti catturano.)
Avere i capelli scuri e possibilmente lunghi.
NON essere Mr.Muscolo sotto steroidi (i troppo palestrati mi fanno schifo).
Saper usare il sarcasmo come si deve.
Avere una personalità sfaccettata, perché essere manzi da competizione non basta.
E, ultimo e forse più importante… Avere un qualcosa che lo renda “fuori dal tempo”. Qualsiasi cosa. Modi di fare, vestiti, età… deve star bene in tutte le epoche.

Insomma: ho gusti complicati. Forse troppo.
Almeno una di queste caratteristiche me lo fa apprezzare. Tre o più, amare.

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Il bello di Captain Hook / Killian Jones da OUAT è che, sorprendentemente, raggruppa tutte queste caratteristiche in un unico, meraviglioso personaggio. Se poi ci aggiungiamo il fatto che è pure un PIRATA, figura dalla quale io sono ossessionata sin dalle elementari, capite anche voi che non mi si recupera davvero più.

Ci tengo a fare una premessa: ho letto Le Tigri di Mompracem alla tenera età di 6 anni. E’ stato il mio primo libro. Dai 6 ai 10 anni non ho fatto altro che leggere qualsiasi romanzo sui pirati mi capitasse per le mani, in particolar modo quelli del caro Emilio Salgari. Ero talmente ossessionata dai pirati che mio padre mi regalò un mini- modellino della Queen’s Anne Revenge, e un cuscino per la mia cameretta con il teschio con le tibie… tanto per farmi contenta. L’unico amore della mia infanzia più forte di quello per Sandokan, Harlock e il Corsaro Nero è stato quello per Sirio il Dragone. Capirete anche voi che, quando annunciarono l‘arrivo di Capitan Uncino in OUAT, la mia reazione fu a dir poco scandalosa.
Sì, ancora prima di vederne il bell’aspetto o gli occhioni blu.

La bellezza è relativa, quando si parla di personaggi dotati di un fascino simile.

Killian Jones, parliamo di lui.
Parliamo di uno dei personaggi più discussi, pregati, imprecati, amati, odiati e twittati degli ultimi tempi. Parliamo del fatto che questo personaggio abbia avuto un così forte impatto, sugli spettatori di Once Upon a Time, da scatenare persino tentativi di petizioni e trend (da parte degli amanti delle ship avversarie alla Captain Swan) per convincere gli autori ad allontanarlo dalla serie, non solo dalla protagonista.
Ora, seguendo il principio del famoso detto “Parlane bene, parlane male: l’importante è che se ne parli”, potete capire perché sono particolarmente orgogliosa del fatto che Hook abbia provocato un tale quantitativo di “movimento”. Inutile soffermarci sul fatto che, in questi tempi dominati dai social media, che permettono agli spettatori di esprimere opinioni in diretta e da chilometri di distanza, la buona parte di essi si senta come se gli fosse TUTTO DOVUTO , oltre che in diritto di provare ad influenzare gli autori di una storia e la carriera di un attore in aggiunta al futuro del suo personaggio.

Hook è un character che COLPISCE, che rimane nella memoria della gente, che lascia un’impressione e che è in grado di coinvolgere. QUESTO è l’importante.

Parliamo di un personaggio che i creatori della serie, Adam Horowitz ed Eddy Kitsis, hanno pensato bene di riprendere non dal classico d’animazione Disney, ma dall’opera originale di James M. Barry, cambiandogli però nome.

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Il Capitan Uncino di Barry non è sempre stato un cattivo. In realtà, il Capitan Uncino di Barry non era realmente un “cattivo”. Odiava Peter Pan che gli aveva tagliato la mano (destra, originariamente), ma Barry lo descrive come un gentiluomo, rattristato dal fatto che i Bimbi Sperduti provino astio nei suoi confronti, sempre gentile e di buone maniere con Wendy, musicista, artista ed avido lettore di poesie. Al termine del duello finale con Peter, quando questi lo getta in pasto al coccodrillo, il Capitano lo accusa di aver usato “cattive maniere”. In Peter e Wendy, titolo originale dell’opera, e in un dialogo pubblicato successivamente da Barry col titolo “Captain Hook at Eaton”, Uncino è descritto come un diciottenne (sì, avete capito bene) alto e pallido, con riccioli neri e lunghi e occhi blu “come i non ti scordar di me”, tendenzialmente narcisista ed occasionalmente malinconico, dalla vivace intelligenza, a cui piacciono cappelli dalle falde larghe e dalle lunghe piume, e pantaloni stretti al ginocchio.
Le immagini successive che abbiamo di lui, complice soprattutto il film d’animazione Disney, ci dipingono un capitano della Jolly Roger molto più vecchio e “macchietta” dell’originale, e calato totalmente nella parte del cattivo che, nelle intenzioni dell’autore, doveva appartenere al coercitivo e volubile Peter Pan.

Il Captain Hook descritto sopra vi ricorda qualcuno?
Aggiungete l’eyeliner, qualche orecchino, pantaloni di pelle ed il bel vizio di dare nomignoli, ed ecco che otteniamo il perfetto Killian Jones.

Ammetto che, inizialmente, rimasi davvero molto delusa da lui.
[Non fraintendetemi, quando vidi Colin O’Donoghue nell’immagine promozionale ci mancò poco che dovessero rianimarmi. Ma qui non stiamo parlando dell’attore. Stiamo parlando del personaggio.]

Incontriamo per la prima volta Hook nella 2×04, “The Crocodile”. Un pirata qualsiasi, che ruba la moglie ad un povero vigliacco. Che la porta via dal figlio. Che la rapisce.

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Nei primi minuti della sua comparsa l’ho detestato, nonostante mi affascinasse il suo essere fissato con le buone maniere e con il Codice. Ma, si sa ogni Pirata segue il Codice, la cosa non mi sorprendeva più di tanto. A farmi riflettere è stata una frase che, possiamo dire, è diventata il suo “marchio di fabbrica”:

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“A man unwilling to fight for what he wants, deserves what he gets.”
“Un uomo che non combatte per ciò che desidera, merita ciò che riceve.”

Perché una frase del genere da un simile bullo prepotente?
Un bullo prepotente che, solo poche scene dopo, prende a calci un mendicante per averlo urtato.
Già qui qualcosa nella caratterizzazione iniziale non mi convinceva. Gli autori ci stavano lasciando troppi indizi ambigui sulla sua personalità.

Killian Jones non è un “buono”. Nemmeno volendo riuscirebbe a comportarsi da tale. Ma non è nemmeno un cattivo. Paradossalmente, è uno dei personaggi più “veri” che incontriamo dall’inizio della storia, perché NON E’ ALTRO CHE UN UOMO, segnato dal proprio passato e deciso a vivere la sua vita seguendo l’onore piuttosto che le leggi sbagliate di un regnante crudele.
Quando Rumplestiskin, il suo Coccodrillo, arriva sulla nave per prendersi il fagiolo magico, Killian Jones ha appena rischiato la vita… ma non si preoccupa per se stesso. Si preoccupa per la donna che ama, che lo ha trascinato in una situazione pericolosa a causa del proprio egoismo.
Ciò che accade a Milah non è colpa di Killian. Rumple se la prende inizialmente con lui, ma è stata lei a sbagliare, pur con tutte le attenuanti che possiamo darle.

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Non sappiamo ancora niente del passato tormentato di Killian Jones, in questa puntata, e non ne sapremo nulla per un bel po’, ma già possiamo avere uno scorcio del dolore che ha segnato certi cambiamenti nel corso della sua vita: nel suo voltare disgustato le spalle a Rumple ed incitarlo a dire la verità al figlio, comportandosi da padre e prendendosi la responsabilità di non aver combattuto per la moglie; nel dolore mostrato per la perdita di Milah, per la quale arriva nella sua voce spezzata e negli occhi colmi di lacrime di quando giura vendetta contro Rumplestilskin; e nel sorriso bramoso e beffardo che gli si dipinge sulla faccia mentre si getta con la Jolly Roger nel gorgo per Neverland.

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Qui, al “Neverland!” pronunciato così, Captain Hook mi ha definitivamente conquistata.
Quel sorriso eccitato che nasconde così bene il dolore per la perdita della persona amata, sentimento che un vero cattivo non dovrebbe mai provare, hanno travolto e spazzato via tutti i dubbi che potevo avere su di lui.
Sentivo, da quel momento in poi, che ci sarebbe stato molto di più da scoprire di Killian Jones. Sapevo che avrei amato quel personaggio. E l’ho amato IN TUTTO, in tutte le sue scelte, giuste e sbagliate.
Amo il fatto che commetta errori di gravità indicibile, e che se ne renda conto, e che tenti di porvi rimedio.
Amo il suo essere spregiudicato, i doppisensi che usa continuamente, la sua mania di chiamare tutti “mate”, “darling”, “sweetheart”, “love”.
Amo il suo saper essere incredibilmente divertente ed incredibilmente serio allo stesso tempo.
Soprattutto, amo di lui la sua testardaggine, il suo sarcasmo, la sua assurda sincerità ed il suo senso pratico.

Hook non è spietato. E mai sarebbe crudele. Ma sa mettere da parte il sentimentalismo per proporre la soluzione più logica. Contemporaneamente, si getta nelle più disparate ed impossibili imprese per salvaguardare la vita di chi ama o perseguire la propria vendetta.

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E’ un personaggio completamente dominato da questa dicotomia assurda tra fredda logica ed ardente passione. Ecco quello che mi affascina di più di lui.

Nascosto dietro una maschera da ragazzino scanzonato, Killian scava nel profondo delle persone che lo circondano per tirarne fuori i lati nascosti più rilevanti. Per i personaggi della serie, Hook è come uno specchio, che ha la sola funzione di rivelare ciò che si cela nel profondo del cuore, sia esso buono o malvagio.

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Lo fa soprattutto con Emma, ovviamente, partendo dalla scena della scalata alla pianta di fagioli e finendo con il loro bacio nell’ultimo episodio andato in onda 4×03, e passando per innumerevoli altre piccole scene in cui la mette davanti ai propri difetti per costringerla ad affrontarli, ma in realtà gli vediamo fare questo giochino un po’ con tutti nel corso della serie.

Con Belle, nella stiva della nave, quando le parla del proprio passato e di come sia in realtà Rumplestilskin. Con Mr.Gold poco dopo, quando lo provoca tanto da farsi picchiare col bastone da passeggio. Con Regina e con Cora. Con Charming avvelenato a Neverland, quando gli salva la vita dimostrandogli che un pirata non è necessariamente un uomo da disprezzare, e ancora prima, nella foresta incantata, con Snow. Lo fa con Baelfire bambino quando lo ripesca dalle acque attorno all’isola, e poi con Neal adulto. Ma, in generale, riesce a farlo con un po’ tutti quelli che incrociano il suo cammino: sviscerare una verità scomoda, e sbattertela in faccia perché tu la affronti e superi il problema, sembra essere una delle sue caratteristiche meglio riuscite. (Oltre a quella che da più fastidio di tutte, perché mira a rivelare come sono veramente nell’animo i personaggi, senza le illusioni e le distorsioni bizzarre che ne fanno i fans.)
Sa che tasti toccare per lasciare un segno sulle persone, ed è questo che lo rende così intrigante e così dannatamente irritante.

Quello che però credo colpisca maggiormente, nell’arco narrativo in cui riprende il proprio posto come personaggio legato a Peter Pan, è la sua estrema onestà.
Pochissime volte, da quando è comparso, abbiamo visto Killian MENTIRE con cognizione di causa, e quasi sempre lo ha fatto a fin di bene (piuttosto, Killian preferisce OMETTERE. Non è certo un comportamento corretto, ma dimostra una fondamentale differenza d’intenti.). A Neverland, questa sua caratteristica è in qualche modo amplificata e messa in risalto dal comportamento opposto adottato invece da Peter Pan, che fa del raggiro e della menzogna la sua arma principale.
Killian non si è mai nascosto a nessuno. Ed è sorprendente quanto sappia essere onesto, con se stesso e con gli altri, in modi che persino i “buoni” trovano imbarazzanti.
Sa di aver fatto delle cose orribili, sa che probabilmente le farà ancora, ma non modifica la verità a suo esclusivo vantaggio. Sa di essere un criminale, sa di essere un Pirata, sa di aver combattuto ed ucciso. Si conosce e si “ammette” davanti al mondo senza vergogna, consapevole dei propri errori e delle proprie mancanze ma anche dei propri pregi e delle proprie qualità, concedendosi con sincerità disarmante e senza riserve, e senza alcuna smania di vedersi accettato, se non da Emma.

Emma, ovviamente, è la chiave di volta del suo cambiamento da villain a “non villain” (come dicevo prima, non mi azzarderei a definirlo “buono”, nonostante tutto. Non se paragonato al fare paladinico di Charming). E anche in questo caso, un cambiamento che non snatura il suo carattere, ne smussa solo gli angoli.
Conosciamo Killian / Hook nel momento in cui il suo unico obbiettivo e scopo nella vita è la vendetta contro Rumplestilskin. Nel cuore del pirata, quando lo incontriamo per la prima volta sotto una pila di cadaveri, non c’è spazio per altro se non il farla pagare al suo Coccodrillo.
Ma già al primo scambio di sguardi tra lui e la Salvatrice possiamo notare che qualcosa cambia.

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Killian comprende Emma. Vede il suo tormento interiore e lo capisce. Ne è colpito ed incuriosito, e se ne sente attratto.
Oltre a conoscere i bimbi sperduti di Neverland, Killian conosce se stesso. Ed Emma ha, negli occhi, lo stesso sguardo che doveva avere lui da bambino quando suo padre lo lasciò per prendere il mare.
E’ questo che gli permette di entrare in sintonia con lei. È questo che da il calcio d’inizio ad un rapporto che gli permette di migliorarsi e di accettare il fatto che al mondo non esista solo la vendetta.
È questo a dargli una seconda possibilità, per ricominciare a vivere.

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Ho letto molte critiche al lieve cambiamento che Killian ha fatto da quando ha accettato di amare Emma, critiche che ho sempre trovato sterili ed infondate. Migliorare non significa perdere se stessi, e questo Hook ce lo ha dimostrato pienamente: non è mai troppo tardi per crescere, non è mai troppo tardi per ricominciare, per aprirsi a nuove possibilità, per imparare.
Pur tenendo ben presente che il fulcro della personalità, forgiato in anni (Secoli, per lui) di esperienze, deve rimanere intoccato, perché è ciò che ci definisce.
In questo, Hook è un personaggio davvero ben riuscito.
E sono la sua profonda onestà e l’onore che ha sempre tanto amato a permettergli di rimanere se stesso senza perdersi, ma acquisendo una consapevolezza nuova dei limiti che un essere umano dovrebbe imporsi per non far soffrire gli altri, pur mantenendo la sagacia e la sua praticità.

Di certo, il suo personale percorso verso la “redenzione” non è una strada spianata, ed è ancora in divenire. Hook è nuovo a sentimenti come il provare vergogna per le proprie azioni sbagliate, è impulsivo, è testardo, non si ferma davanti a nulla pur di proteggere le persone che ama. E sembra avere una cronica dipendenza da ogni cosa che sia definibile “pericolo”. Questo lo ha portato, nel tempo, a fare dei terribili faux pas che, sono certa, non mancherà di ripetere di quando in quando.
In fin dei conti, lo si ama anche per il suo essere così lontano dalla “perfezione”.
Perché non è un personaggio scontato. Inciampa, cade e si rialza in continuazione.
Ma è particolarmente gratificante, per chi ha amato Killian dal’inizio, vedere che, pur sempre in bilico tra l’oscurità e a luce, sembra aver trovato finalmente un nuovo posto nel mondo, accanto alla sua Emma e alla Charming Family.

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Hook è un personaggio che ha perso ogni cosa: il padre, la famiglia, l’amore di una vita. E questo lo ha portato su una strada che ha deciso di far sua, consapevolmente, ma non per questo è stata meno difficile o meno priva di errori. Accanto ad Emma e alla sua famiglia, Hook ha la possibilità di riavere ciò che gli è stato così brutalmente tolto, dimostrando una dolcezza disarmante dietro la facciata da donnaiolo incallito.

Ringrazierò per sempre gli autori di OUAT per aver concepito un personaggio così, perfetto nella sua imperfezione. E ringrazierò per sempre Colin O’Donoghue per averlo interpretato.

Ammettiamolo… senza i suoi assurdamente sexy ammiccamenti di sopracciglia, non sarebbe stato lo stesso.

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Annalisa Mantovani nasce a Ferrara, in un freddissimo e nevossissimo Febbraio del 1980. Forse è per questo che odia l’estate, il sole e il caldo e preferisce climi rigidi e temperature polari, grazie alle quali può godersi le fusa dei suoi gatti, una bella coperta calda, il divano e i suoi amatissimi libri. Sin da piccola legge tutto il leggibile, dal romanzo d’avventura al fantasy, dalla storia d’amore alle etichette dello shampoo, ma le sue letture preferite rimarranno sempre i romanzi di Emilio Salgari sul pirata Sandokan, Il Silmarillion di quello che definisce il suo “papà” letterario J.R.R.Tolkien, la saga di Harry Potter e qualsiasi cosa sia stata scritta sui vampiri, anche la spazzatura. Da qui, e dalle sessioni di Dungeons&Dragons a cui gioca col marito ormai da più di 15 anni, la passione per la scrittura di romanzi fantasy e urban fantasy che, se dio vuole, un giorno riuscirà anche a pubblicare. Telefilm Addicted da quando guardava Hazard e l’A-Team con il nonno dopo i compiti, predilige serie dove la componente sovrannaturale giochi un ruolo importante, anche se non disdegna Downton Abby, Criminal Minds e Broadchurch. Whovian per la vita, le sue serie del cuore saranno sempre Doctor Who, Buffy e, da poco aggiuntasi, Once Upon a Time, che ha il potere di farla tornare bambina.

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